Continuiamo la serie di approfondimenti sull’oro ambrato prodotto dalle api (qui la prima puntata su come diventare assaggiatore e conoscerne le frodi più diffuse), varata a ridosso della 40ª edizione del Concorso Tre Gocce d’Oro - Grandi Mieli d’Italia, che si terrà a Castel San Pietro Terme il 18, 19 e 20 settembre. In questa puntata Lucia Piana, biologa, esperta in analisi sensoriale del miele e in melissopalinologia, indica quali sono i monoflora più diffusi tra i più frequenti e quelli meno frequenti, gli uniflorali rari e quelli impossibili (come quelli di rosa, biancospino, mirto, melone, fico d’India e lavanda), e fa chiarezza sulla controversa classe dei mieli di agrumi. Mentre Mara Nocilla, giornalista del Gambero Rosso, spiega i plus del millefiori
Mieli rari e mieli impossibili
Non è così in altri Paesi, ma per noi i mieli di una sola pianta (uniflorali o monoflorali) hanno un valore commerciale superiore ai mieli misti (millefiori), quindi è una corsa da parte degli operatori a cercare di produrre sempre più mieli uniflorali e a proporre prodotti sempre più rari e unici. In questa corsa all’unicità c’è chi gioca sporco. È un altro tipo di frode, probabilmente molto più diffusa di quella che spaventa tanto il consumatore, cioè quella del miele adulterato. In questo caso non è il miele a essere falso, ma la denominazione con la quale viene proposto. I falsi possono essere scoperti facilmente attraverso opportune analisi di laboratorio (analisi melissopalinologica), ma spesso si tratta di piccoli produttori che possono sfuggire ai controlli delle autorità preposte. Inoltre, la sanzione è, in genere, solo di tipo amministrativo (un migliaio di euro di multa), quindi tra rischio e beneficio prevale quest’ultimo.
Come difendersi? Intanto conoscendo quali sono i mieli che possono realmente esistere (vedi gli elenchi sotto). Poi, conoscendo quali caratteristiche organolettiche dovrebbe avere un determinato tipo di miele. E, non ultimo, chiedendo a chi ci sta offrendo un determinato prodotto la garanzia che effettivamente il miele sia uniflorale, cioè le analisi che i produttori scrupolosi fanno prima di mettere in commercio i mieli rari e insoliti. Qualche esempio di origini uniflorali che sono proposte commercialmente, ma che non mi è mai capitato di confermare con le analisi di laboratorio? Il miele di rosa: la rosa non produce nettare. Il miele di biancospino, di mirto, di melone, di fico d’India: queste piante possono contribuire alla formazione del miele, ma non ne costituiscono praticamente mai la prevalenza. Tra le denominazioni possibili ma frequentemente abusate, la palma d’oro per frequenza e sfrontatezza dell’inganno va al miele di lavanda; la produzione in Italia è rarissima (non così in Francia, Spagna e Croazia, dal quale possono provenire partite molto rispondenti), ma l’appeal della denominazione è molto forte, per cui il prodotto viene spesso fabbricato ad arte aggiungendo una goccia di olio essenziale di lavanda a un miele qualsiasi.
Mieli monoflora più diffusi e loro descrittori
Acacia (robinia): delicato, molto dolce, floreale, confetto, mandorla dolce sbucciata.
Agrumi/arancio: intenso e molto floreale di zagara.
Castagno: intenso, amaro, vegetale, legno, tannino, ceci lessati, sapone di Marsiglia; persistente.
Coriandolo: aromatico, speziato, dolcetti e cosmetici a base di noce di cocco.
Eucalipto: animale, funghi secchi, cane bagnato, asfalto bagnato, malto.
Melata (bosco): mosto cotto, malto, datteri, legno, affumicato, minerale, astringente, verdure cotte, pomodori secchi.
Sulla: delicato, vegetale, legumi verdi (fagiolino), fieno, noci fresche, latticino fresco.
Tiglio: rinfrescante, mentolo, canfora, tisana di fiori di tiglio, medicinale, incenso, erbe officinali; persistente.
Mieli meno frequenti e loro descrittori
Ailanto: frutta trasformata, uva moscato, tè alla pesca (retrogusto); persistente.
Asfodelo: delicato e floreale, zucchero filato, latte di mandorla.
Cardo: vegetale, floreale-fruttato, animale, fiori cimiteriali, pesce conservato.
Ciliegio: fiori di ciliegio e rosacee in genere, mandorla amara, noccioli di ciliegia.
Clementino/mandarino: come il miele di agrumi.
Colza: vegetale, crauti, cipolla cotta, gorgonzola.
Corbezzolo: intenso, vegetale, amaro, fondi di caffè, legno verde, erbe e radici amare, genziana; persistente.
Edera: floreale, fresco, vegetali umidi.
Erba medica: erba bagnata, fieno appena tagliato, fermenti lattici, mosto d’uva, cera d’api fusa.
Erica: zucchero cotto, crème caramel, caramella mou, liquirizia, anice; persistente.
Girasole: delicato, vegetale fresco, cera, polline.
Indaco bastardo (Amorpha fruticosa): delicato, fruttato, gelatina di frutta, rosa.
Melata d'abete: simile alla melata di bosco ma con sentori più resinosi e balsamici, con note di pino mugo in quella di abete bianco, scorza d’arancia candita e ricordi di pasticceria in quella di abete rosso.
Rododendro: delicatissimo, fiori bianchi, neve, muschio, anguria, succo di pera, confettura di frutti di bosco.
Rosmarino: floreale, salmastro, erbe aromatiche, mandorle amare, alghe.
Tarassaco: intenso, pungente, ammoniacale, stalla, piedi, aceto, zolfo, crosta di formaggio; persistente.
Timo: fiori secchi, erbe aromatiche, spezie, plastica bruciata, matita da disegno, legno di cedro; persistente.
Trifoglio: delicato, fresco, vegetale, fiori bianchi, caramella al latte, legumi freschi, banana matura
Mieli uniflorali rari
Acero: arco alpino.
Agrifoglio: Sardegna.
Astro marino (Galatella pannonica): Laguna Veneta.
Betonica (Stachys spp.): Italia centrale.
Borragine: Campania.
Calluna: Piemonte, Lombardia.
Carrubo: Sicilia, Sardegna.
Cipolla: Marche, Abruzzo.
Cisto: Sardegna.
Enula: Sardegna.
Erba viperina: Sardegna.
Erica carnicina: Veneto, Trentino.
Erica multiflora: Appennino meridionale.
Facelia: localmente dove coltivato.
Ferula: Puglia, Sicilia.
Fieno greco: Salento.
Fiordaliso giallo o schiucciolo (Centaurea solstitialis): Toscana, Lazio, Puglia.
Ginestrino: Sardegna.
Grano saraceno: localmente dove coltivato.
Lampone: arco alpino.
Lavanda: Piemonte.
Lavanda selvatica (Lavandula stoechas): Sardegna.
Limone: Sicilia.
Lupinella: arco alpino e Appennino centrale.
Mandorlo: Puglia, Sicilia.
Marasca o ciliegio canino (Prunus mahaleb): Carso triestino e goriziano.
Maro o camedrio mario o erba gatta (Teucrium marum): Sardegna e Capraia.
Marruca: Italia centrale e Puglia.
Meliloto: Abruzzo.
Melo: Trentino e Emilia Romagna.
Melograno: Puglia.
Menta: Pancalieri (TO).
Nespolo del Giappone: Palermo.
Ombrellifere: Sicilia, Sardegna.
Origano: Calabria, Sicilia.
Reynoutria: Piemonte.
Rovo: un po' ovunque in maniera puntuale.
Ruchetta: aree coltivate sud Italia.
Salice: Nord Italia.
Santoreggia: Abruzzo, Puglia.
Soja: Pianura Padana.
Sommacco siciliano (Rhus coriaria): Sicilia.
Statice (Limonium): Laguna Veneta.
Stregonia (Sideritis italica): Appennino aquilano.
Timo comune: Liguria occidentale.
Timo erba-barona: Sardegna.
Verga d'oro (Solidago spp.): Piemonte, Lombardia, Veneto.
Zucchino americano (Sicyos angulatus): Piemonte, Lombardia.
Il problema del miele di agrumi
Per controllare la rispondenza all’origine botanica di un miele il sistema utilizzato è l’analisi del polline contenuto nel prodotto stesso (analisi melissopalinologica). I pollini delle diverse varietà del genere Citrus (arancio, mandarino, bergamotto ecc.) non sono distinguibili, mentre è possibile discriminare il polline di limone. Per questo a livello di controllo analitico si può verificare se un miele è di agrumi, ma non certificare se si tratta di arancio o mandarino o misto. In Italia il 70% della coltivazione agrumicola è rappresentata dall’arancio, quindi è questa la produzione più abbondante. In molte zone sono presenti, a volo d’ape, diversi tipi di agrumi, per cui in questi casi dovrebbe essere usata la denominazione di vendita “agrumi”. In alcune aree è particolarmente diffusa la coltura di clementine (Piana di Sibari) o di limone (Siracusa) ed è possibile quindi la produzione dei rispettivi mieli in purezza. Altri tipi di agrumi (chinotto, bergamotto, cedro, pompelmo) in Italia sono coltivati in estensioni così ridotte che una produzione uniflorale di queste varietà non è verosimile.
Elogio del millefiori
Per qualcuno il millefiori è un miele di serie B. Sbagliato. È espressione del territorio quanto quello monoflora, spesso è anche più buono per l’ampiezza aromatica data dalla moltitudine delle essenze all’origine. Eppure viene snobbato dai consumatori e spunta prezzi inferiori sul mercato rispetto ai prodotti monoessenza. “Le api possono fare miele uniflorale solo se attorno agli apiari ci sono estensioni della pianta in questione di decine di ettari e non c’è flora competitiva”, spiega in modo chiaro Lucia Piana, “naso” internazionale dell’oro giallo delle api. Il millefiori è il miele più prodotto e diffuso a livello mondiale. Non è solo un monoflora mal riuscito, e non è tutto uguale. Ci sono millefiori diversi a seconda del periodo dell’anno e dell’area geografica, con caratteristiche diverse in base alle stagioni e alle essenze presenti: con più o meno leguminose, con la gentilezza del rododendro, l’impronta odorosa della colza e del tarassaco o con la nota amara del castagno e del corbezzolo. Ci sono quelli di pianura e soprattutto di montagna, rari e pregiati, per i quali sono nati dei Presidi Slow Food: di Alta Montagna raccolto lungo l’arco alpino (che tutela anche il monoflora di rododendro) e dell’Appennino Aquilano (esteso ai mieli di santoreggia e di stregonia), affiancati da un terzo Presidio che tutela l’ape nera sicula, razza autoctona dell’isola. E ancora quelli di macchia mediterranea e i più trendy di spiaggia e di barena, piccole produzioni di supernicchia: neanche vengono prodotti che sono già venduti. Il primo prende il nome dall’ambiente in cui nasce, tra le dune sabbiose e la macchia mediterranea del parco di San Rossore-Massaciuccoli, dove domina l’elicriso con il suo pervasivo profumo di estate e vacanze al mare. Il secondo viene prodotto nelle terre emerse a ridosso della Laguna di Venezia, dove fioriscono tra gli altri lo statice, o limonio, e l’astro marino, che gli regalano un aroma salmastro.