Prime idee di agricoltura comunitaria. Il Dopoguerra e il piano Marshall
Tutto cominciò, alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Davanti un'Europa da ricostruire e da sfamare. Dietro, polvere e disperazione. Interi Paesi, dopo anni di sofferenze devono ripartire, prepararsi a far crescere le loro città con operai e fabbriche, migliorare le aspettative di vita, la sicurezza alimentare e la produttività agricola per sfamare la popolazione.
Il piano Marshall arriva provvidenziale e tempestivo e getta le fondamenta del sistema agricolo comune per il bene dell’Europa e della sua prosperità. L’Europa, tutta unita, deve produrre materie prime agricole per se stessa e per il mercato internazionale. Le stesse materie prime su cui si è costruita la nostra alimentazione e l’alimentazione animale che ha riempito le nostre tavole negli ultimi decenni. Il ragionamento è molto semplice, dopo anni di sofferenze e razionamento il benessere e la rinascita passano per la carne. Le proteine animali diventano il centro delle filiere produttive. Più carne per tutti, significa più cereali e soia per sfamarli. Più gente mangia carne, più abbiamo bisogno di produrre; più abbiamo bisogno di produrre e più ci sarà benessere per tutti.
La PAC del 1962 e le politiche agricole europee: cronistoria
Per chi volesse approfondire, ci sono numerosi testi che ripercorrono le evoluzioni che questa politica comune ha avuto sulla nostra alimentazione e sulla nostra vita. Se parliamo di agricoltura, infatti, siamo europei da decenni; da molto prima che la moneta unica entrasse nelle nostre vite di comuni cittadini. La PAC, politica agricola comune, data 1962 e da allora detta la linea delle colture, degli incentivi e delle regole che governano il nostro sistema alimentare.
Le politiche agricole europee sono inizialmente pensate come sussidi ai mercati e portano l’Europa velocemente a una sovrapproduzione agricola: nel 1984 vengono inserite ulteriori regole per regolarne le produzioni.
Nel 1992 i sussidi all’agricoltura cominciano a essere erogati in modo diretto agli agricoltori e proprietari terrieri a seconda delle colture da loro messe in campo. Cominciano in questi anni ad essere emessi finanziamenti anche per incentivare la protezione dell’ambiente e delle acque e della fertilità del suolo.
Il 2003 segna un altro grande passaggio epocale: gli aiuti all’agricoltura cominciano a essere non più erogati in modo solo diretto alle produzioni, ma si avvia una politica europea di sicurezza alimentare e benessere animale. I finanziamenti cominciano a essere erogati in relazione ad azioni specifiche. Inizia un percorso che, per esempio, porta alla nascita di centinaia di agriturismi nel nostro territorio. L’importanza delle aree rurali con popolazioni sempre più anziane e una crescente carenza di servizi comincia a essere uno degli argomenti in cima all’agenda. Le campagne sono spopolate, aride, iper-produttive e inquinate.
L’Europa ha bisogno d’investire sui suoi territori non solo per aumentarne la produttività, ma anche per preservarne l’ambiente e migliorare le pratiche agricole sostenibili e cosi nel 2013 avviene un altro grande passaggio epocale, lo sviluppo sostenibile e l’agricoltura biologica cominciano a essere supportati in modo più consistente.
Il paradosso del libero mercato
Il sistema agricolo europeo, è oggi uno dei sistemi alimentari occidentali con gli standard qualitativi più alti e vanta anche uno tra i più alti livelli di protezione da pesticidi e inquinanti. Il paradosso del libero mercato permette però di poter importare alimenti prodotti con questi stessi inquinanti in altre parti del mondo. Questo è solo un esempio di come in realtà sia difficile regolare e controllare gli interessi dei prezzi, l’utilizzo di fertilizzanti di sintesi e di antibiotici, ormoni, additivi che hanno un impatto enorme sui prodotti presenti oggi sugli scaffali e sulle nostre tavole.
I territori, i paesaggi e campagne del nostro Paese sono modellati continuamente da queste stesse politiche. L’Italia ha avuto enormi benefici non solo per esempio in merito alle sovvenzioni dirette alle colture (mais, soia, cereali), ma anche per i pascoli, gli allevamenti, lo sviluppo degli agriturismi, le indicazioni geografiche (IGT, DOC, DOP, DOCG, SFG), i servizi ecosistemici per aumentare la biodiversità in ambito agricolo, le rotazioni. La lista è lunga e in continua evoluzione.
Il new green deal. Un’opportunità da valorizzare
Ora, siamo nel 2020, e fisiologicamente erano già in atto importanti dibattiti: i cambiamenti climatici non sono uno scherzo, e hanno un impatto devastante sulla stabilità dell’agricoltura; la biodiversità, le rotazioni di colture e la fertilità del suolo sono ingredienti fondamentali per pensare l’agricoltura dei prossimi decenni. L’agroecologia entra finalmente in scena e contribuirà enormemente a modellare i nostri territori e le nostre produzioni. Fino a prima del Covid, il 37% del budget europeo era dedicato all’agricoltura. Il new green deal annunciato di recente dalla Commissione Europea punta a essere sempre di più uno strumento - se usato bene a livello locale, regionale e nazionale - per portare enormi cambiamenti nel nostro sistema alimentare, contribuendo a una veloce diminuzione del consumo di carne e all’assunzione di stili di vita incentrati sul benessere e la qualità della vita.
Da un lato c’è il serio rischio che una grande quantità di cibo di bassa qualità inonderà le nostre tavole, insieme ai nuovi tessuti biologici coperti da proprietà intellettuale cresciuti in laboratorio che le multinazionali ci venderanno al posto della carne. Ma c’è anche un’enorme opportunità di pensare sistemi alimentari produttivi, distributivi ed educativi nuovi: ne abbiamo bisogno più che mai. Quando facciamo la spesa o mangiamo fuori casa possiamo davvero compiere un atto politico. Decidere che modelli produttivi vogliamo finanziare, quale futuro vogliamo intorno a noi e intorno ai nostri figli e nipoti.
L’Europa è culla di popoli che da centinaia di anni hanno fatto ricerca, sperimentato e commerciato alimenti, semi, piante, frutti. Quello che mangiamo è il frutto della nostra storia, della nostra cultura e politica. Il cibo è la prima medicina, per noi e per i nostri territori. Pensiamo il cibo come leva per costruire le nostre città e campagne intorno alla qualità della vita quotidiana.
a cura di Nicola Robecchi