Cosa ha a che fare Zucchero, il cantautore, con il cibo? Molto. Più di quanto possiate pensare. In una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera fra depressione, gavetta, successi, ha dato spazio a storie che legano la sua vita al cibo. Il suo rapporto, però, non ha nulla a che fare con il nome d’arte, tant’è che spiega al Corriere: «Mi chiamava così la mia maestra: introverso, sempre all’ultimo banco, non parlavo mai; anche se con qualche compagno siamo amici ancora adesso. Ero un bambino molto educato: vengo da una famiglia di contadini, guai se non ti comportavi bene». Ma cosa lo unisce fortemente alla tavola? L’attività dei genitori e uno zio – fondamentale nella sua esistenza – che mangiava riso per essere come Mao Tse-tung.
Zucchero: la vita in caseificio e un passato da rider
I suoi genitori, come racconta al Corriere della Sera, erano mezzadri a Roncocesi, una frazione di Reggio Emilia. Dopo la morte del nonno, il padre prese il suo posto ereditando il caseificio e, nonostante fosse piccolo, anche Zucchero dava di suo contributo all’attività di famiglia: «Prima di andare a scuola dovevo accendere le caldaie. Dalla forma appena uscita mio padre mi dava il tosone, una roba gommosa che sa di formaggio. Così andavo in classe con questo sacchettino, col tosone, che era la mia merenda».
Il caseificio di famiglia è stato fondamentale nella sua vita, non solo perché dava da mangiare alla sua famiglia, ma anche per i ricordi che porta con sé, come quel ghiacciolo che il padre gli preparava: «Il carretto dei ghiaccioli, che chiamavamo biff. Io volevo il biff ma costava venti lire, papà non me lo voleva comprare; piuttosto lo faceva lui con il ghiaccio del caseificio, e me lo dava così, in mano. Un mio amico mi rubò il biff, io lo centrai con un sassolino in testa».
Dopo che suo padre ebbe un incidente, cadendo da una scala sui cui era salito per stagionare il parmigiano, fu chiamato da un suo amico da Forte dei Marmi che lo invogliò a trasferirsi per avere una migliore opportunità di affari: in città formaggi e salumi andavano fortissimo.
E di lì partirono. Al Corriere racconta: «A Forte dei Marmi ci avevano promesso un magazzino, che però non c’era più: al babbo non avevano dato la licenza, non volevano concorrenti». Eppure, prima di rinunciare a tutto e tornare indietro a casa, suo padre: «…si accontentò di un negozietto di alimentari. D’estate diventavamo matti: i miei in negozio, io in giro con una bicicletta pesante fino a sera per le consegne, colazioni pranzi merende cene». Un rider, dunque, come viene definito sul Corriere.
Dal nonno Cannella al prete Tagliatella
Zucchero, Cannella («Nonno Roberto lo chiamavano Cannella, immagino perché era alto e magro»), Tagliatella. I riferimenti al cibo continuano, ma chi ha influenzato vita di Fornaciari lasciando un ricordo vivido nella sua testa è stato lo zio Enzo, detto Guerra: «Mio zio zitello nella sua cameretta teneva tutti i libri di Marx, Lenin, Mao». E poi continua: «Mangiava riso in bianco tutte le sere, perché voleva mangiare come Mao. Io mi dicevo: prima o poi gli verrà la nausea. Invece niente, sempre riso. Passava i pomeriggi su una panchina a litigare con il prete, don Giovanni detto don Tagliatella. Rivali e amici, come Peppone e don Camillo. La domenica mi diceva: “Delmo, vai a chiamare il prete, che è solo, portalo a pranzo da noi”. Sono morti negli stessi giorni, prima il prete poi lo zio».