Acqua, batteri e metalli: la verità sui "depuratori" che minacciano le minerali in bottiglia

24 Gen 2024, 08:48 | a cura di
Il professor Matteo Vitali che insegna Igiene alla Sapienza di Roma e il Vicepresidente di Mineracqua, Ettore Fortuna, sollevano dubbi e perplessità sull'efficacia e la positività del sistemi di filtraggio dell'acqua potabile che usano molti ristoranti

Sistemi in grado di “trasformare” l’acqua del rubinetto in acqua di sorgente. Cartucce filtranti che riducono impurità organiche e metalli pesanti. Depuratori che rendono l’acqua “davvero potabile”, garantendo sicurezza, gusto e benessere. Sono diversi i sistemi (generalmente a scambio ionico o a osmosi inversa) che servono per filtrare e depurare l’acqua corrente, pubblicizzati attraverso claim talmente accattivanti da aver fatto registrare elevati trend di crescita non solo al mercato domestico ma anche a quello dell’horeca, come dimostrano i dati Culligan, multinazionale americana leader nel trattamento dell’acqua, che – come si legge nel sito – ha registrato, solo nel settore horeca, un più 25% delle vendite nel 2021 e un più 30% nel 2022.

Insomma, complici l’ecosostenibilità, la funzionalità e il risparmio, i locali pubblici sono sempre più propensi ad abbandonare il sistema canonico di approvvigionamento delle bottiglie, per dotarsi di impianti filtranti che permettono di servire in tavola brocche, magari personalizzate, che, come richiede la legge, riportano la denominazione di «acqua potabile trattata o acqua potabile trattata e gassata».

Attenzione però, perché si tratta di un’acqua che subisce un processo di trasformazione, la cui composizione chimica cambia: bisogna, quindi, essere certi che alla fine del processo l’acqua sia qualitativamente migliore di quella del rubinetto e altrettanto sicura sotto il profilo igienico sanitario; oltre che in grado di sostituire la minerale, amatissima dagli italiani – primi consumatori al mondo di questo bene considerato buono, salutare e sicuro – che la collocano nel ristretto novero dei beni da non tagliare nemmeno in tempi di crisi (dati indagine Censis).
Andiamo con ordine e cerchiamo di rispondere ai diversi interrogativi, cominciando dal principio: a monte, infatti, c’è il problema di come vengono comunicati i sistemi di filtraggio che, spesso, si avvalgono di slogan di sicura presa.

Gli slogan dei filtraggi

Una nota marca che promette di regalare, attraverso l’uso del sistema di filtraggio offerto, l’«esperienza di una sorgente naturale». Il claim dice proprio così. «L’affermazione che l’acqua del rubinetto può trasformarsi in acqua di sorgente è ingannevole e trasmette una falsa idea di purezza “all’origine” –  spiega il professore di Igiene alla Sapienza di Roma, Matteo Vitali – Al contrario, l’acqua destinata al consumo umano viene prelevata da qualsiasi risorsa idonea, potabilizzata mediante trattamenti, addizionata di disinfettanti e inviata, tramite lunghe tubazioni, nelle nostre case». Sul tema degli apparecchi commercializzati ai fini della depurazione di acqua destinata al consumo umano,

Vitali ha condotto uno studio approfondito: «Anche l’uso del termine “depuratore” non è corretto: gli impianti di depurazione sono infatti quelli adibiti al trattamento delle acque reflue (cioè gli scarichi fognari) prima della loro immissione in corpi idrici o nel suolo. L’uso di questo termine implica l’assimilazione dell’acqua potabile all’acqua reflua che, pertanto, necessiterebbe di essere depurata». Anche l’affermazione che l’uso del depuratore domestico protegga la salute del consumatore.

«Un messaggio che equivarrebbe a dire che il consumo di acqua del rubinetto “tal quale” sia pericoloso per la salute». Un’affermazione che va contro i principi cardine che regolano questo prezioso bene, che sono proprio innocuità, gradevolezza e usabilità. Al di là dei messaggi ingannevoli, c’è anche un aspetto igienico sanitario che va considerato quando si valutano questi apparecchi, che necessitano di una manutenzione regolare, scandita dal calendario previsto - nel manuale HACCP - per i depuratori d'acqua.

I rischi sanitari

«I sistemi filtranti utilizzati per trattenere particelle e sostanze chimiche tendono ad accumularle nel tempo. In caso di rottura, malfunzionamento o semplicemente saturazione, può avvenire un rilascio massivo dei composti indesiderati. In questo caso, l’acqua erogata potrebbe contenere concentrazioni di metalli e composti organici anche al di sopra dei limiti di legge, oltre ad essere pericolosa per la salute» ammonisce il professore.

«C’è poi da dire che nei filtri i batteri trovano grandi quantità di nutrimento proprio grazie all’accumulo sui filtri stessi di materiale organico, e quindi proliferano. Infine, l’abbattimento della durezza dell’acqua (ossia la riduzione di calcio e di magnesio operata dai sistemi di filtraggio) rappresenta un danno per il consumatore che si vede privato di elementi essenziali per il suo benessere». Se poi, attraverso il sistema dello scambio ionico su cui si basano alcuni dispositivi, il calcio e il magnesio vengono sostituiti con il sodio, si aggiunge un ulteriore fattore di rischio. «La riduzione del sodio è infatti fortemente consigliata a tutta la popolazione a fini preventivi (riduzione incidenza di infarti e ischemie), mentre i soggetti predisposti (per familiarità, ipertesi, diabetici) devono sottoporsi a diete a bassissimo contenuto di tale elemento» conclude Vitali.

Ristoranti pericolosi

E quando l’apparecchiatura filtrante viene utilizzata come fonte “produttrice” di acqua in luoghi pubblici come ristoranti, alberghi o bar, i termini della questione diventano ancor più complessi. «Sicuramente per i ristoratori adottare un sistema di filtraggio da applicare al rubinetto, o sotto al lavello, è molto comodo perché permette di evitare di immobilizzare spazi da destinare allo stoccaggio delle cassette d’acqua, mette al riparo da eventuali furti di bottiglie di vino alla mercé di chi deposita in cantina le casse, oltre ad avere notevoli vantaggi economici» ci spiega Ettore Fortuna, vicepresidente Mineracqua, la Federazione italiana delle industrie delle acque.

«Però, rispondere alla richiesta di un cliente che desidera acqua minerale portando in tavola una caraffa contenete acqua di rubinetto trattata costituisce una vera e propria frode in commercio. Si tratta infatti di due prodotti completamente diversi». Le acque minerali, lo ricordiamo, si distinguono dalle potabili per provenienza, costanza di composizione, purezza microbiologica all’origine, assenza di trattamenti di disinfezione e potabilizzazione, oltre che per la loro etichetta nutrizionale estremamente puntuale.

Una scelta di pregio

Progettati negli Stati Uniti per rispondere alla necessità di filtrare grandi quantità d’acqua contenente residui di disinfezione, i sistemi di filtraggio sono stati poi adattati all’acqua destinata al consumo umano ma, come dimostrato scientificamente dal Dipartimento di sanità pubblica e malattie infettive della Sapienza di Roma, non sono in grado di migliorarne la qualità, anzi la impoveriscono, privandola di micronutrienti essenziali, e la espongono al rischio di contaminazioni.

«Non sono pochi i ristoratori, anche di alta caratura, che considerano un plus offrire acqua trattata – per la quale è assolutamente vietato l’impiego della parola minerale – servita in caraffe lunghe e strette che ne rendono complessa la sterilizzazione e semplice l’operazione di rabbocco, con i conseguenti problemi di contaminazione. A volte, capita di vedere anche delle vere e proprie bottiglie contenti acqua trattata venir stappate di fronte al consumatore. In questo caso il ristoratore deve possedere la licenza di imbottigliamento, altrimenti si profila l’ipotesi di reato».

La virata green

Non sarà la ritrovata coscienza ecologista, la voglia di ridurre l’impatto sull’ambiente limitando la circolazione di plastica e vetro, oltre che dei mezzi pesanti destinati al loro trasporto, a spingere i ristoratori a optare per questi sistemi di trattamento dell’acqua? «È un discorso che non regge» tuona Fortuna. Tutti i principali produttori hanno ormai avviato l’imbottigliamento dell’acqua minerale in bottiglie di Pet riciclato (R-PET). La normativa iniziale consentiva l’uso fino al 50% del totale materiale utilizzato, ma ora il limite è stato elevato, portandolo al 100% e arrivando al bottle to bottle: ossia da una bottiglia post consumo se ne ricava un’altra con le stesse caratteristiche chimico-fisiche e di sicurezza.

«Inoltre - dice - sfruttando la tecnologia più avanzata, abbiamo ridotto il peso delle bottiglie, mediamente di circa il 40%, tanto che a fronte di un aumento delle vendite negli ultimi dieci anni di circa il 30%, la quantità di Pet immessa sul mercato è rimasta la stessa. Sempre per restare in tema di rispetto dell’ambiente, lavoriamo sulla tutela del parco sorgenti e sulla minimizzazione dei consumi di acqua ed energia nel processo produttivo. E poi se davvero volessimo parlare di sostenibilità dovremmo andare a guardare i disastrosi dati contenuti nel recente rapporto Ismea che parla, per il 2020, di un 42% di dispersioni degli acquedotti con punte che toccano anche il 75% e che comportano un’inammissibile perdita di acqua potabile».

Bonus (malus)

Ma allora perché esiste addirittura un bonus “acqua potabile” sotto forma di credito d’imposta del 50% sulle spese sostenute per l’acquisto e l’installazione di sistemi di filtraggio, mineralizzazione e raffreddamento e/a addizione di anidride carbonica? «Perché il tema è molto delicato e non noto nella sua interezza. Pochi, infatti, sanno che le acque minerali sono un esempio di economia circolare, oltre a rappresentare una filiera sostenibile. Senza parlare del fatto che ci sono dei gruppi di pressione che molto si spendono per influenzare in loro favore le decisioni del governo e del legislatore».

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