Lo scandalo delle scrippelle 'mbusse col latte. Valentina Persia sbaglia la ricetta (e lo sa)

23 Apr 2024, 11:33 | a cura di
La comica e attrice prestata ai fornelli nel prime time di Food Network racconta la cucina delle sue origini con qualche licenza poetica. Ma si fa perdonare

Ogni volta che Valentina Persia fa una scrippella, muore un teramano. Se ce n'erano sintonizzati su Food Network davanti alla puntata di mercoledì 17 aprile de "Le ricette di casa Persia, l’Abruzzo a modo mio" (in prima tv ogni mercoledì sera alle 21 su canale 33 o in streaming su Discovery+) abbiamo ragione di pensare che non devono aver preso bene assistere al "sacrilegio" del latte nella scrippella. «Una volta la padella si ungeva col grasso di prosciutto, invece che col burro, perché si sa, del maiale non si butta via niente. E anche nella scrippella, al posto del latte ci andava l'acqua, per renderla più leggera. Ma a noi la roba leggera non ci piace, e quindi...» spiega per correttezza filologica la comica e attrice prestata ai fornelli, in questa avventura televisiva (di quella di Giorgio Mastrota sullo stesso canale abbiamo parlato qui) dedicata alla cucina delle sue origini - l'Abruzzo - affiancata dalla mamma Nietta (Maria Antonietta).

La scrippella teramana si fa con l'acqua

Che una volta nelle cucine contadine si badasse alla leggerezza è tutto da vedere. La scrippella 'mbussa è figlia illegittima della crêpe francese, “affogata” per sbaglio nel brodo di gallina da un cuoco d’Oltralpe al servizio degli ufficiali di stanza a Teramo, della cui provincia è uno dei piatti più tradizionali e non troppo conosciuti al di fuori dei confini regionali. Nella ricetta canonica, quella che ti lasciano in eredità zia e nonne, la pastella è fatta con uova, farina (un cucchiaio raso a uovo), acqua "qb", affinché il risultato sia una "velina" sottile e quasi trasparente che però non deve rompersi al momento di arrotolarla. Perciò è altresì necessario che la pastella riposi almeno mezz'ora: man mano che la farina assorbe il liquido, infatti, tocca "rabboccare" il composto perché non si addensi troppo e diventi una crema setosa, senza grumi, che veli appena il cucchiaio (e nella specifica della texture la versione di Persia ci piace).

Poi si procede alla cottura, che richiede pazienza, occhio allenato («Te devi avvicinà tu dove stanno, senza che fai il trasporto» redarguisce Nietta), gioco di polso con la (o “le” padelle, ché gli "scrippellattori" col pedigree ne sanno gestire anche quattro contemporaneamente), polpastrelli di amianto e un po' di coraggio: non si saltano a mo' di frittata come accade in trasmissione, ma si girano con le dita. A questo punto, se il brodo sobbolle, il gioco è fatto: si riempiono una alla volta con una manciata di parmigiano o pecorino e a seconda delle versioni, un pizzico di noce moscata o di prezzemolo, si arrotolano, si dispongono nella fondina (circa 3 o 4 a commensale) e si ricoprono di brodo caldo, per chiudere con una spolverata di formaggio grattugiato. E bisogna ammettere in tutta onestà che, shock del latte a parte, il risultato di Valentina Persia e di mamma Nietta, narratrici di una tradizione abruzzese anche poco conosciuta (e pure questo ci piace), ha un suo gran perché.

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