A Napoli esplode la mania dei panini qualunque. Ma è solo questione di marketing

21 Nov 2023, 16:04 | a cura di

C’è da fare la coda. Sempre, o quasi. «Mezz’ora di fila per un panino, capite cosa fa Internet?”, sorride disorientata una signora. In realtà si fa presto a dire “panino”, rilanciano loro, ambasciatori di un fenomeno che scuote Napoli, città della pizza, trasformandola nella nuova metropoli della merenda prêt-à-porter, salumerie 2.0 che sfruttano abilmente le vie del web – TikTok in primis – per intercettare il boom della metropoli presa d’assalto dall’overtourism. E fare affari. «Più di 1.500 panini al giorni per il ponte del primo novembre, e una media di 800, difficile che si scenda sotto», gongola Donato De Caprio, volto iconico di “Con mollica o senza”, quasi 4 milioni di follower su TikTok, più creator che salumiere. «Ho fatto una cosa semplice - prova a spiegare - ho raccontato nei miei video come nasce la ‘merenna napulitana’, che è molto più di un panino. Va preparata con cura, con ingredienti di qualità e va consumata per strada. Non ho inventato nulla, sia chiaro, ma credo che il successo dei miei video abbia fatto bene a tanti salumieri, che ora seguono la scia».

Il caso di Con mollica o senza

Ha certamente fatto bene a lui: il suo locale è una tappa fissa alla Pignasecca per turisti e curiosi, tredici dipendenti pronti a servirli, i panini in menu vanno da un minimo di 7 euro a un massimo di 14, anche più di un primo di mare, se si scorgono i cartelloni delle trattorie della zona. Non male per uno che aveva a lungo fatto la gavetta – neanche a dirlo, in una salumeria – salvo poi licenziarsi. E provarci da solo. E che ora ha raddoppiato, con un locale analogo a Milano: «I miei follower del resto erano soprattutto al Nord, dove il rito della merenda preparata in salumeria non esisteva», argomenta.

Tutti pazzi per i panini. Ma perché?

Ma cosa c’è dietro il successo dei panini made in Napoli? Perché un rito così tradizionalmente radicato, si direbbe persino banale, che attraversa generazioni e generazioni di partenopei, è diventato tutt’a un tratto di moda?
I numeri sono inequivocabili: negli ultimi due anni sono nati, in città, 150 locali di street food che propongono principalmente panini. Lo fanno in contrapposizione – più o meno aperta – con i colossi internazionali, da “McDonald” a “Burger King”, ma non di rado il ricorso all’identità napoletana è forzato. Esasperato. Una proliferazione che vale un fatturato di 60 milioni di euro all’anno e che ha convinto anche il Comune di Napoli a disporre il divieto di apertura di nuove attività di somministrazione cibo e dell’ampliamento di quelle esistenti per i prossimi tre anni in una fetta di città di 1,2 chilometri quadrati che abbraccia tra l’altro piazza del Gesù, via San Biagio dei Librai, piazza San Domenico e la celebre via San Gregorio Armeno, quella dei maestri del presepe.

Code a Napoli all'ingresso di "All'Antico Vinaio"

Più cultura o meno cultura?

Ottomila in totale, ad oggi, le attività che preparano cibo d’asporto: dal 2019 crescono con una media del 10% all’anno. E con i cuoppi fritti e le pizzerie, ecco spopolare i panini. «Credo sia un trend passeggero», spiega Massimo Di Porzio, presidente di Confcommercio Napoli, snocciolando i dati del fenomeno, lui che di fatto è anche ambasciatore, con la pizzeria “Umberto” di via Alabardieri, del prodotto più tipicamente partenopeo. «Non vorrei – aggiunge – che ci si dimenticasse dei principi fondanti della dieta mediterranea, che vede nella pizza napoletana e nella cucina semplice del territorio i suoi principi. Nei panini che vanno per la maggiore c'è troppo utilizzo di salsine e grassi polinsaturi che possono creare problemi. E se anche noi ci trovassimo nelle condizioni di molti teenagers americani, sempre sovrappeso e senza una minima cultura gastronomica».

«Per la verità da noi accade che anche ragazzini di 12 anni apprezzino la burrata e la crema di pistacchio, c’è una maggiore attenzione agli ingredienti e il panino non è più una soluzione di serie B per i muratori nella pausa pranzo», controbatte convinto Donato, mentre finisce di girare il video con il quale promuove il panino portafortuna, con tanto di immancabile corno in ceramica, rosso come il pane: dentro ci finiscono – insieme ai luoghi comuni - crema di pomodori secchi, pecorino al peperoncino e pancetta genericamente locale. Lui sorride e cita immancabilmente Eduardo: «Essere superstizioni è da ignoranti, non esserlo porta sfortuna». Pioggia di commenti e cuoricini, ça va sans dire. È la rete, bellezza.

Una delle campagne social di "Puok"

Una delle campagne social di "Puok"

Più forma o più sostanza?

Così fa gioco un po’ a tutti, a quanto pare, il duello – o presunto tale – con l’ultimo arrivato in città, All’Antico Vinaio, che ha portato a Napoli, nel centralissimo corso Umberto, le sue schiacciatine (la tricolore è ripiena di carpaccio di manzo, crema di pistacchio, stracciatella e granella di nocciola; porchetta, crema di cipolle leggermente piccante e crema di patate arrosto insaporiscono la numero 1). Chilometriche le file, con disagi per gli automobilisti.

E sui social è già ampiamente partita la “challenge”: meglio lui o “Con mollica o senza?”. Qualche blog e quotidiano locale ipotizza conseguenze nefaste della concorrenza made in Toscana sull’impero del salumiere napoletano. Che nega e, anzi, rilancia: “Sono prodotti differenti, il panino non è la focaccia. Ci siamo scritti, ci siamo fatti i complimenti a vicenda. Da lui vanno soprattutto i napoletani in cerca della novità, il mio pubblico è all’80% turistico. Oggi, però, metterci a confronto fa diventare le storie virali, ecco perché facciamo notizia”.

Ops, non è paradossale il “j’accuse” del salumiere-influencer al sistema che gli ha consentito di sfondare sul mercato? Qui, a quanto pare, vincono tutti. Compreso Puok, il burger store take away che serve panini “fuori dal comune e con ricette molto originali” (sedi in via Cilea e via Nilo). «Ho dato dignità a quello che era considerato junk food notturno», spiega Egidio Cerrone, il creator (si autodefiniscono così, titolare è ormai d’antan): 700 panini di media al giorno per ognuno dei suoi locali, cura maniacale del packaging per il servizio delivery, e scusate gli inglesismi, a quanto pare indispensabili. Logo e colori, altro che semplici sacchetti: la forma, alle volte, è sostanza. E ancora: “Mario Tortora”, il panino macelleria (rigorosamente originale anche questo, ci mancherebbe) di Chiaia. Tanti follower, il marketing prima di tutto.

Con buona pace delle piccole salumerie, tantissime a Napoli, che neanche ci sono sui social. Basta addentrarsi nei vicoli della città per scoprirle. Può valerne la pena, purché non si sparga troppo la voce.

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