Giannino a Milano: l'altro volto della ristorazione. Vip, calciatori e grandi numeri

13 Nov 2014, 12:30 | a cura di Maurizio Bertera
È uno dei ritrovi della Milano modaiola. Calciatori, starlette e il loro contorno, con tanto di paparazzi alla porta. Certo i tempi sono un po' cambiati, ma Giannino rimane un punto fermo per tanti vip, tifosi del Milan e non solo.
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Ai gourmet il suo nome dice pochissimo o è del tutto sconosciuto. Ma per chi segue il calcio (e il gossip) è il patron più famoso d’Italia: Lorenzo Tonetti, 39 anni, fisico atletico (ama e pratica il pugilato), è il signor Giannino, nel senso che da otto anni gestisce il ristorante sotto il porticato di via Vittor Pisani, dieci minuti a piedi dalla Stazione Centrale di Milano. Tonetti è la persona che potete vedere, con grande regolarità, nel parterre di San Siro o a fianco di Adriano Galliani, nelle trasferte del Milan: è quello con gli occhiali, decisamente imperturbabile. A differenza di Gennarino Esposito, che seduto al fianco di Aurelio De Laurentiis esulta a ogni gol del Napoli. Un patron da copertina che ha avuto un merito indiscutibile: il recupero di un brand che ha fatto la storia di Milano e bene o male ne fa parte quanto il Naviglio o la Madonnina: non è raro trovare qualche turista, giapponese in primis, che fotografa l’entrata con lo smart-phone.
Nato nel 1899 come trattoria toscana, Giannino è cresciuto costantemente nella fama sino alla conquista della doppia stella Michelin nel 1970. Poi la lenta eclissi, interrotta brevemente con un giovane Davide Oldani alla barra, stella nel 1998. Recuperato nel 2006 da Tonetti, insieme a due soci - il difensore del Milan, Kakhaber Kaladze, e un ristoratore egiziano, Joseph Ghapios - si è spostato dalla storica sede di via Sciesa in quella attuale. In pochi anni è diventato il locale dei Vip (o aspiranti tali) che non si vogliono nascondere, la sede non ufficiale del Milan e soprattutto il tempio del calcio mercato con tanto di inviati fissi davanti all’entrata e telecamere 24 ore su 24. Qui si fanno (e si disfano) molti affari importanti e tanti giocatori (se non intere squadre) si fermano a mangiare dopo un match a San Siro. Insomma è la rappresentazione di un “posto” non sempre elogiato per la qualità dei piatti e il servizio (spesso solo per sentito dire) ma che funziona come un orologio. Da qui la voglia di capirne la filosofia.

Tonetti, per molti versi lei è il ristoratore più famoso d’Italia. Curioso no?
Intanto una precisazione importante: non mi sento un ristoratore nel senso classico. Ho iniziato come barista a San Siro, proseguito come cameriere e avviato un’attività di catering. Poi con un socio ho aperto un locale – il Coriandolo – e rilevato qualche anno dopo Giannino. Per la cronaca, dovrebbero farci un monumento: dieci anni questa zona era orribile e l’abbiamo rivalutata. Senza aiuti esterni.

Perché propri Giannino?
È un marchio storico della città, come Savini tanto per capirci, ed era morto. Tanto è vero che l’abbiamo pagato quanto un’auto sportiva. Poi il caso vuole che sia nato nel 1899 come il Milan a cui devo tanto per il mio successo. Ho scelto la location giusta: vicino alla Stazione, ai grandi hotel, alla vecchia sede della società rossonera…

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La scelta di un locale “alla moda”, senza una grande firma in cucina e un menu importante, è stata meditata o si è fatta strada nel tempo?
Assolutamente. Ho pensato a quali sarebbero stati i miei primi clienti, in gran parte frequentatori del locale precedente, ai loro amici e a chi gravita in questa zona. Conoscendo benissimo i loro gusti, ho realizzato un nuovo posto “su misura”: cucina italiana tradizionale, buona cantina senza vini strani, servizio informale. Volevo creare un ambiente piacevole dove loro possono incontrarsi con regolarità, mentre chi viene per la prima volta si diverte anche con il “contorno” .

Niente di nuovo, diciamo la verità. Eppure ha funzionato.
Conosco i ristoranti “buoni”, ho grande rispetto per i fenomeni come Cracco o prima ancora Marchesi e considero uno come Santini un patron straordinario. Ma io faccio un lavoro diverso, non sono cuoco e mi considero un imprenditore che deve “anche” gestire un locale. Non ha senso fare cucina complicata in un posto alla moda, qui la gente viene per un risotto alla milanese, due spaghetti al pomodoro, la costoletta, il tonno, i cannoncini alla crema. L’esperienza gourmet se la vogliono fare, e molti la fanno perché sono preparati, appartiene a locali diversi. E comunque, mi pare che ci sia sempre più voglia di andare a cena, in modo sereno, senza complicazioni.

Tutto ciò premesso, su TripAdvisor la massacrano.
Il 90 per cento delle recensioni sono false, tantissime citano piatti che non ho in carta. Già lo considero un sistema assurdo e pericoloso, ma nel mio caso c’è godimento nel colpire un locale che funziona, senza grandi chef. Non bastasse, il patron non si sente il mago della ristorazione. Se si mangiasse così male sarei vuoto, no?

Però nel dicembre 2013, è finito in prima pagina per i problemi finanziari.
Colpa di un pezzo del Corriere della Sera, ripreso da tutti gli altri giornali e da molti siti: al di là che molti numeri erano errati, misero in piazza delle trattative private, tirando in ballo altre persone e manco chiedendomi un parere o facendo una sola domanda. Sostanzialmente, sono passato per un fallito o uno che ha dovuto chiudere un locale solo per aver chiesto aiuto a una banca, in un momento difficilissimo per i ristoratori. Molti hanno paura a dirlo, ma quando va bene hanno perso il 30 per cento del loro fatturato in due-tre anni. E parecchi hanno chiuso o sbaglio?

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Se lei non fosse personaggio, ovviamente non sarebbe successo.
Non è gossip. È malafede, cattiveria pura. Ripeto: c’è l’invidia per una persona che partendo dal servizio in sala ha costruito in otto anni un brand famoso quanto e più di molti ristoranti stellati e al tempo stesso è amico di uno come Leo Messi, il n.1 del calcio. Paradossalmente a me fa soffrire di più il danno che hanno fatto, per qualche giorno, a un gruppo di 60-70 persone che ogni giorno lavorano in modo serio, senza risparmio di energie. Io sono ancora qui, ma non mi stupisco che molti colleghi che gestiscono ristoranti e locali in genere se ne siano andati all’estero.

Beh, lei tiene duro a quanto pare. E ha ancora voglia di fare
Lavoro meno, ovviamente. E quindi ho dimezzato il personale al ristorante, cercando di tenere lo stesso livello qualitativo e stando molto più attento agli ordini come alla cantina. Peraltro, la materia prima resta sempre intorno al 30% dei costi, per un patron il problema vero sono le tasse e le spese per la burocrazia. Nuovi progetti? Un ritorno nel mondo del catering, visto che il brand ce lo consente e qualcosa a Forte dei Marmi, ma per ora non posso dire nulla.

Ma lei ce l’ha con gli aristo-chef o non le interessa la categoria?
Per carità, semmai è il contrario. Non si capacitano del fatto che spesso nessuno sa come si chiamano i loro locali e tutti – anche se non vengono a mangiare qui – sanno del mio. C’è solo una cosa che mi diverte: hanno sempre condannato quelli come me che si sono creati un’immagine in tempi non sospetti e oggi loro sono perennemente fuori dalla cucina: in tivù, ai congressi, persino ai matrimoni Vip. Hanno capito, in ritardo, che non bastano i piatti originali e perfetti per avere un vero successo.

Una curiosità. Lei è anche uno dei soci del Byblos, noto locale notturno milanese, e del ristorante-discoteca Shatush a Courmayeur. Si lavora meglio prima o dopo la mezzanotte?
Personalmente, sono più a mio agio al Byblos al di là del fatto che buona parte della clientela è la stessa che viene nei miei ristoranti. Sono più bravo in quel settore, non lo nascondo. Comunque tutti pensano che la “notte” renda di più delle cene ma anche lì si sta vivendo una crisi fortissima: da dieci bottiglie vendute di Crystal a sera, si è passati a una al mese. Solo Briatore continua a macinare successi.

Oddio Tonetti, non è un modello superato?
Non so cosa vuol dire. Però, come imprenditore è sempre il numero uno: ditemi chi è in grado di fatturare tre milioni di euro in quattro giorni di Gran Premio? Io l’ho visto in azione al Bilionnaire di Montecarlo ed è sempre sul pezzo, cura ogni dettaglio: averne di imprenditori così. Tra l’altro, vorrei ricordare che lavora con una famiglia storica di ristoratori come i Cipriani e quest’anno ha portato Wicky, uno dei migliori locali etnici in Italia, all’interno del Billionaire sardo. Non mi pare uno sprovveduto.

Parliamo di Galliani? Sa quanti fra i tifosi rossoneri – e non solo - vorrebbero avere il privilegio di sedere come lei nelle tribune migliori degli stadi italiani, a fianco del più famoso AD del calcio? Come ha fatto?
Non chiedendo nulla ed essendo amico di famiglia. Sono stato socio con sua figlia nell’azienda di catering: mai avuto un contratto con il Milan, né interessa averlo. Mi piace dare una mano in qualche occasione a persone che con la loro presenza hanno fatto pubblicità al mio locale come appunto il dottor Galliani – tra l’altro grandissimo gourmet e intenditore di vini - come la famiglia Berlusconi. Quanto alle trasferte, mi considero semplicemente un tifoso privilegiato.

Cattiverie a parte, caro Tonetti, non può negare che il suo ristorante sia forse l’ultimo baluardo di un modello in via di estinzione.
Non saprei. Di certo, la gente è arrabbiata e spesso ha ben altri problemi che seguire calciatori, veline e tronisti nelle loro imprese. Sino a qualche anno fa, qui davanti stazionavano dieci paparazzi e oggi ne vedo uno ogni tanto. Non so dire se sia giusto così o meno, tanto più che faccio un lavoro basato su una clientela medio-alta. Ma nei primi anni dall’apertura giravano “i soldi” – qui e in tanti altri posti – e tutta la città ne beneficiava. Non lo trovo un reato né una cosa moralmente discutibile.

Beh, ce ne sono meno di soldi.
No. È il terrore di spenderli che ha fatto diminuire sensibilmente il conto medio al ristorante, c’è una sensazione generale di ansia che sta distruggendo la clientela che – pochi lo ricordano – resta sempre quella che possiede il maggior risparmio privato in Europa. Sono quelli che non usano gli euro qui e vanno a spenderli nei ristoranti e nei locali di Formentera: questo sì che lo trovo assurdo. Ma non è colpa loro, mi creda.

Ristorante Giannino | Milano | via Vittor Pisani, 6 | tel. 02.66986998 | www.giannino.it

a cura di Maurizio Bertera

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