Samstag Mart. Un mercato contadino di montagna
In dialetto Walser, Samstag Mart è il Mercato del Sabato. Nella valle di Gressoney – Saint Jean, alle pendici del monte Rosa, la lingua Titsch è ancora un segno tangibile e identitario della comunità che abita il territorio, conosciuto ai più come meta turistica valdostana. E il Mercato del Sabato, nell’orto di Paysage a Manger, è un appuntamento fisso dell’estate, frequentato soprattutto da turisti e villeggianti abituali in arrivo dalle città del Nord. Questa dinamica, però, è destinata a cambiare. Almeno nelle intenzioni di un gruppo molto motivato di produttori e artigiani che da qualche mese si è costituito in rete d’impresa, con l’obiettivo di rinsaldare il rapporto con la comunità locale e valorizzare il ruolo di chi produce cibo nelle dinamiche sociali, culturali ed economiche del territorio. L’idea nasce e si concretizza nello spazio di un’azienda agricola giovane e innovativa, pur molto legata al recupero di tradizioni (e varietà) della montagna.
Al lavoro ci sono Federico Chierico e Federico Rial, che abbiamo già avuto modo di includere nella mappatura dei giovani produttori italiani impegnati a ripristinare il valore del lavoro agricolo. Conosciuti principalmente per la coltivazione in alta quota di molte varietà di patate, i ragazzi sono impegnati da qualche anno in un convincente progetto di tutela dell’agricoltura di montagna.
La rete di impresa Samstag Mart. Un lavoro di comunità
E con lo stesso obiettivo nasce la rete Samstag Mart: “Da un paio d’anni, nel nostro orto organizziamo un mercato del sabato, dalla fine di giugno all’inizio di novembre, per vendere i nostri prodotti. A partire dal prossimo 20 giugno, però, la formazione sarà più nutrita e più ambizioso il respiro dell’operazione”. Per concretizzare un’idea già in nuce, infatti, i ragazzi hanno usufruito di un bando Gal della regione Valle d’Aosta, mirato a favorire le reti di impresa: “È capitato al momento giusto, avevamo già le idee chiare, abbiamo provato a partecipare. Tre sono i temi che vogliamo sviluppare: dare valore alla produzione di cibo buono, pulito e remunerato il giusto; valorizzare la ruralità d’alta quota; coinvolgere la comunità”. L’ultimo punto, per Federico, è essenziale: “Coinvolgere la comunità è spesso il problema delle realtà come le nostre, siamo ‘belli’ e all’avanguardia, ma non sempre riusciamo a comunicare con gli abitanti del posto”. E lo stesso vale per la ristorazione locale: “Dovremmo lavorare di più con i ristoratori della valle, ma loro hanno necessità di numeri e logistica che non possiamo fornire, e noi, al contempo, dobbiamo massimizzare il profitto. Sarebbe necessario un passaggio culturale che facesse intendere il valore della collaborazione reciproca oltre l’aspetto economico. E costituire un gruppo aiuta a studiare dinamiche di coinvolgimento, oltre che a immaginare nuovi scenari di futuro”.
Il gruppo, ora, c’è: “Siamo sei produttori, ben disponibili ad accettare nuove adesioni. Il progetto legato al bando è triennale, abbiamo lavorato per strutturare la vendita e insieme organizzeremo azioni di formazione per noi e di coinvolgimento della comunità”.
I produttori di Samstag Mart
Dal 20 giugno, ogni sabato, il gruppo venderà i propri prodotti nell’orto di Paysage a Manger: “Abbiamo fatto realizzare da un falegname di Gressoney dei bei gazebo in legno, distribuiremo materiale informativo e risponderemo a tutte le curiosità. Ma proprio per dare dimensione stabile alla vendita, i nostri prodotti saranno sempre disponibili presso il minimarket Valdobbia di Anna e Joseph, genitori del mio socio, che abbiamo coinvolto nella rete d’impresa. Spesso il reperimento dei prodotti di montagna è difficile, noi vogliamo rendere l’acquisto accessibile. C’è anche la voglia di prendersi meno sul serio: non possiamo presentarci sul piedistallo di chi fa le cose bene senza se e senza ma, vogliamo aprirci al confronto”. Ma cosa si potrà acquistare al mercato? Le realtà coinvolte operano tutte nella Valle del Lys, tranne una, l’agripanetteria La Terra che ride, di Verrayes: “Katia e Paolo sono dei puristi del pane, seguono tutta la filiera, dalla coltivazione dei cereali al prodotto finale, a tutto questo a 1500 metri di quota!”.
Dai 1250 metri di Deles, invece, arriva la biscotteria di Wanda, C’era una volta, che produce anche un’ottima giardiniera e un bagnet con l’aglio ursino che cresce spontaneo in valle. La quota ortaggi è coperta dai ragazzi di Paysage a Manger insieme a un’altra giovane realtà di Gressoney, il Walser Garten di Umberto Brunero. Da Zuino, invece, arrivano miele (di acacia, rododendro e millefiori) e confetture da piccoli frutti coltivati dall’agriturismo Naturalys.
E poi c’è Simone Laurent, allevatore di lunga esperienza, con un profilo un po’ diverso dai “nuovi” produttori di montagna: “Il vero simbolo della montagna è il formaggio, riuscire a coinvolgere Simone è stato fantastico. Loro fanno un lavoro incredibile in alpeggio a 2200 metri, ci vogliono 3 ore di cammino per raggiungerlo, stanno su con le mucche tutta l’estate, producono toma di Gressoney (ma anche burro, primo sale e reblec) senza fermenti, non usano mangimi, sono un unicum nella regione e una bella realtà familiare, old style. E dall’anno scorso accolgono anche ospiti in quota, per pranzi a base di polenta e formaggio”. Tutti loro animeranno il mercato, ma si impegnano anche a cercare altrove ispirazione: “Visiteremo altre realtà agricole, fuori regione e in Svizzera. Con grande attenzione alle cooperative, da cui possiamo imparare a lavorare in gruppo”.
Il nuovo futuro: no al consumo dei territori
Si riparte con slancio, dunque, dopo un periodo di stop che ha aperto nuove opportunità da cogliere: “C’è stata una forte spinta a sostenere i piccoli produttori, ma perché non si riveli un fuoco di paglia dobbiamo essere bravi noi a coltivare il desiderio di costruire rapporti umani e di supporto alle attività del territorio. E lo stesso vale su scala più ampia: l’occasione di riflessione è arrivata, l’uomo storicamente non è sempre stato bravo a carpire le occasioni d’oro. Il rischio per la montagna è che, dopo mesi di clausura, si materializzi un consumo del fresco, dell’aria aperta, degli spazi verdi nell’immediato, ma senza un approccio costruttivo, finalizzato solo alla merenda sul prato. E allora devono essere bravi i territori a condividere i propri valori: la montagna può offrire servizi ma in cambio deve ricevere qualcosa, altrimenti il rapporto resta squilibrato com’è stato finora”.
a cura di Livia Montagnoli