Sale la febbre dell'autoctono: ecco i vini italiani da collezione più ricercati al mondo

27 Gen 2024, 10:22 | a cura di
La classificazione Grandi Cru d’Italia della casa d’aste Gelardini&Romani racconta l’evoluzione dei vini italiani negli ultimi 20 anni. Il Piemonte supera la Toscana, occhio a Etna e Abruzzo

Le aste dei vini sono un ottimo termometro del nostro mondo. Raccontano gli umori degli investitori, descrivono innamoramenti e delusioni di collezionisti sempre a caccia di nuove bottiglie. La Classificazione Grandi Cru d’Italia 2024 presentata dalla casa d’aste Gelardini & Romani identifica le 30 etichette di vino tricolore più pregiate, classificate in base all’analisi di oltre 50mila risultati registrati dalla casa d’asta dal 2004 tra le sedi di Roma e Hong Kong, dove ha concentrato il suo core business. La classificazione si basa sul prezzo medio in euro di aggiudicazione dei singoli vini, tenendo conto dei lotti invenduti.

“A Hong Kong abbiamo avuto un problema di comunicazione perché a differenza dei francesi non potevamo contare su una classificazione chiara basata sui Cru, così siamo partiti con una schematizzazione in 5 classi, come Bordeaux, per poi estendere a sette le fasce di prezzo a scatti di 100”, esordisce il CEO Raimondo Romani. La base di partenza sono i vini aggiudicati dai 100 euro in su. Se nel 2009 le quotazioni medie dei vini italiani più pregiati erano al di sotto dei 300 euro, oggi sono abbondantemente oltre i 700. Da notare che tra 30 etichette, ci sono solo due vini bianchi e nessun Metodo Classico.

È Monfortino il re delle aste

A livello regionale è eclatante, negli ultimi 15 anni, il netto sorpasso del Piemonte sulla Toscana, il calo del Veneto, la comparsa per la prima volta di vini dall’Abruzzo e dalla Sicilia. Si allarga finalmente il panorama nazionale nelle fasce più alte di prezzo. Partiamo dalla fascia più alta, sopra i 700 euro. A tirare il gruppo ci pensa il Barolo. Il vino italiano che strappa i prezzi più alti nelle aste internazionali è prodotto a Serralunga d’Alba: il Monfortino di Giacomo Conterno, che è andato incontro a una crescita costante e portentosa. Il prezzo medio di aggiudicazione si aggira sui 900 euro. “Curiosamente la scelta di non uscire con il Monfortino 2016 ha premiato perché tutte le annate precedenti si sono apprezzate e gli investitori si sono spostati sul Barolo Francia che è cresciuto in maniera importante. Come dire, a volte mi si nota di più se non ci sono”, sorride Raimondo.

Molto vicine le quotazioni del Barbaresco Crichet Pajé di Roagna, pochissime bottiglie sempre più ricercate anche in Asia. Curioso l’andamento di Soldera, le quotazioni sono altissime fino al 2006, fino a quando usciva come Brunello. “Anche l’etichetta con un drago ha aiutato sul mercato asiatico, anche se da quando esce come Sangiovese fatica”. Restando in zona Montalcino, sono in ripresa le quotazioni del Brunello Riserva di Biondi Santi, che avevano subito un calo prima dell’acquisto del gruppo francese, che ha saputo rilanciare in bello stile l’immagine di una delle aziende iconiche del vino italiano. Solo un Amarone in lista, quello di Amarone del Forno con prezzi che sono sostanzialmente stabili rispetto al 2007: uno dei rari casi. “Quintarelli non è nella classificazione” spiega Romani “perché i prezzi di uscita non consentono una rivalutazione sul mercato secondario. Così come non ci sono i Sorì di Gaja che sono solitamente aggiudicati a un prezzo più basso di quelli di acquisto, mentre performano molto bene il suo Barbaresco e il bianco Gaja & Rey”.

Dall’Etna all’Abruzzo, tutte le new entry

Le grandi novità degli ultimi anni arrivano da regioni tradizionalmente meno performanti sulle aste internazionali. Entra prepotentemente di scena l’Etna con due etichette, il Vigna Barbagalli di Pietradolce e il Magma di Cornelissen, che strappano prezzi difficili da ipotizzare solo 10 anni fa. L’Abruzzo brilla grazie al Trebbiano di Valentini che è letteralmente esploso sul mercato di Hong Kong, l’unico bianco italiano in classifica. In particolare, si stanno apprezzando le vecchie annate, il 1995 è stato aggiudicato a 350 euro pochi mesi fa. Sul fronte rossi si fa notare il Montepulciano di Emidio Pepe, che ha registrato picchi importanti sulle annate degli anni ’80 e ’90. “È sorprendente vedere come i vini realizzati dalle varietà autoctone dell’Italia – nebbiolo, sangiovese, e per la prima volta nel 2024, nerello mascalese – abbiano eccelso intorno ai Supersucan classici da collezione. È davvero un momento di orgoglio per l’Italia”, commenta la più giovane Master of Wine d’Asia, Sarah Heller.

Il boom dei prezzi in epoca Covid

Guardando i grafici sono impressionanti i tassi di crescita tra il 2020 e 2021, in piena pandemia le aste dei vini hanno subito un’accelerazione portentosa, una speculazione al rialzo senza precedenti.Tra le etichette che sono andate incontro a performance particolarmente brillanti i Barolo Monvigliero di Burlotto, Pergole Torte di Montevertine, il Barolo Brunate di Rinaldi, il Barolo di Bartolo Mascarello. Molto bene anche il Tignanello, in ripresa il Solaia, tengono Ornellaia e in parte Masseto.“In generale” commenta Romani “i Supertuscan soffrono un po’ la crisi di Bordeaux dove i prezzi sono fermi. Se non aumentano è molto difficile che i collezionisti vadano a premiare i bordolesi italiani. È una questione di competizione”.

Resta, tuttavia, solido il grafico di Sassicaia, le uniche annate che soffrono un po’ sono solo quelle molto vecchie, anni ’70, perché gli appassionati sembrano nutrire dubbi sulla loro tenuta nel tempo. Non ne hanno invece sulle etichette rosse, anche molto vecchie di Bruno Giacosa. “Giacosa è uno dei primissimi riferimenti” spiega il nostro interlocutore “il mercato asiatico è generalmente dotato di un palato più delicato rispetto agli anglosassoni, preferiscono vini eleganti, identitari, autoctoni, monovarietali e prodotti in maniera tradizionale”, chiosa Raimondo.

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