Mense scolastiche: la classifica di Foodinsider
Si è parlato di mense scolastiche alla Camera dei Deputati, qualche settimana fa. E della volontà di ripensarle, perché siano davvero momento formativo, oltre che sacrosanto diritto di ogni bambino al cibo, buono e sano. Il dibattito tiene banco, dunque, e l’auspicio è che possa produrre risultati concreti quanto prima, sin dal prossimo anno scolastico, con il fondamentale supporto – economico e normativo – delle istituzioni. Tanto più che migliorare i servizi di ristorazione collettiva nelle scuole italiane appare, alla luce dei dati divulgati da Foodinsider, una necessità a cui non ci può più sottrarre. Foodinsider è l’Osservatorio sulle mense scolastiche nato nel 2015 per monitorare “l’equilibrio delle diete proposte a scuola e l’evoluzione del sistema di ristorazione nei vari Comuni d’Italia”. Per questo, da sei anni a questa parte, pubblica annualmente un rating dei menu scolastici che tiene conto delle raccomandazioni dell’OMS, delle Linee guida della ristorazione scolastica nazionale, e di alcuni dei parametri dei CAM (Criteri Ambientali Minimi), decreto che disciplina le mense scolastiche in Italia. Il giro di boa è costituito dai 150 punti: sopra questo punteggio, la mensa rispetta i parametri di una sana alimentazione; sotto, man mano che ci si allontana dal traguardo, vengono evidenziate una serie di carenze che penalizzano gli studenti. Ne deriva una classifica dei Comuni d’Italia, stilata in collaborazione con Slow Food, valutati per l’attenzione che dedicano al tema.
I valori di una buona mensa
Ai primi posti, dunque, spiccano i modelli virtuosi che interpretano la mensa come strumento formativo, applicano i principi della responsabilità sociale e ambientale e favoriscono lo sviluppo di economie territoriali. Il podio, quest’anno, spetta alla cittadina marchigiana di Fano, con un secondo posto a pari merito per Parma e Cremona, e la medaglia di bronzo nuovamente nelle Marche, a Jesi. A premiare queste realtà è la valorizzazione della biodiversità a tavola, l’equilibrio dei menu proposti, la scelta di materie prime di qualità del territorio, l’originalità delle ricette presentate ai ragazzi per invogliarli a provare cibi nuovi. A Jesi, per esempio, spetta il merito di utilizzare nelle cucine scolastiche il pescato fresco dell’Adriatico, valorizzando il pesce povero – che ha quindi minor impatto sulla spesa – come triglie, sgombri, alici, sugarelli. Tra le grandi città, spiccano in top ten Bologna (solo decima, ma in ascesa), Ancona, Trento e Rimini, in un quadro che evidenzia l’assenza del Sud nelle prime posizioni, come pure quella del Centro Italia, fatta eccezione per l’Umbria di Perugia (ottava) e Terni (tredicesima).
Le posizioni in classifica
Per trovare il primo Comune meridionale bisogna scendere al numero 20, con Bari, ma il risultato più incoraggiante è quello di Siracusa, un anno fa fanalino di coda tra i 54 Comuni censiti (il 28% del panorama della ristorazione scolastica a livello nazionale), e oggi in risalita di dodici posizioni, comunque ancora lontana dal raggiungere l’efficienza del servizio. Anche le principali città italiane non brillano: Roma e Milano si collocano a metà classifica, rispettivamente 24esima e 25esima; Firenze è al numero 30, Napoli al 32, Torino solo al 40. La maglia nera spetta a Novara. Il rating non ha valenza scientifica, si fonda sulle informazioni pubblicate dai Comuni all’interno della tabella dietetica e su quelle ricevute via email dal personale amministrativo dei vari Comuni coinvolti nel panel, ma è comunque molto utile per evidenziare alcune tendenze, anche in un anno scolastico particolare come l’ultimo, in cui alcune mense non sono mai partite.
Cosa migliorare
Di sicuro si continua ancora ad abusare di cibi processati come le carni conservate e ultra-processati, tra crocchette, hamburger e hot dog, che addirittura salgono in percentuale di utilizzo, come pure la carne rossa. E c’è ancora poca attenzione all’equilibrio nutrizionale, con molte pietanze che propongono una ridondanza di proteine vegetali e animali (emblematico il caso di Lecce con il rollè di tacchino servito con piselli prosciuttati). Diminuisce anche l’attenzione per stoviglie e materiali riciclabili, e la tendenza diffusa sembra quella di equiparare la mensa a una sorta di “fast food”, prendendo a pretesto la necessità di “semplificazione del servizio” consigliata dal CTS per far fronte all’emergenza sanitaria. Sempre in questo contesto, però, alcune città, come Belluno e Latina, si sono distinte per aver dirottato il servizio sulle mense dei poveri.