L'ultima edizione del rapporto della ristorazione di Fipe-Confcommercio (basato su indagini interne, Istat, Infocamere, Inps e altri dati) ci parla di un mercato in profonda evoluzione, e restituisce uno spaccato finalmente confortante per la prima volta dopo anni. Lo confermano anche le imprese: il 41% dichiara che il 2023 è stato migliore dell'anno precedente – che però soffriva ancora dell'effetto Covid per di più gravato dalla crisi energetica e da tassi di interesse record – e solo il 4,9% ha aspettative pessimistiche sul 2024. Per gli altri c'è un discreto ottimismo. Crescono gli investimenti, gli impiegati, i dati di consumo del fiori casa. «Un rapporto che ha più luci che ombre» lo definisce Luciano Sbraga, Vice Direttore Generale di Fipe che segnala un ritorno al punto di partenza, ovvero a quel 2019, che precede gli anni durissimi della pandemia. Oggi, nel secondo trimestre del 2024, si può avere un paragone sereno con i livelli di quell'anno, ma senza andare oltre: «la cicatrice resterà».
Tendenze in corso
I temi chiave del 2023 che ci porteremo dietro anche per quest'anno sono efficientamento energetico, sostenibilità, digitalizzazione (che è un mezzo per velocizzare, e migliorare il lavoro ma anche per incuriosire i clienti: 2 imprenditori su 10 sarebbero interessati all'uso di robot per questo motivo) e poi c'è lo sviluppo della ristorazione in catena, confermata anche dei dati sull'occupazione dipendente. Quando si parla di ristorazione in catena non bisogna però pensare per forza a mega aziende globali con centinaia di punti vendita, ma anche microcatene che sono una realtà in crescita dal 2019. I piccoli player nazionali sono oggi il 34%, ci sono poi i grandi gruppi nazionali (40%) e internazionali (16%) e i marchi integrati come enicaffè che siamo certi che nel breve periodo faranno sentire con più forza la propria voce.
I numeri del settore
Oggi in Italia ci sono quasi 332mila imprese ristorative, con un tasso di natalità in leggera flessione rispetto al 2019 dovuta anche all'effetto della pandemia che ha raffreddato la corsa ad aprire nuove attività, soprattutto da parte di chi – non professionalizzato - vedeva nel settore un facile investimento, dando il via ad aziende destinate a vita breve, con l'alta mortalità delle nuove imprese che tutti conosciamo. «Sono gli effetti liberalizzazione, ma anche di un settore che subisce inflitrazioni malavitose, malamovida, doveii requisiti professionali non sempre sono verificati e c'è molta improvvisazione» spiega Luciano Sbraga.
La ristorazione, intesa come impresa, viene definita come un modello di inclusività: il 29% dei titolari sono donne, il 14% stranieri (e non solo per le attività di cucina internazionale) e il 13% agli under 35. Lo sottolinea anche il ministro Urso, in collegamento video, parlando di 1un settore «capace di coniugare la diversità senza disperdere la tradizione».
Emergenza personale
Nel settore sono impiegati più di 1milione e 70mila persone, oltre il 66% sono lavoratori dipendenti e di questi il 58% son a tempo indeterminato (+1,8% sul 2019), segno evidente di aziende più grandi e strutturate rispetto a un tempo. Degli impiegati, il 51% sono donne e molti under 30. Mentre c'è un recupero degli over 50.
Quello del personale è un tema ancora scottante, anche se la situazione pare in lieve miglioramento. Il problema è complesso, ed è legato a fattori sociali, come la denatalità e la situazione demografica del nostro paese, ma anche politici «un paese non può mantenere la cultura del sussidio servono politiche attive per la valorizzazione e il miglioramento delle competenze» dice Luigi Stoppani, presidente di FIPE-Confcommercio che aggiunge: «Siamo riusciti a inserire anche la ristorazione nel Decreto Flussi, ora aspettiamo i dati settoriali, ma reclamiamo la velocità delle procedure».
C'è poi la questione organizzativa, con il dumpling contrattuale e la permanenza di circa 30 contratti paralleli a quelli Fipe, più svantaggiosi per i dipendenti. «Il tema del personale nel settore è un fattore chiave, rimangono problemi di carenza di mano d'opera, di competenze, c'è un lento e inesorabile cambiamento di business, la questione orari e riposi con la necessità di combinare esigenze aziendali e qualità della vita» comment Stoppani. Al lavoro, a oggi, un nuovo contratto nazionale (dopo il rinnovo di quello del commercio di fine marzo).
Riprendono gli investimenti nel settore
«Il dato più importante nel settore è quello della ripresa investimenti – commenta ancora Stoppani - sono la prova che qualcosa di positivo sta avvenendo nel settore. Gli investimenti sono anche nella digitalizzazione, e dovrebbero essere accompagnati da qualche agevolazione fiscale». Si rivolge alle istituzioni a più riprese: «chiediamo al governo che attivi politiche economiche per un settore», parla di decontribuzione per le attività serali e notturne per esempio: «il settore della ristorazione ha bisogno perché è portatore di interesse e di valori». Come quello relativo al contrasto agli sprechi alimentari. E chiede un intervento per regolamentare le piattaforme internazionali per il delivery e le prenotazioni online che impongono condizioni che non aprono a negoziazione con i piccoli ristoranti. Non solo: è il momento di mettere mano anche alla questione delle recensioni online: «Il mercato recensioni fasulle produce danni e, chiediamo un intervento che regoli questa pratica». Ribadisce Luigi Calugi: «L'acquisto vendita recensioni false è un fenomeno che uccide le imprese e non solo, bisognerebbe farsene carico con maggiore attenzione». Di rimando all'intervento del Ministro Urso che rassicurava: «il Governo è al fianco del settore per supportare la crescita».
È interessare notare che la ristorazione (sempre intesa in senso ampio, in ogni sua estensione) produce in valore aggiunto sull'agroalimentare più alto di quello di agricoltura e industria alimentare (54,1% rispetto a 40,5 e 36,7), questo rivela il peso economico di questo settore, che impatta anche su altre filiere (come quelle dei servizi edell'industria) per oltre 47 miliardi di euro. Un peso economico che si somma al valore sociale, di decoro, presidio del territorio, oltre che culturale: «in un periodo in cui le città scontano la desertificazione, i pubblici esercizi sono un elemento strategico per la rigenerazione urbana» commenta Luigi Stoppani.
L'ombra dell'inflazione sulla ristorazione
Come mostrato dal rapporto, i listini della ristorazione non sono il problema né per i residenti, né per i turisti perché i prezzi al consumo della ristorazione sono aumentati molto meno rispetto a quelli dell'alloggio e degli alimentari. Rimane da chiedersi chi abbia assorbito questo divario: «Evidentemente - spiega Stoppani - abbiamo lasciato sul campo marginalità, consideriamolo un investimento: meglio così che perdere fatturato, riducendo quello sarebbe stato molto peggio». Dunque il peggio è passato, ma il meglio non è ancora arrivato.