Fuori dal coro o se preferite fuori confine. Per questa quarta puntata del nostro viaggio alla scoperta di vini eretici siamo andati all'inseguimento di vitigni e territori: alla ricerca del Teroldego in terra di Sangiovese (con la benedizione di Elisabeta Foradori) e sulle tracce di Sangiovese in terra di Cannonau. I risultati? Tutti da provare, anche con l'idea di un poco di attesa, si tratti di qualche ora dall'apertura della bottiglia o di qualche anno dalla nascita. Ve li presentiamo qui: il Teroldego de La Corsa e il Tìros di Siddura.
La Corsa. Toscana Teroldego 2013
(punteggio Vini d'Italia: 86)
La battuta, certo, non ha ardito farla nessuno; ma se si fossero visti, come nelle stripes di Paperino, i fumetti sulla testa della gente mentre pensa, qualche “Ah, il Teroldego a Orbetello? Ocché, è in vacanza dal Trentino?” sarebbe apparso quasi certamente. Ma Marco Bassetti, il titolare, quando dà la fiducia, la dà tutta: e Barbara Tamburini, giovane enologa dalla mano fine e felice, e il suo sperimentato mentore Vittorio Fiore, sono un duo che sa certo meritarsela. Così, quando nel 2004 si sono scelti i vitigni per far partire La Corsa, azienda maremmana fin lì a-vignata, accanto al Sangiovese, sovrano del progetto, ecco spuntare il principe rosso trentino tra quelli destinati a far corona. “Avevamo ben presenti non solo i risultati che dà quest’uva nella sua zona d’origine”spiega soddisfatta Barbara TamburiniÂÂÂ “ma anche gli esiti delle prove da noi condotte in Toscana. Il vino che si può fare con quell’uva, qui, è bello e flessibile: il Teroldego apporta complessità e struttura se usato in assemblaggio con altre varietà, ma manifesta in pieno la sua ricchezza aromatica se imbottigliato in purezza (con note moto vivaci di frutti di bosco: lampone, mirtillo, fragola, mora) come vino di annata. E, infine, sa ambire pure vertici eccelsi se lavorato in legno”. Dieci anni dopo, nessun pentimento. E, anzi, dopo un inizio all’insegna dell’understatement, con la produzione di Teroldego usata per dare il suo nel blend a tre di uno dei prodotti di casa, l’Aghiloro, ecco il momento del debutto da attore protagonista. Con la divertente premessa di un incontro tra il “futuro” Igt in purezza (ancora figlio di vasca e senza etichetta) e la santa protettrice della specie, Elisabetta Foradori, a una fiera estera, con riconoscimento e benedizione generosi e immediati. E con un 2013 che, ora finalmente in rampa di lancio, spiega subito le ali. Pur essendo “solo” un rookie. Giovanissimo? Di più. Esuberante? Eh, sì. Varietale? Perbacco! Stappi, versi, ed è tutto un lampo di lampone, una scansione olfattiva di grazia e sottobosco, mentre il vino scintilla luminoso nel bicchiere. Poi, la pazienza di aspettare (8 ore per il primo riassaggio, 24 il secondo) ed ecco le tappe classiche della “creatura” al primo incontro col mondo. Chiusura temporanea in mezzo, poi nuovo curioso tirar fuori il capo, ma già con la maggior complessità data da ossigeno ed esperienza: tannini (ma dolci) e sentori più boscosi e terrosi che si affiancano, con nuance minerali, ai piccoli frutti. Bella prova per una bottiglia che uscirà a 10 euro circa in scaffale!
Siddura. Colli del Limbara Tìros 2012
(punteggio Vini d'Italia: 82)
Due anni di vita, con etichetta e bottiglie in giro. Un soffio, se si parla di vino. Un piccolo tornado però, quanto a energia e voglia di fare. Si chiama Siddura l’azienda gallurese nata per l’innamoramento di un fashion manarrivato dalla Germania, e che ora un gruppo di soci (tra loro Massimo Ruggero) sta spingendo a pieni pedali. Tra i prodotti c’è tutto quello che ci dev’essere, ovviamente, in un posto che è considerato al cuore della sua zona. Il Vermentino e a ruota i rossi indigeni (Cannonau in primis) che il copione prescrive. Poi, dal gruppo, ecco spuntare una maglia sempre rossa,ma diversa: quella del Tiros, il Sangiovese. Perché quest’idea? “Mi suona strana questa domanda” fa mostra di cadere dalle nubi Dino Dini, enologo di Siddura e responsabile delle scelte ampelografiche, e continua “a dirla tutta, il Sangiovese qua è inusuale tanto quanto il Cabernet e sicuramente non meno di altri vitigni che oggi fanno comunque parte del patrimonio viticolo isolano. È uno dei grandi vitigni a bacca rossa che meglio rappresenta il nostro Paese e la nostra passione per la viticoltura nel rapporto col resto del mondo. Con il giusto terroir, poi, esprime tutta la potenza e ricchezza del suo frutto inconfondibile. È un vitigno nobile e sui Colli del Limbara, oltre ad aver trovato un microclima ideale, il nostro Sangiovese è stato coccolato a dovere, ma anche – siamo in Sardegna – chiamato a far parte della sfida orgogliosa che caratterizza tutta la storia dell’isola e dei suoi abitanti, rapporto con la vigna incluso”. Fatto sta che il Tìros, 85% Sangiovese e il little touch territoriale del Cagnulari per il restante 15%, conquista subito il suo spazio. Medio infittimento (5.000 piedi per ettaro), raccolta settembrina, fermentazione termo controllata, poi malolattica e 12 mesi di affinamento in barriques francesi: l’iter di un rosso ambizioso. E il risultato, a primo assaggio, conferma. I tannini sono giovani, ma sono quelli. L’uva parla, e si racconta bene anche nelle componenti olfattive. Alle note di ciliegia e, in genere, di frutti rossi, si aggiunge però una vena di morbidezza evidente (ma non smodata) che bilancia lo scheletro. E poi, una nuance minerale, sapida, che è la firma del luogo. Da attendere, ma con fiducia. Che succederà quando questo novellino – per Usini e dintorni – diventerà anziano? Viaggia sui 15 euro.
La Corsa | s.da del Prataccione, 19 | Orbetello (GR) | tel. 0564.880007 | www.lacorsawine.it
Siddura | loc. Siddura | Luogosanto (OT) | tel. 079.6513027 | www.siddura.com
a cura di Antonio Paolini
foto in apertura: Andrea Annessi Mecci
Articolo uscito sul numero di Giugno 2014 del Gambero Rosso. Per abbonarti clicca qui
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