Vittorio Fiore, enologo di lungo corso, è una figura di spicco del nostro mondo del vino. Altoatesino di nascita ha svolto gran parte della sua vita professionale in Toscana, in particolare tra Montalcino e il Chianti Classico, pur collaborando come libero professionista con cantine di tutta Italia. Non solo consulente però, ma docente alla Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa, ex direttore generale dell’Assoenologi, e dal 1992 anche produttore vinicolo con il Podere Poggio Scalette a Greve in Chianti e poi con l’azienda Castelluccio di Modigliana (Romagna). Insomma un grande esperto di sangiovese e di territori. Questa intervista è frutto di una lunga chiacchierata su quanto sta succedendo in Chianti Classico a partire dal crollo del prezzo dello sfuso che dal 2008 si è dimezzato, alla concorrenza con il Chianti Docg, al ruolo che svolgeranno le modifiche al disciplinare di produzione e la possibilità di creare delle sottozone, simili a quelle usata in Borgogna.
Il Chianti Classico in questo periodo non sembra un vino felice. Mentre altre denominazioni toscane, come Vino Nobile e Brunello, stanno sfruttando pienamente il momento favorevole dei nostri grandi rossi, il Classico stenta. Cosa sta succedendo?
Non è facile rispondere perché le cause risalgono al momento in cui si è verificata un’espansione abnorme dell’uso del nome Chianti in zone che nulla avevano a che fare con l’area originale e che per proteggersi si era attribuita il termine Classico. Di fatto il consumatore non riesce a distinguere fra Chianti Classico e Chianti e opta per quest’ultimo che gli viene offerto ad un prezzo più basso, anche in funzione del fatto che la resa per ettaro del Chianti è di 1,5 tonnellate a ettaro, superiore a quella del Chianti Classico.
Sul fronte dei prezzi com’è la situazione? Le rese, previste dal disciplinare di produzione del Classico, sono davvero molto basse eppure a fronte di ciò le quotazioni non salgono.
Purtroppo la situazione è drammatica dal punto di vista della remunerazione. Nel 2008 il prezzo di un ettolitro di Chianti Classico era di 330,00 euro oggi varia tra i 150 ed i 170 euro, una somma che copre a malapena la metà del costo di produzione. (Gli altri prezzi dello sfuso: Chianti 130,00 euro; Vino Nobile 335,00; Brunello 775,00. Fonte Ismea). L’unica via d’uscita rimane quella della bottiglia, ma, in questo caso, se non si ha un brand forte e una solida rete di vendita, non si riesce a collocare la produzione sul mercato.
I tentativi di differenziarsi dal Chianti, in atto da molti anni, quali risultati hanno dato? Al consumatore basta la parola Classico per comprendere che si tratta di un vino diverso?
A mio giudizio è stata solo un’operazione di facciata, ma il Chianti ha comunque finito per fagocitare il Chianti Classico, per i motivi che ho spiegato prima. La parola Classico non dice nulla al consumatore, per svariati motivi: non ha una valenza geografica, non ha una valenza qualitativa (come per esempio Superiore), è utilizzato per numerose altre denominazioni (tra gli altri Orvieto, Valpolicella, Soave) e quindi nemmeno è identificativo del solo Chianti Classico.
Quali risultati ha dato sinora il blocco del 20% della produzione operato per ridurre l’offerta di Chianti Classico sul mercato ?
Nell’ambito di una produzione nazionale di circa 40 milioni di ettolitri, il Chianti Classico rappresenta lo 0,62% mentre il solo Chianti ne rappresenta il 2,5%. Altro punto: la superficie vitata del Chianti Classico è costituita da 7 mila ettari e, poiché la produzione massima consentita per questo vino è di 52,5 ettolitri di vino per ettaro, ne consegue che, a pieno ritmo, la produzione totale del Chianti Classico salirà a circa 365 mila ettolitri (oggi molti vigneti sono ancora in via di reimpianto). Poiché la produzione attuale si aggira sui 240-270 mila ettolitri, significa che siamo già in sottoproduzione. Ma c’è di più: in qualche annata si è tentato di ridurre tale produzione (per legge) fino al 20% (quindi: - 50 mila ettolitri circa). Anche in questo caso, però, il prezzo del Chianti Classico sfuso non ha subìto incremento di un solo centesimo.
Le recenti modifiche del disciplinare di produzione con la creazione della Gran Selezione in che modo possono interagire con la situazione generale ?
Considero le recenti richieste di modifiche del disciplinare del Chianti Classico, molto reboanti e assolutamente non in grado di migliorare la situazione. La clausola, poi, che impedirebbe la commercializzazione del vino “atto a divenire Chianti Classico” per un intero anno dalla vendemmia, è di un autolesionismo incredibile.
Ci sono delle proposte alternative? Quali?
Partendo dal presupposto che l’espressione Chianti Classico dovrebbe rimanere, essa, però, costituirebbe semplicemente il cappello della denominazione, mentre a rappresentare l’identità territoriale di questo vino, dovrebbe essere utilizzato il nome del Comune, di una Frazione o di un “luogo detto” (purché amministrativamente identificabile), inseriti in una lista positiva anche modificabile nel tempo, nel quale sono state ottenute le uve. In proposito, disponiamo di denominazioni geografiche meravigliose e ormai note in tutto il mondo: dai quattro Comuni che riportano il riferimento “in Chianti” (Radda, Gaiole, Castellina e Greve), fino alle conosciutissime e prestigiose frazioni (Lamole, Ruffoli, Panzano) e altre ancora. Ho notato con piacere che lo stesso Presidente del Consorzio del Chianti Classico, Sergio Zingarelli, in una recente intervista ha manifestato un’apertura in questo senso, che fino a qualche mese fa non sembrava possibile.
Per leggere la replica del presidente del Consorzio Sergio Zingarelli fai click qui.
a cura di Andrea Gabbrielli
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 5 dcembre. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui.