Tutelare il made in Italy. L'etichetta d'origine per il riso
È passato un mese dall'entrata in vigore degli obblighi di indicazione d'origine in etichetta della materia prima di riso e pasta. Un traguardo a lungo auspicato, da leggere nel solco dei provvedimenti a tutela del consumatore e del prodotto made in Italy nel mondo dispiegati di recente dal Governo italiano. E se di pasta e grani italiani si è fatto un gran parlare, il riso, cugino nobile del cereale più consumato nel nostro Paese, ha finito per scontare la celebrità della sua compare. Eppure l'ultimo anno del comparto risicolo italiano, la cui qualità è universalmente riconosciuta nel mondo (in Europa, l'Italia è primo produttore per quantità e varietà, con 1,50 milioni di tonnellate su un territorio di quasi 235mila ettari, metà dei quali in Piemonte, coltivato da circa 4mila aziende) non è stato affatto semplice: nel 2017 il costo di un chilo di riso a scaffale è rimasto pressoché inalterato (circa 3 euro in media), mentre i prezzi riconosciuti agli agricoltori crollavano, fino al -58% per l’Arborio al - 57 % per il Carnaroli, dal -41 % per il Roma al -37% per il Vialone Nano. Questo soprattutto per la concorrenza delle importazioni in arrivo dal Sud Est Asiatico, di cui l'introduzione dell'indicazione d'origine in etichetta ora dovrà rendere conto, distinguendo tra "Paese di coltivazione del riso", "Paese di lavorazione" e "Paese di confezionamento".
La concorrenza aggressiva del Sud Est Asiatico
Alla fine di febbraio, la Fiera in Campo di Vercelli, tra le più importanti manifestazioni di settore per la filiera risicola nazionale, sottolineava la situazione critica determinata dai prezzi aggressivi dei Paesi extracomunitari: significativo il titolo dell'appuntamento d'apertura, Risicoltura sotto scacco. Sul banco degli imputati dati non certo incoraggianti: oltre 130 tonnellate di riso lavorato e semilavorato arrivato dall'estero tra settembre 2017 e gennaio 2018, di cui quasi 100mila provenienti dalla Cambogia, e l'impennata del riso birmano, con oltre 32mila tonnellate entrate in Italia nel periodo considerato (+50% rispetto al dato precedente). Per giunta risone di scarsa qualità, coltivato con largo impiego di concimi e insetticidi vietati in Italia da anni. La nuova etichetta, però dovrebbe garantire un po' di respiro, mentre, per regimentare con più serietà il settore, si attende la firma dei ministri delle politiche agricole e dello sviluppo economico sul decreto sul riso classico, in via di approvazione per normalizzare la denominazione del riso sul mercato interno. Nello specifico, il provvedimento conterrà due articoli per indicare le condizioni di utilizzo dell'indicazione “classico” e i criteri di tracciabilità varietale. E intanto, dall'Italia e dal mondo, arrivano belle storie che sollevano il morale di categoria.
A Vercelli Rinasce il Gigante
Cominciando da Vercelli, terra di risaie antichissime, dove l'azienda Gli Aironi ha da poco recuperato un'antica varietà di riso del territorio, il Gigante Vercelli, istituita nel 1946 da Giovanni Roncarolo a partire da un incrocio artificiale di 10 anni prima, tra Lady Wright e Vialone. Dopo il boom del Dopoguerra, la varietà fu abbandonata per le esigenze del mercato, in favore di varietà più gestibili e produttive. Ma negli ultimi due anni tre aziende del vercellese hanno condotto una ricerca accurata per il recupero del riso Gigante, che ben si presta alla preparazioni di risotti “dato il buon rilascio di amido e la notevole capacità di assorbimento dei condimenti”, fino a concretizzarne il rilancio sul mercato. Al pronti, via il Gigante di Vercelli si presenta già insignito del sigillo di Presidio Slow Food (secondo nella provincia), e farà il suo debutto in società il 18 marzo a Torino, da Edit con i Costardi Bros (chi meglio dei fratelli del riso d'autore?). Una conferma di quanto ricerca, innovazione tecnologica e rispetto della terra (banditi i prodotti fungicidi) possano aiutare la riscoperta di prodotti che fanno la forza culturale ed economica di un territorio.
L'Australia vuole il riso italiano
Dall'Australia, invece, fa il giro del mondo un nuovo motivo d'orgoglio (e di sollievo) per il comparto risicolo nazionale: “Cercasi riso italiano, nero e di altissima qualità per i migliori ristoranti di Sydney e Melbourne” recita l'annuncio dell'Italian Trade Agency di Sydney divulgato tra i risicoltori italiani dall'Ente Nazionale Risi. L'appello dell'ente italiano in Australia intercetta a sua volta la richiesta di un operatore locale, Euro Pantry, in cerca di fornitori di qualità di riso nero. Con una specifica, che sia italiano, a garanzia di serietà e alta qualità per i clienti serviti, ambiziose insegne di ristorazione di Sydney e Melbourne. Mentre è impegnata a difendersi dall'attacco del riso straniero a basso costo, infatti, l'Italia si conferma grande esportatore, con quasi 80mila tonnellate di export negli ultimi sei mesi, e un dato in crescita costante. Nel computo, anche le molteplici varietà di riso nero made in Italy: Venere, Artemide, Nerone, Gioiello. Proprio quelli che l'Australia aspetta a braccia aperte.
a cura di Livia Montagnoli