Uva da tavola. Un 2013 difficile salvato dall'export

4 Feb 2014, 12:20 | a cura di
Il 2013 per l'uva da tavola è stata un'annata complicata: partita bene e finita male, con la Sicilia che patisce margini ridotti a causa di un prezzo all'origine uguale a 8 anni fa e la Regione Puglia che annuncia la creazione di un osservatorio statistico. Ma l'export guadagna spazio all'estero.

Anno difficile, il 2013, per l'uva da tavola, un andamento climatico non favorevole che ha penalizzato la qualità e la forte concorrenza straniera (Spagna, Grecia ed Egitto) si sono associati alle storiche criticità della filiera: eccessivo frazionamento e bassa propensione all'associazionismo che non creano le condizioni ideali per una promozione efficace della pur alta qualità del prodotto italiano. E, come accaduto nel settore vinicolo, l'export ha risollevato in parte una stagione complicata. Puglia e Sicilia, le due grandi regioni produttrici che assieme detengono oltre il 90% delle superfici, dopo una prima parte dell'anno in linea con gli anni precedenti, hanno sofferto il repentino calo dei prezzi all'origine che, secondo Ismea, è passato da una media di 1,10 euro al kg di giugno agli 0,31 euro/kg di novembre e dicembre, con una flessione del 60% rispetto all'anno prima (vedi tabella prezzi medi mensili per prodotto). Condizione che ha allarmato l'intero settore che, alla luce della crisi dei consumi interni, dovrà trovare soluzioni e risposte per salvaguardare la sopravvivenza delle oltre diecimila imprese italiane che coltivano vite da tavola.

"Con una quotazione di 0,30 euro al kg si lavora in perdita" dice al Gambero Rosso Sebastiano Vona, dirigente dell'unità operativa Soat Mazzarrone della Regione Sicilia, ricordando che nel 2013 il prezzo medio pagato per ogni kg d'uva al produttore è stato lo stesso di quello registrato nel 2006. "Significa che negli ultimi otto anni i nostri produttori non hanno visto aumentare gli utili, a fronte di un aggravio dei costi di produzione: dal gasolio alla manodopera, dai contributi dovuti allo Stato ai fertilizzanti. Costi che sono stati scaricati in gran parte sulle aziende". Una filiera distorta, in sintesi, che sta mettendo a rischio la sopravvivenza soprattutto dei più piccoli. "Ci sono imprenditori in crisi perché la porta di accesso ai finanziamenti e ai prestiti si è ristretta" rileva Vona "e molti potrebbero uscire dal mercato".
C'è di più: pochi utili determinano una carenza di liquidità a disposizione per i nuovi impianti produttivi, con la conseguenza che in molti scelgono di estirpare oppure di produrre investendo meno sulla qualità, che da sempre è uno degli elementi distintivi dell'uva italiana (seconda nel mondo, con circa 11 milioni di quintali, solo al Cile).

La situazione è complessa anche in Puglia, principale produttrice con circa 7 mila aziende, una raccolta tra 8 e 9 milioni di quintali (varietà principali sono Italia, Sugraone, Crimson) in circa 43mila ettari vitati. Visto da vicino, il comparto è frammentato con poche Op (organizzazioni di produttori) e molte strutture, alcune grandi, di commercializzazione in mano a privati. La presenza del Consorzio per la tutela dell'uva da tavola Igp Puglia non ha sortito per ora gli effetti sperati in vista di una aggregazione dell'offerta. La Cia di Taranto da tempo lamenta il fenomeno dei prezzi bassi alla produzione e troppo alti al consumo negli ipermercati, le eccessive campagne che privilegiano le uve senza semi a scapito di quelle legate al territorio. E con il suo presidente Vito Rubino chiede "contromisure a salvaguardia del comparto". La Regione ha certamente accompagnato il settore per il riconoscimento dell'Igp e quello del marchio Prodotti di qualità di Puglia, ma si tratta di strumenti non ancora decollati a pieno. Tra le azioni a supporto, l'assessorato all'Agricoltura guidato da Fabrizio Nardoni auspica maggiore interazione tra produzione, commercianti e Gdo proprio per far conoscere al consumatore questi marchi; allo stesso tempo ritiene necessaria più innovazione tecnologica, unita agli incentivi per ricerca e sperimentazione di nuove varietà con semi e senza semi; assieme a una campagna promozionale per l'uva regionale nella Gdo. Un passo avanti dovrebbe arrivare quest'anno con la creazione di un Osservatorio statistico, annunciata dallo stesso Nardoni: "L'obiettivo" come sottolineano dal Servizio agricoltura regionale "è avviare una ricognizione seria della coltivazione dell'uva da tavola in Puglia. Perché" si fa notare "occorre conoscere per programmare". E un po' di ossigeno giungerà dai fondi per le calamità naturali dopo l'ok del Mipaaf dei giorni scorsi per le aree colpite dalle alluvioni.

I segnali positivi, e in controtendenza, sono arrivati dall'export. Tra gennaio e ottobre 2013, sono state esportate uve da tavola per 461 milioni di euro (contro i 460 mln del 2012, secondo elaborazioni Ice su dati Istat). Germania, Francia e Polonia sono sul podio dei
Paesi destinatari. "L'Italia è certamente lontana dagli anni di massima espansione come il 2008 quando si esportavano 5,3 milioni di quintali con un fatturato di 598 milioni di euro" osserva l'esperto Giuseppe Lamacchia, funzionario Ice presso l'Ufficio accordi e convenzioni e già direttore di Ice Puglia e Basilicata "ma va detto che il prodotto italiano ha avuto un crescente appeal sui mercati esteri. Riscontriamo un aumento del prezzo medio, a testimonianza di un maggiore gradimento delle fasce alte dei consumatori". Le flessioni di prezzo a novembre e dicembre, secondo prime stime, dovrebbero portare il prezzo ai livelli del 2011 tra 1,15 e 1,18 euro/kg. "Ma la filiera dell'uva da tavola si sta guadagnando spazi: abbiamo raggiunto 70 mercati rispetto ai 68 del 2012" fa notare Lamacchia"siamo entrati in Indonesia e Hong Kong; siamo tornati in Malesia, Niger, Pakistan, Qatar, Algeria. E c'è stata una forte crescita della Libia, passata dai 385mila euro a 1,7 milioni del periodo gennaio-ottobre 2013. E questo è dovuto anche alla intraprendenza delle nostre aziende".
Gli spazi per lavorare sono ampi. I fondi Ue per la promozione estera sono strettamente legati alla capacità delle aziende di associarsi. In questo senso, occorrerà vincere le diffidenze, se non si vuole continuare ad andare in ordine sparso. " L'Ice" osserva Lamacchia "ha elaborato progetti interregionali di promozione nel settore ortofrutta mettendo a disposizione il 65% dei fondi ministeriali, ma occorre che le Regioni si mettano insieme e si diano una mossa, facendo squadra, per sfruttare al meglio ogni opportunità".

a cura di Gianluca Atzeni

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre bicchieri del 30 gennaio. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui.

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