Bisogna uscire da Firenze e fare circa mezz'ora di macchina per arrivare fino a Pontassieve, al Podere Belvedere di Edoardo Tilli, fuori dai circuiti dei ristoranti d'autore cittadini e di quelli dei grandi resort di provincia, fuori anche dalla mete turistiche più battute. Nonostante questo, però, il suo è un volto sempre più noto. Un nome - quello del giovane chef filosofo – frequentemente accompagnato dal suffisso “Aut” e da desinenza mutevole: prima se ne parlava in quanto autodidatta, poi in quanto autarchico, ora finalmente in quanto autorevole.
La storia di Podere Belvedere
Era il 2012 quando, insieme alla moglie Klodiana Karafilaj, Edoardo decise di trasformare la villa-casolare della sua famiglia Tilli-Zanardelli in un ristorante che fosse non un semplice luogo in cui mangiare, ma anche una destinazione, un luogo dove fermarsi. E sperimentare un’idea di cucina che si muova in una duplice direzione: quella della memoria incarnata dalla materia prima, e quella della scoperta, personalizzata dalla ricerca tecnica. Il percorso ai fornelli di Tilli non è lineare, tanto quanto quello della sua vita: geometra e perito aeronautico, maestro di diverse discipline yoga, ha deciso di imboccare la strada della cucina 12 anni fa e - dovendo cominciare a imparare da capo - non si è mai fermato, rimanendo intransigente solo su una cosa, ovvero il realismo gnoseologico della materia prima.
Nei sette ettari di proprietà, Edoardo e Klodiana hanno sviluppato la loro produzione agricola, l’allevamento di bestiame da stalla e da cortile, la trasformazione dei prodotti dell’orto e delle stalle, il tutto sostenuto da energia rinnovabile e il recupero dei reflui. Perché anche in una cucina che si potrebbe definire (con una certa semplificazione) di ispirazione ancestrale, la ricerca scientifica e tecnica ha ruolo da protagonista. Tilli definisce “terra e fuoco” gli elementi chiave della sua proposta (così come preponderante il ruolo della carne, in special modo della selvaggina), ma qui c'è forte una ripresa del dialogo tra l’uomo e la ricerca scientifica, come pure il ritorno a tecniche di conservazione e produzione alimentare di un tempo.
Podere Belvedere: la brace
Ecco la brace diventare sinonimo di cotture a bassa temperatura su fuoco vivo, come nella sua Faraona a spasso per il mondo, una faraona alla brace a cottura lenta, preparata interamente sulle griglie con il petto cotto a una distanza di 30/40 cm dal fuoco, e una temperatura al cuore che non supera mai i 65°C, oppure nel caso opposto il Colombaccio, con capasanta, senapi e sugo di frattaglie, che dopo una marinatura di 48 ore in erbe aromatiche, viene arrostito quasi a contatto con la brace, su entrambi lati, rimanendo internamente al sangue.
Ma la sperimentazione è ovunque: L’ostrica che non vien dal mare, è di campagna è puro mimetismo, con l'ostrica ricreata con tartufo del Monte Fiesole, portulaca selvatica, nero di seppia e foglie di ostrica; e che dire del Ceviche di trippa e cozze con verdure della serra e wasabi di fiori di nasturzio e uova di trota?
Podere Belvedere: il garum
Ma per introdurre la sperimentazione più interessante e audace che si sta facendo a Podere Belvedere forse il piatto da cui partire è la Lasagna al tavolo con due ragù, vacca e garum di manzo, faraona e frattaglie con pomodorino confit. Un piatto che merita attenzione non tanto (o non solo) per parlare del ragù, grande passione dello chef, ma del meno conosciuto garum. Meno conosciuto oggi, forse, perché 2000 anni fa sarebbe stato impossibile entrare in qualsiasi ristorante o taverna d’Italia senza assaggiarlo: questa salsa liquida di interiora di pesce e pesce salato era usatissima dagli antichi Romani, che la aggiungevano come condimento a molti piatti di carne e non solo.È partendo da questa tipologia di alimenti che Edoardo si è cominciato a interrogare sul perché una salsa teoricamente a base di prodotti andati a male avesse conquistato la cucina dell’Impero. E la risposta risiede negli enzimi in essa contenuti, scaturiti proprio dalla fermentazione, i quali avevano - contrariamente a ciò che si potrebbe pensare - effetti benefici sulla digestione umana.
Ed è proprio questa connessione intrinseca tra microorganismi e alimentazione che a Podere Belvedere si sta cercando di sviluppare, in maniera seria e scientifica, applicandola a mondi fino a oggi tabù come quello della carne. Muffe, lieviti ed enzimi sono protagonisti di molti piatti della nostra tradizione e dei nostri prodotti più comuni, come ad esempio il vino, quello le conserve o (forse il più evidente) i formaggi.
Le sperimentazioni sulle carni di Edoardo Tilli
Se la scelta di carni etiche aveva portato Tilli verso vacche adulte, cresciute e vissute allo stato brado, che necessitano di lunghe frollature - 40 giorni minimo, ma anche fino a 4 mesi dove necessario - niente impediva che l’attesa potesse essere dedicata alla ricerca di nuove tecniche, o lo studio della degradazione delle proteine attraverso gli enzimi, che non solo conferisce un gusto umami alla carne, ma può rendere gli alimenti anche più digeribili. Sono partite allora le molte sperimentazioni, quelle con il penicillium, quelle con funghi - gli aspergillus - e ovviamente con il koji (aspergillus oryzae), la muffa che cresce sui cereali (si nutre di amido principalmente), utilizzata originariamente per alcune delle preparazioni simbolo della cucina asiatica, dal miso al sake allo shoyu. Un lavoro su fermentazioni e affini che si basa sui principi della probiotica, applicati tanto per la carne quanto per le verdure, in una continua ricerca di muffe nobili che (come quelle attualmente usate per la carne) ne aumentano la digeribilità, il sapore e ne garantiscono una conservazione.
Un processo di ricerca che pone l’uomo come anello della catena tra gli ecosistemi: se lo chef infatti gestisce i microorganismi, lui e il suo ristorante sono a loro volta parte dell’ecosistema del bosco circostante, che è artefice della scelta della selvaggina che qui è sempre trattata con la sacralità di un dono e cucinata in maniera rispettosa e completa, sfruttando tutto (dal cranio agli organi interni), di ciò che il bosco può offrire in ogni stagione.
Ed è forse questo il motivo principale per scoprire o riscoprire Podere Belvedere: vivere non solo l’esperienza di una raffinata cucina etica, ma anche sentirsi parte di qualcosa di infinitamente grande come un bosco o infinitamente piccolo come una coltura di muffe per il tempo di una cena, in una riconnessione con il tutto che trascende la cucina.
Podere Belvedere - Pontassieve (FI) - via San Piero a Strada n° 23 - 333 869 3448 | 329/0115099 - https://poderebelvederetuscany.it