Brachetto d’Acqui. Un vino dalla storia secolare

21 Feb 2023, 14:17 | a cura di

Brachetto d’Acqui. La storia della Doc

Tra i numerosi vitigni che compongono il ricco caleidoscopio dell’ampelografia del Piemonte il Brachetto o Brachetto d’Acqui, come viene abitualmente chiamato, ha oggi ampia visibilità. Sono molti i vitigni aromatici presenti in regione - sia a bacca bianca che rossa - e tra questi il Brachetto può contare su una superficie totale seconda solo al Moscato Bianco. Dei circa 1.400 ettari destinati a questo vitigno in Piemonte ben 1.050 (ovvero quasi il 70%) rientrano nella Docg Acqui-Brachetto d’Acqui: dati confermano lo stretto e antico legame che si è creato tra questo vitigno e l’Acquese, angolo sudorientale dell’Alto Monferrato in prossimità dell’Appenino e a due passi dal confine con la Liguria.

Brachetto d’Acqui. La Doc nel 1969

È proprio per il legame stretto col territorio che il Brachetto d’Acqui nel 1969 ottiene la Doc per le tipologie Frizzante e Spumante, entrambe con bassa gradazione alcolica e zuccheri residui: se la provenienza di questa uva è infatti incerta – una teoria poco seguita ipotizza un’origine francese nella zona di Nizza – la sua presenza è invece attestata in Piemonte almeno dall’inizio del XVII secolo quando, insieme al Moscato, era uno dei vini servito alla corte dei Savoia. Nella prima metà dell‘800 Lorenzo Francesco Gatta ne testimonia ancora la diffusione in Piemonte e poco prima, nel 1817, il naturalista Gallesio lo annovera tra i “Vini Celebri” e lo cataloga tra i rossi da dessert alcolici e poco colorati, sebbene di ottima longevità. Quando nel 1862 Leopoldo Incisa della Rocchetta inserisce il Brachetto nel suo primo catalogo delle varietà note: qui, elencando 105 vitigni italiani e internazionali, ribadisce la sua ampia e antica diffusione nel Monferrato. In quel periodo nascono i primi studi approfonditi di ampelografia e Giuseppe Di Rovasenda nel suo Saggio di Ampelografia Universale (1877) cita due tipi di Brachetto: uno a sapore semplice diffuso a Nizza, in Francia, e uno a sapore aromatico.

Brachetto d’Acqui. Dal 1860 alla fillossera

Dopo il 1860 con il progressivo miglioramento delle tecniche produttive e la nascita delle tecniche spumantistiche nella zona di Canelli grazie a Carlo Gancia, inizia per il Moscato e il Brachetto un periodo di grandi fasti. Il consumo del Brachetto Spumante o “spumeggiante” – da leggere con tutta probabilità: frizzante – si diffonde in Sud America e le esportazioni, tra fine ‘800 inizio ‘900, vanno a gonfie vele. In quel periodo la forte richiesta di uve spinge i viticoltori a estendere gli impianti e il Brachetto è presente in oltre 60 comuni del Piemonte. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, il diffondersi della fillossera provoca il primo grande stop: al momento di ripiantare i vigneti, molti viticoltori hanno optato per uve più produttive e quindi più redditizie, o per varietà più facili da coltivare o anche per vitigni in grado di soddisfare le tendenze del mercato. Significativo notare, però, che in questi momenti di maggior difficoltà il Brachetto è rimasto ancorato alle sue terre di elezione tra Acqui e Nizza Monferrato.

Brachetto d’Acqui. Grande vocazione per la spumantizzazione

Nel corso dei secoli, il Brachetto conserva una spiccata vocazione per la spumantizzazione e assume sempre più le sembianze che oggi conosciamo e che coincidono con la descrizione che ne fa Garino Canina, futuro direttore della Stazione Sperimentale di Asti, nel 1922: “… tra i vini di lusso, il Brachetto appartiene alla categoria dei rossi dolci ed aromatici: è, infatti, un vino con profumo speciale, moderatamente alcolico e zuccherino, non molto colorito, che per lo più si consuma spumeggiante o spumante”. Con gli anni ’50 e con l’attento e lungimirante lavoro di Arturo Bersano (mise a punto la rifermentazione in autoclave con il metodo Charmat-Martinotti) e con l’abbandono definitivo della complicata e laboriosa pratica delle filtrazioni con i sacchi olandesi, il Brachetto riprese piano piano a viaggiare fino ad arrivare alla Doc del 1969.

Brachetto d’Acqui. Le nuove tipologie

Per molto tempo il consumo del Brachetto d’Acqui, vino dolce ricco di aromi di rose e di fragoline di bosco, si è limitato all’abbinamento con i dessert e con la frutta. Bevuto tra 8 e 12 gradi di temperatura è ottimo con le fragole e con le pesche. Forse è stato proprio questo consumo “quasi obbligato” a limitarne la crescita, legandolo oltre modo alle abitudini e agli usi localistici. In quest’ottica il Consorzio Tutela Vini d’Acqui (oltre al Brachetto d’Acqui, il Consorzio tutela anche il Dolcetto d’Acqui), brillantemente presieduto negli ultimi 25 anni da Paolo Ricagno (rieletto anche per il triennio 2022-2024) ha ampiamente spinto per l’ultima modifica della Docg che arricchisce l’offerta con l’Acqui Rosato sia nella versione ferma che in quella spumante (con metodo Charmat o metodo classico) ottenuto separando con anticipo il mosto dalle bucce, e con l’Acqui (rosso secco).

Questo restyling del Brachetto d’Acqui gli ha donato una nuova giovinezza e lo ha messo in competizione con altri vini riuscendo al tempo stesso ad attrarre nuovi consumatori: in particolare si punta ai giovani e ai nuovi momenti di consumo (come aperitivi e aperi-cene) abbinando queste nuove tipologie con stuzzichini salati. C’è anche chi gioca alla riscoperta delle vecchie tradizioni contadine in cui il vino aromatico secco (ma anche dolce) veniva consumato con i salumi ed eventualmente con crostini salati.

Brachetto d’Acqui. Il territorio

 L’areale della denominazione comprende 26 comuni (8 in provincia di Alessandria – tra cui Acqui Terme che diede il nome alla Doc – e 18 in provincia di Asti) e potremmo grossolanamente delimitarla dal torrente Belbo a nord e a ovest e dal fiume Bormida a sud e a est. Nel 1992, con la nascita del Consorzio Tutela Vini d’Acqui, inizia il controllo sul territorio con particolare attenzione all’espansione delle vigne e al materiale vivaistico dei nuovi impianti.

Subito arrivano i primi risultati: nel 1996 il Brachetto d’Acqui (o Acqui) ottiene la Docg con le tre tipologie: Brachetto d’Acqui Spumante (rosso dolce spumante), Brachetto d’Acqui (detto anche “tappo raso” che è rosso dolce frizzante) e Brachetto d’Acqui Passito (rosso dolce passito). Sono le tre ripologie storiche. Le ultime modifiche al disciplinare hanno aggiunto le tipologie secche rosate e rosse che possono essere lavorate con Metodo Charmat o anche con Metodo Classico, con tappo a fungo e gabbietta se spumanti. Resta il comune denominatore della aromaticità del vitigno.

Il disciplinare prevede una composizione varietale di almeno il 97% di Brachetto e rese massime di 80 quintali/ettaro con possibilità di ridurla in annate poco favorevoli. Grazie all’impegno del Consorzio per la promozione e la valorizzazione del prodotto, la notorietà del Brachetto d’Acqui cresce e conseguentemente si innalzano anche le vendite, facendo esplodere il prezzo delle uve che raggiungono nel 1997 prezzi mai visti, se non per i grandi rossi di Langa, di 4.700 lire/chilo.

Paolo Ricagno - foto di Vittorio Ubertone

Brachetto d’Acqui. Intervista al presidente del Consorzio Tutela Vini d'Acqui

Paolo Ricagno, appena rieletto presidente del Consorzio Tutela Vini d’Acqui per il prossimo triennio (2022-2024), ha traghettato negli ultimi 25 anni il Brachetto d’Acqui verso uno stile di maggiore modernità.

Quali i punti di forza del vostro vino che ha attraversato i secoli e oggi vive una seconda giovinezza?

Nel corso della sua lunga storia il Brachetto, come numerosi altri vini, ha alternato momenti di splendore ad anni o decenni bui. Il gusto dolce che lo ha accompagnato per buona parte della sua storia è stato il suo punto di forza ma anche il suo punto debole. Come tutti i vini da dessert o da meditazione e quelli aromatici e quindi dalla forte personalità, il Brachetto è stato sballottato dal gusto dei consumatori, dalle mode e dalle tendenze commerciali.

Come si è evoluto il Brachetto d’Acqui e come persegue la qualità?

In poco più di 30 anni il Brachetto ha subito più trasformazioni che nei precedenti due secoli. Fin dalla sua nascita il Consorzio riesce a far convergere interessi opposti e a far collaborare categorie diverse: oggi aderiscono e coabitano 26 case spumantistiche, 17 cooperative e 17 aziende agricole. In poco tempo abbiamo ottenuto la Docg, grazie anche a misure poco popolari come i parziali blocchi di nuovi impianti o le drastiche riduzioni delle rese per ettaro: fino a 50-60 quintali su un vitigno già poco generoso di suo. Ma questo è servito a dare equilibrio al mercato e ha migliorato la qualità dei vini traducendosi in più reddito per i produttori.

Ci racconti un po’ fortune e avventure di questo vino nel corso degli anni…

Ai tempi d’oro le grandi aziende spumantistiche avevano importanti mercati esteri (Barbero con il marchio Conte di Cavour ha prodotto fino a 950mila bottiglie l’anno) e da un ettaro un viticoltore poteva arrivare a incassare oltre 30milioni di lire. Brachetto Spumante (dolce) è riuscito a sfornare fino a 8milioni di bottiglie l’anno. Poi ci sono state crisi aziendali importanti e soprattutto un cambio radicale e recente nel gusto dei consumatori: la produzione totale delle versioni dolci è scesa a 3milioni di bottiglie l’anno. Queste nuove tendenze ci hanno spinto a trasformare la produzione e a dare nuovo senso a un vino con secoli di storia: oggi il futuro lo stiamo impostando sui rosati e sui rossi secchi, spumanti, frizzanti o fermi che siano.

Largo a versatilità e a nuove mode, dunque… Ma avremo sempre anche il classico (intramontabile) spumante dolce?

Dal 2018 di assecondare le richieste di un mercato giovane e meno formale, che beve vino fuori casa e spesso fuori pasto. Per loro il vino deve essere di facile bevibilità, ovvero: fresco e leggero. Gli ultimi anni hanno anche visto diventare mlto di tendenza i vino rosati: è stato del tutto normale pensare anche a un Acqui Rosé Spumante o fermo. Addirittura abbiamo pensato a questa tipologia anche prima del Prosecco, ma non è stato facile ottenere dal ministero la modifica del disciplinare e purtroppo l’imbottigliamento fuori zona è stato autorizzato solo nelle regioni limitrofe limitando ad esempio l’interesse dei colossi spumantistici veneti.

Un altro dei punti forti di queste nuove tipologie secche è l’abbinamento con il cibo: abbiamo la possibilità di estendere l’uso del nostro vino sulle tavole dove vini secchi hanno più chance. Tutto senza abbandonare le versioni spumanti dolci che rappresentano buona parte della nostra storia. Per esempio, penso a un classico degli. utimi tempi: l’Acqui Rosé secco con i piatti speziati e piccanti di molte cucine etniche e fusion. Abbiamo anche provato i nostri Rosé spumanti con dei crudi di mare e persino con delle fritture di pesce: provare per credere. Piano piano la produzione di queste nuove tipologie sta prendendo piede e spero che presto possa portarci verso un futuro più rosa.

Vini d'Acqui e Brachetto d'Acqui. Il tour

Le versioni classiche dolci e spumanti  e le nuove generazioni di etichette secche e ferme dei vini d'Acqui, ottime anche con pesce e frittura, sono le protagoniste del tour Il dolce, il rosso e il rosé. Alla scoperta dei Vini d'Acqui, organizzato da Gambero Rosso e dal Consorzio di Tutela Vini d’Acqui. Tra marzo e giugno, a Torino, Napoli e Roma, si potrà partecipare a cene degustazione - con menu ideati per l'occasione -, masterclass e wine tasting, che permetteranno di apprezzare la naturale eleganza e peculiarità di vini unici, grandi interpretazioni del loro territorio d’origine: il Monferrato.

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Consorzio Tutela Vini d’Acqui - Acqui Terme (AL) - piazzetta Abramo Levi, 7
brachettodacqui.com
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Attività realizzata con il contributo del MASAF, ai sensi del decreto direttoriale n. 553922 del 28 ottobre 2022 (cfr. par. 3.3 dell’allegato D al d.d. 302355 del 7 luglio 2022) CUP J88H22001680008

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