Un vino che esprima il “miglior equilibrio tra l'azione dell'uomo e i cicli della natura”: pur senza avventurarsi nella dialettica bio-non bio, il Consorzio Viniveri sente l'urgenza di aprire una riflessione e intervenire sul dibattito riguardante i cosiddetti vini naturali. La manifestazione di Cerea – una delle prime e più importanti del settore, che compie quest'anno 17 anni – si è svolta come di consueto nei giorni che precedono il Vinitaly ospitando banchi d'assaggio e produttori di tutto il mondo, uniti da un approccio alla vitivinicoltura che rispetti valori di sostenibilità ambientale, economica ed etica perseguita in vigna e in cantina. Un approccio che, sin dal principio, rappresenta la colonna vertebrale dell'iniziativa, tra le capostipiti di un movimento ormai dilagante. E proprio osservandone la diffusione si è sentita l'esigenza di definirne i punti chiave, attraverso la scrittura di un manifesto, presentato durante una lunga degustazione di sabato 9 aprile, dal titolo La forma e la sostanza, le luci e le ombre firmato dal presidente del Consorzio ViniVeri, Paolo Vodopivec, e il giornalista Sandro Sangiorgi. Lo riportiamo integralmente.
ViniVeri. Il Manifesto La forma e la sostanza, le luci e le ombre
Molti produttori si stanno pericolosamente abituando a imperfezioni tecniche, più o meno gravi, considerandole peccati veniali o, ancora peggio, aspetti caratteristici dei propri vini – e sovente anche di quelli dei colleghi. Sentivo che sarebbe accaduto, tuttavia ho evitato accuratamente di crederci: dal mostruoso equivoco delle cantine convenzionali che firmavano appelli per sottolineare l’indispensabilità della chimica e della biotecnologia per definire vino il fermentato del mosto d’uva, stiamo passando al paradosso mostruoso di chi considera la competenza tecnica un ostacolo alla realizzazione del liquido odoroso, quasi che meno si sa e meglio si riesce.
C’è un lassismo del tutto immotivato nei confronti della relazione tra forma e sostanza, c’è una diffusa indulgenza che sdogana liquidi imbevibili. Una questione fondamentale è non scindere mai i concetti di forma e sostanza, non cedere alla banale esteriorità ma, nello stesso tempo, non cadere nella trappola della genuinità come unico riferimento qualitativo. Se ci s’impegna in un’attività nella quale contano, insieme alla tecnica agronomica e al lavoro di campagna, spiritualità, educazione, pratiche manuali, capacità di osservazione e confronto col pubblico, non si può pensare a priori di far prevalere una delle due entità, la forma o la sostanza, nel lavoro è doveroso perseguire una bellezza completa. Esiste un problema di percezione e riconoscimento della qualità, aspetto da non confondere mai con la genuinità. Quest’ultima è parte fondante di un vino buono, tuttavia l’espressione «al vino non è stato fatto nulla», che giustifica puzze e instabilità, rivela quanto si sia lontani dall’etica di forma e sostanza. Il vino è una bevanda di piacere, dunque è contenuto e contenitore, carne e respiro, sangue e nervi, accoglienza e complessità, sogno e riflessione. Oltre che imparare a vinificare, maturare e affinare il frutto del proprio lavoro agricolo, diventa ineludibile educarsi alla degustazione, in modo da coltivare un senso di bellezza che elevi e non appiattisca tanto sforzo. Sembra incredibile, ma se i vini convenzionali hanno negato e stanno negando la restituzione del luogo, molti vini naturali la nascondono o la confondono tra le maglie di infezioni endemiche, grossolane riduzioni e un’inconcepibile mancanza di custodia.
Paolo Vodopivec - Sandro Sangiorgi