È sempre così, quando si ama molto qualcuno o qualcosa diventa inevitabile lottare. Siamo alle spalle della costellazione italiana disegnata dalla rossa più desiderata dal settore enogastronomico, nella sua edizione 2024, su Roma soffia il vento forte di un gelido novembre e Anthony Genovese è nel suo ristorante di via dei Banchi Vecchi. il Pagliaccio quest’anno compie i suoi vent’anni di vita e la maturità che lo chef ha raggiunto nella sua espressione gastronomica, in un sabato mattina si traduce in una appassionata e controllata esplosione di critica.
Intervista ad Anthony Genovese: "Roma addormentata, non riesce a crescere"
La discussione parte con chiacchiere da caffè del tipo “ma tu senti nessuno che apre o vuole aprire a Roma? Tutti a Milano”, le premesse sono buone e la prima domanda si allinea alle stelle.
Via Giulia, Campo de’ fiori e via dei Banchi Vecchi, una camminata bellissima fin qui. Col naso all’insù Roma è meravigliosa, ma che succede se scendiamo con lo sguardo?
Questa è una città un po’ addormentata, pigra, abbiamo bisogno di una ventata capace di scuoterla. In tutti i sensi, anche nel nostro settore. Roma ha un buon livello ristorativo, ma che ancora non viene espresso al suo massimo. Io credo sia ora di far capire a tutti che qui ci sono persone capaci di lavorare bene e che hanno voglia di far crescere l’immagine di Roma. Ci sono ragazzi giovani molto bravi e non parlo solo di stellati, che fanno i conti con un mercato sempre più difficile. Certo bisogna avere le idee chiare su chi vuoi essere e cosa vuoi fare nella tua cucina, ma se guardo a città come Londra o Parigi, noi siamo molto indietro con una politica capace di muovere un turismo importante. Sta aprendo qualcosa di nuovo, speriamo che qualcosa cambi e Roma cresca non solo economicamente, ma come mentalità.
Lei è romano di adozione, ha visto e continua a vedere questa città con gli occhi di chi ha girato il mondo, cosa c’è che proprio non funziona?
Le faccio una confidenza, io sono veramente stanco di sentirmi dire che a novembre non si lavora perché sai, siamo prima delle feste, oppure che a febbraio fa freddo e le persone non escono. Che c’è il derby!! Ma stiamo scherzando?! Mi manda in bestia. Ma ci vogliamo svegliare?! Ma svegliare di brutto! C’è una Roma antica, c’è quella rinascimentale e quella barocca, sicuramente c’è una Roma che amiamo e che rispettiamo, ma io vorrei anche una Roma nuova, una Roma grintosa e creativa, una Roma che non abbia paura di cucinare come succede in altri paesi. Il Belgio, per esempio: dove nella parte fiamminga ci sono giovani chef senza tabù che cucinano cose meravigliose. Qui invece siamo ancora a discutere di tradizione intorno a tre primi piatti da vendere ai turisti con materie prime di scarsa qualità. Questa non può essere Roma. Se vogliamo parlare di tradizione facciamolo seriamente e andiamo a chiedere a Claudio di Armando al Pantheon o ad Arcangelo Dandini, solo per fare due nomi, dobbiamo smettere di puntare politicamente solo su cose massive che abbassano l’immagine della città intera. Questa cosa mi fa arrabbiare.
Venendo alla Michelin, secondo lei è possibile che sia la città a non attrarre quel turismo di qualità necessario a richiamare l’attenzione di un circuito internazionale così importante? Potrebbe essere per questo motivo che non arriva un altro tre stelle?
Non ho la risposta, ma credo che Roma e Milano possano meritare di più. Forse quest’anno più che mai noi siamo rimasti delusi, io in primis sono rimasto amareggiato. Abbiamo fatto un ottimo lavoro, un grande percorso di motivazione e di attenzione al dettaglio, lo abbiamo fatto con precisione, passione e soprattutto voglia di cucinare e di divertirci. Perché il nostro lavoro deve essere anche questo. Io mi alzo ogni giorno per fare bene il mio lavoro e fare felici i miei clienti, però quando sei in gioco la voglia di vincere è inevitabile e se per anni arrivi sempre in finale, ma poi non ce la fai, diventa stancante. Negli ultimi anni si parla molto di vegetali e questo è un bene, soprattutto in chiave green, ma credo ci sia ancora troppa differenza di attenzione tra chi lavora conservando la tradizione e chi lo fa costruendo nuove strade del gusto. Io di certo non perdo la voglia di fare sempre il meglio che posso, questo è sicuro. Siamo a Roma, è inevitabile immaginare questa città come quel faro che per millenni ha costruito la storia, non possiamo limitarci solo a conservarla.
L’importanza di un riconoscimento non è solo nella gratificazione, ma nella capacità di essere un motore che fa da stimolo di confronto e crescita per tutti, non solo per chi lo riceve. Di questo anche si dovrebbe tenere conto, non crede?
Un nuovo Tre Stelle a Roma sarebbe un’evoluzione. Ci sarebbe una storia nuova fatta di prodotti e gusti da raccontare sotto una luce diversa a comprendere anche i produttori che sono dietro alle filiere. Darebbe una spinta a tutto il mercato e se le ottenesse un progetto come il nostro sarebbe anche un bel messaggio. Uno chef e la sua squadra di ragazzi che riesce a raggiungere quell’obiettivo senza grosse catene o gruppi di investimento alle spalle, deve essere un bel messaggio. Solo cucina, ricerca, tecnica e identità in cui riconoscersi anno dopo anno per vent’anni. Sarebbe un segnale forte per chi fa il nostro lavoro e per tutti i giovani che hanno appena aperto e puntano a crescere. Questo è il messaggio che vorrei arrivasse.
Quanto crede che sia importante il supporto delle istituzioni e l’appoggio delle amministrazioni pubbliche per cambiare le cose?
Abbiamo presentato un progetto al Sindaco di Roma, è sulla sua scrivania e stiamo aspettando una risposta. Io, Cristina Bowerman e altri miei colleghi stiamo lavorando per fare qualcosa di diverso e abbiamo necessariamente bisogno dell’appoggio pubblico. Vorremmo partire dal creare un evento importante che a Roma manca, parlo di un evento internazionale, capace di portare qui occhi e orecchie da tutto il mondo e non solo per i monumenti. Dobbiamo far scoprire al mondo il Lazio e le sue eccellenze grazie a una cucina capace di restituirgli valore. Questa è una città snobbata e maltrattata, dobbiamo avere più rispetto per Roma e il Comune deve fare la sua parte. Sistemare la questione taxi, per esempio, perché è impossibile che il turismo globale abbia un impatto da terzo mondo già dall’aeroporto. Io parlo con molti chef internazionali importanti e anche con la stampa, qui non viene nessuno perché non abbiamo appeal e non siamo capaci di avere un’immagine pulita. Anche la stampa dovrebbe sostenerci, questo appello lo lancio, perché anche per loro dovrebbe essere un risultato crescere nella qualità di nuovi contenuti da raccontare.
Basterebbe davvero un evento a cambiare Roma?
Ma no, sicuramente però sarebbe un punto di inizio e poi magari portiamo a Roma anche la presentazione della Guida Michelin Italia o che ne so, della 50th Best. Sarebbe un’onda utile a creare un movimento nuovo. Guarda cosa è successo a Madrid, che negli ultimi anni ha superato di gran lunga una Barcellona addormentata diventando una capitale gastronomica dove va tutto il mondo. Ci sono stati investimenti pubblici anche lì. Possibile che Roma non può nulla? A Udine Ein Prosit porta 80 chef da tutto il mondo e vede la partecipazione di migliaia di persone. In questa città ci vorrebbero eventi importanti tutto l’anno e non solo enogastronomici; invece, abbiamo rifiutato l’Eurovision Contest che è andato buon per loro a Torino, perderemo i Giochi Olimpici e l’amministrazione cittadina non ha una location che si possa ritenere degna per un grande evento. Ma dove andiamo così?!
Certo immaginare oggi Roma come una capitale europea cosmopolita è davvero difficile, ma se pensiamo a quanto in realtà lo sia già stata dalla fine degli anni Cinquanta, conquistando il mondo intero che ha scritto la Dolce Vita, forse possiamo davvero ripartire da qui.
Finché non cresce Roma non cresce neanche la consapevolezza sulla ristorazione romana di valore. Dobbiamo fare qualcosa per diventare veramente una grande città. Ho parlato anche con l’Assessore ai Grandi Eventi, Sport e Turismo del Comune di Roma, Alessandro Onorato e ho detto anche a lui che dobbiamo svegliarci. Dobbiamo smettere di lamentarci e di vivere di luoghi comuni, dobbiamo migliorare la nostra immagine al mondo e smettere di accontentarsi del solito turismo di passaggio, fatto di cucine e di servizi che contano esclusivamente sul fatto che a Roma non smetterà mai di venire gente. Dobbiamo investire nelle infrastrutture e nella qualità dei servizi, compresa la ristorazione e l’ospitalità. Tutte le città del mondo stanno investendo in questo senso, spingendo sul motore economico enorme che gira intorno a ristoranti e alberghi di categoria. La Michelin va in Lituania, in Turchia, a Seul e in Vietnam, in Francia Macron riceve ogni anno tutti gli chef più importanti del paese per parlare con loro e a turno li fa cucinare nelle occasioni importanti di Stato. Sarebbe ora che lo facesse anche l’Italia a partire da Roma. Invece siamo sempre approssimativi, fermi e svogliati, mentre le altre città stanno lavorando per andare oltre.