"Che belle le domeniche a tavola a casa di mamma!". Piccolo vademecum sul pranzo all'italiana (che in molti non capiscono)

26 Mag 2024, 10:28 | a cura di
Che si tratti di un power lunch di 50 minuti con i colleghi dell’ufficio, o un lungo pranzo della domenica in famiglia, l’italiano consacra il pasto lento, conviviale e coi piedi sotto il tavolo. Ma non tutti sono d’accordo

Ci sono paesi dove il convivio non è una priorità. In molte culture, il momento del pasto non riveste un'importanza centrale come avviene in Italia. In nazioni come gli Stati Uniti o il Giappone, il ritmo frenetico della vita quotidiana spesso porta a consumare pasti rapidi e individuali, senza l'enfasi sulla convivialità. Negli Stati Uniti, ad esempio, è comune mangiare fuori o ordinare cibo da asporto, spesso consumandolo in macchina da soli, o davanti alla televisione. In Giappone, nonostante l'attenzione alla qualità e alla presentazione del cibo, i pranzi veloci nei ristoranti di ramen o sushi sono all'ordine del giorno, con un'attenzione maggiore all'efficienza piuttosto che al momento conviviale. Questo contrasta nettamente con la cultura italiana, dove il pasto è un'occasione di socializzazione e celebrazione, un momento per riunirsi con famiglia e amici, condividendo non solo il cibo ma anche la compagnia e le conversazioni. Per alcune culture quello che per noi è una piacevole norma è totalmente folle ed estraneo.

Le abitudini della tavola che gli altri non capiscono

Qualche giorno fa ho organizzato una degustazione di vini e formaggi italiani per un gruppo di clienti texani. Il wine & cheese tasting è sempre un grande successo. Accordatami con il capogruppo, avevo studiato per i clienti una cena a menu fisso. Malgrado i vini naturali che alcuni non hanno proprio gradito, la serata è andata bene. Ai saluti mi si è avvicinata una signora di mezza età, che ho appreso essere una fan delle crociere e dei viaggi, e che ha voluto regalarmi un consiglio: «Ai tuoi clienti devi dire che fra gli antipasti e la pasta c’è una lunga attesa».

Calcolando che tra le pietanze d’apertura e le mezze maniche all’amatriciana saranno passati forse 10-15 minuti - il tempo di cottura della pasta - con lo stesso garbo e sorriso le ho detto che i piatti in quel particolare ristorante (scelto apposta perché valido rappresentante della cucina locale) i piatti sono cucinati espressi. «La pasta non è pre-cotta», le ho sorriso. Con la stessa intonazione mi ha ripetuto che i clienti vanno informati, perché «back home non siamo abituati ad aspettare così tanto». Baci e abbracci, ringraziamenti e, a passo leggermente ebbro, se ne sono andati. Ma quella osservazione mi è rimasta in testa. Per gli statunitensi il piacere di stare con i piedi sotto il tavolo è un concetto distante. Il pasto assolve una funzione, poi via alla prossima attività, non bisogna perdere tempo. Ma generalizzo, perché ovviamente non è sempre così. Anzi.

Il valore del mangiare in compagnia

Siccome sono una che rimugina, ho continuato a sobbollire ripensando a quel commento, non solo cercando la proverbiale arma (totalmente assente dal mio arsenale) dell'"avrei potuto rispondere a tono…" ma ho passato in rassegna tutte quelle usanze italiane della tavola che tanto sono amate oltreoceano, quanto sono totalmente distanti dalla loro cultura. Fra queste, la gioia di stare seduti in famiglia e condividere un momento intimo a tavola. Il pasto è una piacevole scusa per stare insieme. Il senso di unione che provoca cucinare in compagnia, l’aprirsi e dilungarsi della conversazione a piatti finiti, la gioia del dialogo: elementi che in quei pasti mordi e fuggi sono per forza assenti. È recente il trend su TikTok, dove le famiglie hanno iniziato a cenare a lume di candela e hanno notato un cambiamento nel comportamento dei figli, anche piccoli: desiderano stare seduti a tavola più a lungo; i sintomi di ADHD svaniscono; i "picky eaters" non fanno più i capricci; via i cellulari e tablet, insomma, il momento della cena diventa speciale, durante il quale si parla. Per noi è un normale mercoledì sera, anche senza candele.

Il pasto consumato seduti a tavola

Mia madre, viveur che oggi avrebbe 86 anni, odiava i buffet. Fino ai suoi ultimi giorni ha goduto di una vita sociale fitta di cene e ricevimenti, eventi ai quali partecipava come ospite (spesso d’onore) ma anche come cuoca e padrona di casa. Anche quando il numero di invitati era ampio, lei ha sempre fatto in modo che si fosse tutti seduti a tavola, tovagliato fine, piatti del servizio buono, non si risparmiava sulle posate e cristalleria bavarese. Esigeva anche lei lo stesso trattamento a casa d’altri. Quando veniva invitata a cena e vedeva che il pasto era “a buffet” alzava gli occhi al cielo, e subito si cercava un angolino dove potersi sedere e appoggiare piatto, posate e bicchiere. Cenare senza tavolo non è cenare, sentenziava. E aveva ragione. I giochi di equilibrio non favoriscono un'esperienza gastronomica positiva. Vedeva il tagliare una fetta di carne, o raccogliere piselli stufati o rincorrere pomodorini nel piatto tenuto sulle ginocchia come un atto crudele nei confronti degli ospiti. Questo perché, come molte persone della sua generazione, il momento seduti a tavola era molto di più che un semplice pasto. Il nutrimento, comodi e con i piedi sotto il tavolo, avviene in molteplici forme. Attraverso il buon cibo ingerito, attraverso la conversazione e attraverso l’alternarsi di bocconi e sorsi. E non solo tra commensali maggiorenni.

Un democratico goccio di vino per tutti

Un'altra delle nostre abitudini a tavola che all'estero ci invidiano (o per lo meno che stupisce) è la nonchalance con la quale nelle famiglie italiane è uso dare ai figli, anche piccoli, un goccio di vino celebrativo. E non solo per le grandi occasioni: lo sposalizio felice fra buon cibo e buon vino, e il piacere che ne deriva, è inculcato subliminalmente, come abitudine fin da piccoli. Ai pranzi della domenica dalla nonna (mia madre, di cui sopra) mio figlio di appena 5-6 anni aveva al suo posto apparecchiato un bicchierino in miniatura dove, se voleva, poteva assaggiare una goccia di "sciampagna" come la chiamava lui, con la quale brindavamo all’inizio del pasto. «Negli Stati Uniti non ci sogneremmo mai di fare una cosa del genere con i nostri figli», è una cosa che mi sono sentita dire milioni di volte dai miei concittadini alla vista di episodi simili, del tutto condonati invece nello Stivale.

Sebbene ci sia un'età minima per bere in Italia, nessun esercizio chiede un documento per verificare l’età di chi beve, specie se in compagnia di genitori e parenti. Questa assenza di restrizione provoca una certa indifferenza nei confronti del bere a tutti i costi, che si traduce in un problema di alcolismo minorile infinitamente ridotto rispetto agli USA, dove invece è rampante, con tanto di racket di patenti finte per poter bere prima dei 21 anni.

Size matters, le dimensioni (delle pietanze) contano

Antipasto, primo, secondo e contorno. E poi dessert, caffè e amaro. Agli occhi di uno straniero in Italia questo può apparire sì pantagruelico. Ma in primo luogo, non tutti i pasti sono così composti, e poi le dimensioni delle porzioni in Italia sono più piccole che altrove, e anche quando il pasto prevede più portate, comprende comunque un equilibrio relativamente sano di proteine, carboidrati e ortaggi. Paradossalmente, gli italiani assumono meno calorie e un pasto più sano ed equilibrato consumando tre portate, piuttosto che una sola, gigantesca ricoperta di salse e quant'altro, come spesso accade all'estero. Quando a Los Angeles da bambina a cena fuori coi grandi ordinavo una bistecca, arrivava una costata di brontosauro, e sullo stesso piatto che occupava mezzo tavolo, un intero orto di lattuga, patatine fritte tagliate grosse come carote, una scodella con passato di pomodoro, e mezza pannocchia al vapore. Passava la fame ancora prima di aver mangiato.

Le pastarelle della domenica

Altra abitudine legata alla tavola che il resto del mondo non conosce è il rituale domenicale delle pastarelle. È comune a molte culture non arrivare a mani vuote se invitati a pranzo, specie in famiglia. Ma l’abitudine di andare in pasticceria, scegliere un vassoio, e riempirlo di una dozzina abbondante di diverse specialità di pasticceria in formato mini è una cosa che i miei amici e parenti statunitensi, per esempio, trovano curioso e poetico al tempo stesso. Il finale di un dolcissimo appuntamento settimanale. Non un mero dessert, ma un invito alla leggerezza e al gioco. Le bande di cartone che formano protezione per quelle delicate architetture di crema chantilly e fragoline di merletto diventano corone e gorgere; i coperchi delle vaschette di polistirolo del gelato al chilo, scudi e visiere. Si ride, si sbocconcella, si prende dalla teca di nonna un liquorino, si gioca a carte, si urla di politica, si fa un pisolino. Che belle le domeniche a casa di mamma, quanto mi mancano!

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