“Adesso che siamo ripartiti va molto meglio” fa Simone Moroni “con la ripresa delle attività anche il morale è risalito”. Dei suoi 6 locali londinesi (5 The Italian Job e un Bar Sport) solo 2 hanno potuto aprire al primo via, il 12 aprile, quello che consentiva la sola somministrazione all'aperto. All'indomani della ripartenza anche indoor, tira un sospiro di sollievo. E non è il solo. Paulo Airaudo conta le ore che lo separano dalla riapertura del suo Da Terra, e i presupposti lasciano ben sperare: “apriamo oggi, il primo tavolo libero è agosto, siamo pieni fino ad allora” a conferma della gran voglia di tornare a sedersi a tavola che avevamo percepito già un mese fa, nella prima fase di riapertura dei ristoranti nel Regno Unito. In UK, e a Londra, la clientela non si è fatta attendere, sin dalle prime serate outdoor (senza coprifuoco). Oggi che si procede verso un ritorno alla normalità, c'è la conferma. “Dove abbiamo potuto lavorare, perché c'è uno spazio all'aperto, abbiamo avuto un buon riscontro, ora va ancora meglio” continua Moroni. Le difficoltà, però, sono altre.
Una nuova criticità: la mancanza di personale
L'azione combinata del lockdown e della Brexit ha portato a un ostacolo inedito: la mancanza di personale. Una tara che il mondo della ristorazione nostrana conosce bene, ma di cui, nella terra di Albione, non si aveva ancora esperienza. “Siamo in una situazione di criticità mai vista prima” spiega Moroni. Dei 30-35 dipendenti del gruppo (con lui anche Marco Pucciotti, Giovanni Campari, Manuel Piccoli, Maurizio Paterno), circa un terzo è venuto a mancare con la ripresa, “e non è facile rimpiazzarlo, anche se siamo una azienda che ha una sua credibilità. Ci siamo mossi in tempo, perché sapevamo da gennaio le tappe della ripartenza, mentre in Italia ci hanno avvisato un paio di settimane prima, ma trovare nuovi collaboratori non è facile”. Il motivo? La mancanza di forza lavoro: “c'è chi non è rientrato dalla cassa integrazione, chi è tornato nel suo paese e chi non riesce ad arrivare”. In UK e soprattutto a Londra gran parte di chi lavora nel mondo dell'hospitality - “se escludi i posti dirigenziali, soprattutto nelle grandi catene alberghiere” - è straniero.
Ancor più quando si parla di hotel. “Il lockdown ci ha fatto perdere circa l'80% della forza lavoro” spiega Cristian Silenzi, bartender da 4 anni in forza al Savoy. “In questa Industry c'è molto ricambio, tante persone passano per un paio di anni, per guadagnare qualcosa mentre costruiscono il proprio futuro. Questo anno sabbatico ha portato tante persone a fare una riflessione, e cambiare vita”. Prima erano abbandoni più diluiti nel tempo, ora si sono concentrati in poco più di un anno, e senza nessuno a prendere il loro posto: “si è fermato è il ricircolo” spiega, e aggiunge “abbiamo posizioni aperte praticamente in tutta la gerarchia dell'hotel”: in questi giorni sono in piena campagna acquisti, per una riapertura più difficile che mai, con meno di un quarto di forza lavoro e tutta la struttura che si deve mettere in modo, bar, ristoranti, eventi: “stiamo prendendo le misure, riapriamo man mano, modulando gli orari di alcuni spazi”. Serve tanta forza lavoro, e non è facile. “C'è molta più domanda che offerta di lavoro, si fa fatica a trovare personale, e soprattutto si fatica a trovare personale qualificato”.
Situazione opposta, quella rilevata da Giorgio Bargiani Head Mixologist al Connaught al fianco del Director of Mixologiy Ago Perrone: “abbiamo perso qualcuno, in questo anno, ma non più di quanto avviene in un anno normale, al bar 2 persone su 17”. Il bar è un concentrato di italianità con ben 14 persone che arrivano dal Belpaese. “Credo che con un po' più di difficoltà, ma le persone stanno arrivando, e possono scegliere perché l'offerta di lavoro è molto alta” continua. “Chi è professionalizzato può permettersi di scegliere e h l'opportunità di fare un salto di posizione, ma, con meno persone nuove, manca chi copre ruoli più bassi”.
Bye bye Londra
E tanti, durante il lockdown, sono tornati nel paese d'origine “qualcuno anche usufruendo della cassa integrazione inglese” aggiunge Moroni per tratteggiare un quadro complessivo “una cosa che non sarebbe dovuta accadere”. Ma non è questo il punto: “magari, durante questo anno, si sono trovati un altro lavoro e hanno deciso di lasciare Londra, inoltre” aggiunge “adesso è molto più complicato venire in Uk anche con un visto turistico o rientrare con un permesso di soggiorno, la cui durata varia in base allo storico di ognuno. Per molti è di un anno o due. Non ci sono più i continui flussi migratori di un tempo”. A quel punto, finita la cassa integrazione, senza certezze lavorative, e con una prospettiva a breve termine, tanti hanno deciso di uscire da un settore che ha dimostrato, quest'anno, tutta la sua fragilità e di rimanere a casa, date le difficoltà a rientrare. “Da giugno, se non hai un permesso o uno sponsor non puoi entrare in Gran Bretagna per un periodo continuativo di oltre 6 mesi” spiega il celebrity chef Francesco Mazzei “per stare qui c'è bisogno di un contratto valido. Vorremmo sapere come far arrivare i ragazzi dall'estero, ci serve chiarezza su come devono essere questi contratti, e invece non c'è, come non c'è per diverse cose della Brexit, ancora”.
Come sopperire alla mancanza di personale
Diverso, ma non del tutto, il caso di un ristorante di alto rango, come Da Terra – Due Stelle Michelin – di Airaudo: “su 11-12 dipendenti ne ho dovuti sostituire 3 o 4, ho fatto un po' fatica”, dice. “I ristoranti sono pieni e il personale manca” continua Mazzei. Nei suoi 3 locali (e un quarto è in arrivo dopo l'estate), le cose vanno bene: “le persone vengono e spendono anche il lunedì a pranzo, storicamente un servizio debole. C'è un bel feeling, i clienti dicono che ci vogliono sostenere. Sia quelli abituali che altri, abbiamo degli eventi con l'Ice, l'Accademia della cucina italiana e l'Ambasciata: gli italiani che sono a Londra ci vogliono aiutare, è una cosa molto bella, patriottica”. Ma senza personale è difficile assicurare un servizio come si deve. Dei suoi 126 dipendenti di un tempo, oggi ne sono rimasti poco più di metà. Con i ristoranti a capienza ridotta, e un menu un po' alleggerito, ancora ce la può fare:“da Sartoria siamo a 80-90 coperti sui 140 abituali, abbiamo chiesto ai ragazzi di lavorare un po' di più, ma non possiamo andare avanti così per più di un paio di settimane”. Dopo il 21 giugno, quando si dovrebbe tornare alla situazione pre Covid, il problema si presenterà in tutta la sua evidenza: “allora che faremo? Rinunciamo a fare business? Facciamo meno coperti perché non c'è staff a sufficienza?”. Le soluzioni? “Sto pensando di chiudere qualche slot, per esempio nella fascia dalle 15 alle 17. Ma se da Sartoria, a Mayfair, posso farlo con più tranquillità, a quell'ora chiudere Fiume, la terrazza sul Tamigi, significa perdere business. Vorrei arrivare a giugno preparato. Ma ora è un casino” sintetizza “non ce ne va bene una”, perché dopo un anno come quello appena trascorso, difficile sotto ogni punto di vista, partire con il freno a mano tirato non è il massimo. “Abbiamo sofferto così tanto e perso tanti soldi, e adesso non abbiamo lo staff per lavorare a pieno regime e recuperare”. Moroni e soci puntano a aumentare il loro potere attrattivo ritoccando orari e salari “anche se così si rischia che diventi una vera asta”, come conferma Mazzei: “una compagnia più forte della nostra può offrire anche 200 pound in più al mese”. La ristorazione vive, insomma, un periodo complicatissimo, e nel Regno Unito il personale non è l'unico scoglio: “ancora non sappiamo se e quali dazi ci saranno per i prodotti importati. Rischiamo di mettere in menu cose che nel giro di 3 mesi costeranno molto di più”. Così è difficile fare una programmazione imprenditoriale a lungo termine: “aspettiamo un'altra legge, noi ci mettiamo soldi, faccia e cuore, ma così rischiamo di cappottarci”. Con il paradosso di un panorama potenzialmente vivacissimo e in salute che soffre per la mancanza di forza lavoro.
La situazione delle imprese nel Regno Unito
“A differenza di altri paesi” continua Moroni “in UK non si sono perse tante società, non ci sono stati fallimenti e chiusure importanti perché hanno sostenuto le aziende, ma anche i lavoratori autonomi, liberi professionisti e dipendenti: tutti hanno ricevuto sussidi, insomma”. Certo, i fatturati sono calati, “ma hanno compensato il periodo di chiusura con contributi a fondo perduto che hanno coperto pienamente le spese fisse, come gli affitti”. A voi come è andata? “Dall'analisi del bilancio siamo allineati con quello dell'anno precedente. Hanno studiato un sistema per far sì che non ci fosse un risentimento rilevante per le attività. Probabilmente hanno sofferto di più le grosse società, oltre i 50 milioni di sterline. Noi alla fine” conclude “non ci abbiamo rimesso tanto”. Le attività sono rimaste in piedi (anche se ch molte piccole realtà hanno abbassato la saracinesca per sempre: Standard&Poors ne conta 6mila, solo tra i pub), “il sostegno c'è stato ed è stato gestito bene: dopo le prime due settimane ogni mese sono arrivati i soldi, e c'è stato anche un aiuto attraverso le banche” conferma Paulo Airaudo, pur se, aggiunge Mazzei “l'80% riconosciuto non calcolava il service charge del 12%”, quindi rispetto ad altre categorie il sussidio è stato più contenuto – indice forse di un sistema che conosce poco le dinamiche di un certo mondo lavorativo. “In ogni caso non abbiamo messo soldi da parte ma neanche perso troppo” conclude Mazzei. Cosa che ha assicurato la sopravvivenza di gran parte delle attività. Come sempre durante una crisi economica, stavolta globale, si creano spazi per fare degli affari. “In questo momento” conferma Mazzei “ci sono molte agevolazioni, soprattutto per chi può essere attrattivo e convincere altri imprenditori a investire in una certa zona: spesso non si paga il premium o si può godere di un periodo di free rent negli affitti, insomma una serie di incentivi per chi vuole fare impresa”. Così alla ripartenza si è presentato un panorama folto di insegne – quelle già attive prima della pandemia e quelle nate durante – tutte ugualmente bisognose di personale. “A questa enorme offerta di lavoro risponde molta meno richiesta”.
Il mercato del lavoro in Gran Bretagna
“Qui il personale costa talmente poco che a nessuno verrebbe in mente di non mettere in regola qualcuno” aggiunge Simone Moroni che apre un altro tema caldo: il costo del lavoro. “Questo fa sì che nessuno lavori in nero e che chiunque si possa permettere di fare contratti regolari” che significa anche accesso cassa integrazione e sussidi in caso di necessità. Dunque il mercato del lavoro è più trasparente, ma anche più fluido, a differenza di altre zone d'Europa, inclusa l'Italia e la Spagna. Ne sa qualcosa Airaudo: 300 dipendenti tra Spagna, Gran Bretagna, Hong Kong: “anche a San Sebastian sono 3 mesi che cerco di reintegrare il personale, ma qui la situazione, a differenza di Londra, è molto incerta: fino a che non tornano i turisti non si possono fare previsioni sull'andamento dei locali, ci sono alti e bassi, inoltre negli anni la cattiva condotta dei governi ha impoverito i paesi”. Le sue insegne - il fine dining Amelia, la trattoria italiana Da Filippo, e la bottiglieria 1995 - sono aperte a singhiozzo, ma intanto Airaudo continua a fare progetti: “A San Sebastian apriamo un quarto locale, un piccolo bistrot francese: come andrà? Intanto ci provo, poi ti racconto”. Ci saranno poi altre nuove insegne fine dining: a Barcellona, dentro un albergo a settembre, e a Hong Kong a dicembre. “Almeno sono impegnato” conclude.
a cura di Antonella De Santis