Un bel ripiano di zinco. Siamo seduti al bancone di un bistrot di Parigi, la carta vini è molto profonda, così la mescita, ampia e ben stratificata. Tra i tavolini si aggira un oste, un ragazzo sulla trentina, più stronzo che burbero: neanche fosse una condizione del contratto. In un paio d’ore l’osserviamo stappare una quantità inaudita di bottiglie, tantissime etichette di Beaujolais, Loira, Rodano, Borgogna meno conosciuta e una buona percentuale di Champagne. Riconosciamo anche Nebbioli di culto e qualche rifermentato nostrano. Bordeaux? Semplicemente non pervenuto. In quattro giorni, a Parigi, proviamo diversi ristoranti importanti e quattro bar à vin – ne troviamo uno ad ogni angolo di strada, civiltà tutta francese – la percentuale di bottiglie consumate di Bordeaux è irrisoria. Nell’offerta al bicchiere non è mai presente, eppure di bottiglie importanti in mescita ne troviamo tante.
La crisi del Bordeaux
Non ci buttiamo giù d’animo e ci presentiamo carichi alla degustazione dei Grand Crus di Bordeaux all’interno della Wine Paris & Vinexpo Paris. L’affluenza è incredibilmente bassa rispetto a edizioni del passato. C’è lo zampino anche di una sala forse infelice ovvero nel padiglione degli spirit, tra una vodka all’avocado e un gin al tartufo. Solo pochi anni la manifestazione era presa d’assalto per assaggiare lacrime di Bordeaux in anteprima, dopo lunghe attese al banchetto. Il carico negativo arriva anche dall’insidiosa annata in presentazione, la 2021, se la conosci probabilmente la eviti. Metà dei campioni in assaggio sono complicati, la vendemmia non è stata esattamente generosa con i vignaioli lungo la Garonna tra due gelate importanti, mentre piogge più copiose del solito hanno portato muffe e seri problemi di acinellatura ovvero uno sviluppo disomogeneo degli acini del grappolo. Il risultato? Negli assaggi i sali e scendi sono decisamente più numerosi del solito.
«La 2021 ha la sfortuna di arrivare dopo un trittico meraviglioso: 2018, 2019 e 2020. E prima di una 2022 che riteniamo stellare. Abbiamo avuto davvero di tutto in vigna tra gelate e malattie, i vini sono mediamente più snelli e verticali, meno opulenti e rotondi. Io sono soddisfatto soprattutto per quando riguarda il cabernet sauvignon», ci racconta Jean Pierre Foubet, titolare di Château Camensac. In ogni caso il 2021 di Camensac, dopo due icone come Pichon Baron e Brane-Cantenac, è tra gli assaggi più interessanti di giornata. Visti i rating, i prezzi dell’annata sono addirittura in discesa, se analizziamo i grafici di molti Château i prezzi sono sostanzialmente fermi o in leggero calo negli ultimi 5 anni, quando quasi tutte le denominazione europee, anche le più improbabili sono salite a doppia cifra. Vero, i prezzi erano saliti tantissimo in precedenza, ma l’incantesimo sembra essersi spezzato.
Il mito che ha formato una generazione
Chi si è formato tra gli anni ‘90 e il 2010 è cresciuto con un mito ben definito: Bordeaux. I prezzi erano ben diversi da quelli di oggi, risparmiando qui e lì ci si poteva comprare un paio di bottiglie da stappare in religioso silenzio con gli amici. Per organizzare quelle stesse cene oggi dovremmo sborsare 6-7 volte tanto. Quei vini hanno plasmato i parametri di produttori, degustatori, hanno fissato valori condivisi. Pensiamo ad annate gloriose come la 1982, la 1989 o la più generosa 1990. Pura magia. Il modello Bordeaux era il riferimento da imitare, le sue varietà piantate ovunque nel mondo per sfoggiare concentrazione tannica, intensità, potenza. Oggi l’effetto emulazione ha perso forza, sono cambiati il contesto, l’approccio al vino, i palati degli appassionati. La competizione dei modelli è enorme, si cerca di valorizzare sempre più l’autoctono, un’identità storica, si cercano rossi da sbicchierare agilmente. Ed anche in Cina, il primo mercato di sbocco dei grandi di Francia, le vendite di Bordeaux sono diminuite di oltre il 10% nel 2022, l’ultimo dato rilasciato dalla China Association for Imports and Export of Wine and Spirits.
Dal primato alla 'cumbia della noia'
«Il vero problema è che a Bordeaux non c’è più niente da scoprire. Un sommelier o un esperto di vino vogliono presentare qualcosa di personale, ma su Bordeaux non si può dire nulla. Al più, se si è bravi a comprare, si potrà dire di venderlo a 20 euro in meno dei colleghi. Siamo caduti in un consumo per monotonia che ha portato a una crisi reale. La troppa perfezione oggi allontana; non è venuto meno il modello, ma manca un nuovo approccio generazionale», racconta Costantino Gabardi, consulente per tante cantine tra Italia e Francia. «C’è un termine francese che racchiude perfettamente questa sensazione: emmerde, ovvero mi annoia, con un’accezione non poco volgare. Qualche giorno fa ero seduto a tavola con due proprietari di Chateau grand cru a Margaux e Sauternes. In assaggio ci sono due mostri: Chateau Montrose (100/100 RP – la valutazione di Robert Parker) e Lafite 2005. Entrambi trovano il primo troppo tecnico, poco sinuoso, mentre su Lafite dicono che rappresenta la perfezione estetica ma non sorride, non riesce a coinvolgere. Più un vino è perfetto, meno è facile da capire la chiave d’entrata: il risultato è la noia. Paradossalmente il famoso sistema di classificazione di Bordeaux del 1855 è stato sì la ragione del successo, ma ora è uno dei fattori della crisi perché è un sistema non rivisitabile. La qualità è già definita e strutturata a monte. Non è mai una scoperta».
Le stelle non riescono più a trainare l’immagine di tutto il territorio. «A Bordeaux ci sono dei problemi. I vini “haute de gamme”, non hanno difficoltà, anzi. Poi c’è una produzione più di massa e qui parliamo di 6 milioni di ettolitri. Oggi per i vini di gamma media e medio bassa non c’è una grande clientela perché la piazza commerciale di Bordeaux non se ne interessa: su questi vini non si fanno margini. E la competizione è incredibilmente cresciuta su scala globale: questi vini non beneficiano più dell’immagine di Bordeaux», analizza lucidamente l’enologo più amato e odiato di Bordeaux: Michel Rolland. I negozianti preferiscono lavorare etichette come Masseto (ne girano circa 20mila bottiglie ogni anno) che lavorare su vini di fascia media – il segmento in maggiore calo – o giocare sui volumi. Il risultato è un solco sempre più netto tra i vini di massa e le punte.
I numeri della crisi
Diversi produttori sono in sofferenza, in alcuni casi sono stati costretti a svendere il proprio vino. Emblematico quanto successo lo scorso 25 febbraio quando la Société Civile Fermière Rémi Lacombe (oltre 130 ettari nel Médoc) ha vinto la causa contro i commercianti di vino Ginestet (di proprietà della famiglia Merlaut) ed Excell (una filiale di Cordier, parte del gruppo Invivo) rei di aver acquistato vini sfusi tra il 2021 e il 2022 a un prezzo medio al litro intorno a 1,30 euro. Grazie all’applicazione della normativa EGALIM (Etats Généraux de l'Alimentation), che regola i rapporti tra commercianti e fornitori di prodotti agricoli, i giudici hanno dato ragione al produttore. Ma è solo un piccolo indizio, il Mèdoc è tra le zone più afflitte. A Bordeaux i rossi rappresentano l’85% della produzione, ma a soffrire c’è anche il Sauternes: i vini dolci oggi non sono bevuti nemmeno quando vengono offerti. Il governo francese si è mosso prontamente: ha puntato prima sulla distillazione di crisi, poi su un piano di espianto dei vigneti per ricalibrare domanda e offerta. I numeri della superficie vitata parlano chiaro: nel 2023 Bordeaux ha rivendicato 103.210 ettari AOC (l’equivalente della nostra Doc) che secondo il Civb segna un calo del 4% sul 2022. La perdita si concentra nel Bordeaux Rouge Aoc, sceso a 28.335 ettari (–12% sul 2022 e addirittura –22% sul 2017).
Nel 2024 il governo ha in programma di estirpare circa 8.000 ettari: così il paesaggio di Bordeaux rischia di cambiare drasticamente. Il piano delle istituzioni francesi suona come un’anteprima di quanto potrebbe accadere in molti altri Paesi costretti a ridurre sensibilmente la superficie vitata se le influenze di oggi troveranno conferma nel medio periodo. E sul tavolo entra prepotente il tema no alcol. «Il mondo del vino è un mondo conservatore, di mentalità chiusa, tradizionalista, autoreferenziale. Ma se il vino vuole salvarsi la vita, deve crearsi lui stesso un competitor interno che oggi non si chiama vino: il dealcolato. Il futuro è anche qui. Nei prossimi dieci anni si sceglierà in base all’alcol: potremo scegliere di fare una serata zero alcol, mid alcol o full alcol. Di fatto, sta già succedendo», commenta Gabardi.
L’immagine di Bordeaux è quella di tutto il settore: fermo a una rotonda in attesa di conoscere la strada da imboccare. «Pensa a l’Arco di Trionfo di Parigi: ci sono otto uscite e non sappiamo quale imboccare. Questo – insieme alla contrazione dei consumi – crea incertezza e paura. Ma ci sono anche opportunità, per Bordeaux e tutto il comparto. Per esempio nessuno riesce a vedere la possibilità di raggiungere mercati che non consumano alcolici, cosi come la possibilità di introdurre nelle scuole un’educazione al gusto fin dai 13 anni. Avremo nuove generazioni che diventeranno adulte seguendo un percorso formativo adeguato e avranno tutti gli strumenti per riscoprire la bellezza dei grandi terroir del mondo».