Conservatore o spericolato: dimmi che vino stappi e ti dirò chi sei (ma sappi che la delusione fa parte dell’esperienza)

30 Gen 2024, 17:21 | a cura di
Due tipi di bevitori, due tipi di persone. C’è chi cerca la conferma, la coccola, e chi stappa per trovare qualcosa di nuovo

«Te ne sei accorto, sì / Che tutto questo rischio calcolato / Toglie sapore anche al cioccolato…», canticchia Brunori Sas in una delle sue canzoni più intimiste, La verità. Ascoltiamo la voce del cantautore calabrese in compagnia di un amico, un assaggiatore seriale, e due bottiglie di vino. Lui gioca sul sicuro, porta con sé una boccia di Dom Pérignon 2010, quell’etichetta gialla che fa sognare milioni di beoni in tutto il mondo, l’ultima stima non ufficiale (la maison non rilascia questo tipo d’informazione) parla di una produzione di 5 milioni di bottiglie solo per la cuvée ispirata al celebre monaco benedettino. Noi mettiamo sul tavolo una bottiglia di Cuvée Irizée Meunier 2013 di Regis Poissinet, un parcellare prodotto nella Valle della Marna, tirato in 1.702 esemplari. Avevamo avuto un colpo di fulmine con il suo Rosé e tentiamo la sorte con una delle sue etichette più rare. Assaggiamo prima Davide, lasciamo a Golia il compito di chiudere la serata.

Foto di Gris De Paris / unsplash. In apertura, foto di Yohan Marion / unsplash

Davide contro Galia

Il Meunier (sboccato nel 2017) si offre molto maturo nei suoi toni di mela, elicriso e tamarindo. La bocca è densa, polposa, riccamente speziata di pepe bianco e sandalo. Un po’ molle e statica, conferma che la varietà non invecchia con la stessa grazia di un Barolo di Serralunga; il finale è corto e lascia una curiosa nota di carruba e rabarbaro. Torniamo due-tre volte nel bicchiere per cercare di comprenderlo. Quasi ci vergogniamo a confessare che l'abbiamo pagata oltre 100 euro, ma anche il perlage manca di continuità e l’acidità è un ricordo. Bottiglia interlocutoria? Il compagno di bevute sorride e tira via il tappo del Dom. L’annata fresca regala un naso ancora più fragrante del solito, dopo la buccia d’agrume c’è la classica nota di pan di spagna, cioccolato bianco e caffè. La bocca è incredibilmente precisa, vellutata, il frutto rosso saporito, un giro di spezie dolci accompagna la beva ben supportata da una grande spinta acida. Tutto è al suo posto. Tutto è perfetto. L’evoluzione dona un senso di completezza, una delle più buone bottiglie di Dom Pèrignon assaggiate negli ultimi anni. Entrambi conveniamo: non c’è partita alcuna. La bottiglia di Poissinet rimane a metà, il Dom evapora.

Il mondo si divide in due tipi di bevitori

A farla breve, il mondo si divide in due tipi di bevitori. C’è chi cerca la conferma, la coccola, la certezza, e chi stappa per alimentare il dubbio, per rischiare, per il gusto dell’imprevedibilità. La delusione fa parte dell’esperienza, è anch’esso un rischio calcolato. Nel primo caso si cerca la bottiglia sicura, il brand, il grande nome; nel secondo il piccolo produttore, l’artigiano, la leggera imperfezione capace di aprire un mondo altro. Sono due tipi di bevute, sono due tipi di persone. Ogni tanto s’incontrano.

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