Tiene e rilancia. Così il vino italiano che, anche nel 2021, ha dato prova di grande solidità e dinamismo, con l’imbottigliato certificato Valoritalia che sfiora i 10 miliardi di euro. È quanto emerso dall’Annual Report dell’ente di certificazione presentato a Roma, secondo cui, nonostante gli anni difficili, con previsioni talvolta catastrofiche, le vendite crescono in doppia cifra: +11% rispetto al 2020 e addirittura +12% rispetto al 2019. “Un bilancio per molti versi sorprendente, che non mi sarei aspettato” è il commento del presidente Francesco Liantonio “se si tiene conto di quanto è accaduto nell’ultimo triennio. Le nostre imprese vitivinicole hanno dimostrato di saper cogliere ogni opportunità e ottimizzare ogni risorsa e relazione: questo è il vero dinamismo”.
Buone le prospettive anche per l’anno in corso: “A fine maggio i dati su imbottigliamenti e certificazioni continuano a tenere, nonostante guerra, rincari, difficoltà di approvvigionamento e calo della Gdo” rivela Liantonio. “Bisognerà capire cosa succederà dopo l’estate” gli fa eco il direttore di Valoritalia Giuseppe Liberatore “il timore maggiore è un calo dei consumi, dopo che gli italiani avranno dato fondo ai propri risparmi e dovranno fare i conti con gli aumenti generalizzati”. Intanto, però, non resta che avere fiducia in un sistema che ha già saputo tenere fronte all’ondata inaspettata della pandemia e dei lockdown.
Troppe Do: aggregarsi per battere la crisi?
In questo quadro, particolarmente incoraggiante, emerge però anche un punto di criticità. Ed è quello delle troppe denominazioni e del valore molto concentrato solo su alcune di esse, come rileva il presidente Liantonio: “Le prime 50 denominazioni coprono il 95% del valore economico complessivo. Le ultime 100 appena lo 0,47%. Ciò significa che solo poche decine di denominazioni hanno un ruolo da protagoniste, mentre un centinaio sono solo spettatori. E ciò dovrebbe suggerire di riconsiderare le regole di base del sistema, apportando quelle correzioni che oggi appaiono sempre più necessarie”.
Ad indicare la strada, il past presidente di Federdoc Riccardo Ricci Curbastro, che nel 2009 è stato anche il primo presidente di Valoritalia, in carica per un triennio: “526 denominazione sono troppe” ha detto, intervenendo al convegno “Si potrebbe pensare a delle sottozone per favorire una soluzione di aggregazione, senza dover rinunciare al proprio nome in etichetta”, ha suggerito, per poi rilanciare: “Stesso discorso vale per i Consorzi: spesso, quelli più piccoli non riescono a portare a termine i compiti loro assegnati. La soluzione? Anche in questo caso, guardo a chi è un modello riuscito di aggregazione, come ad esempio l’Istituto Marchigiano di tutela Vini, che ha saputo mettere insieme tante denominazioni, lasciando loro la giusta autonomia”.
Meno Do e consorzi, ma più grandi e inclusivi, quindi. Sarà questa la strada da seguire?
a cura di Loredana Sottile
La versione completa di questo articolo è stata pubblicata sul Settimanale Tre Bicchieri del 30 giugno 2022
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