La pasta italiana in Emilia-Romagna. 23 formati tipici e la ricetta dei tortellini

20 Set 2018, 10:30 | a cura di

La cucina dell'Emilia-Romagna è da sempre sinonimo di pasta fresca. Non solo tortellini e lasagne, però: la tavola locale nasconde molti altri formati tradizionali, tutti da scoprire. 

 

Bologna la Dotta, la Rossa, e anche la Grassa. Il capoluogo emiliano è un vero paradiso per i golosi, un tempio gastronomico fatto di salumi ma anche e soprattutto di tanta pasta all'uovo, ripiena e non. C'è poi la provincia di Parma, sostenuta dai prodotti di una food valley che rappresenta uno dei vanti del settore agroalimentare made in Italy. Piacenza, con i suoi piatti corroboranti che caratterizzano una tavola sontuosa, amante delle carni di maiale, e la Romagna, che all'antica tradizione della piadina accosta primi piatti saporiti e dal gusto intenso. Vanta il primato tra le regioni italiane per numero di specialità riconosciute con le denominazioni Dop e Igp (44 in tutto), ma è nellastesura della pasta, una pratica portata avanti da sempre dalle sfogline, che l'Emilia-Romagna esprime al meglio la sua identità solida e coesa. Abbiamo cercato di radunare i principali formati tradizionali, oltre alla ricetta per un piatto di tortellini d'autore.

Anolini

Chiamati anche caplètt, anvèin, marubei, gli anolini sono una pasta ripiena di stracotto solitamente servita in occasione delle feste, in particolare Natale e Capodanno. Diffusi nella Val d'Arda e in provincia di Piacenza, affondano le proprie radici in tempi antichi: già presenti alla corte di Parma della metà del XVIII secolo, fra le prime testimonianze, “Li quattro banchetti destinati per le quattro stagioni dell'anno”, manoscritto della Biblioteca Palatina di Parma in cui si parla di una sfoglia sottilissima di farina e uova. Ma anche Bartolomeo Scappi fa riferimento alla pasta, fornendo la ricetta “per far tortelletti con pancia di porco e altre materie dal vulgo chiamate annolini”. Solitamente cotti nel “brodo in terza”, con tre carni diverse, nel piacentino vengono serviti anche nella versione pasticciata, disposti in una teglia e intervallati con ragù di carne, rigaglie di pollo e funghi.

Balanzoni

Come si intuisce dal nome ispirato alla celebre maschera, i balanzoni venivano originariamente consumati nel periodo di Carnevale, momento di festa e di grandi tavole imbandite. Conosciuti anche come tortelli matti, vengono preparati con una sfoglia verde agli spinaci e farciti con tutti gli avanzi rimasti in cucina.

 

cappellacci di zucca

Cappellacci di zucca

Simbolo della cucina di Ferrara, i cappellacci di zucca hanno una storia antica legata al territorio, tanto da aver guadagnato la dicitura Igp. Il primo documento a farne parola risale al 1584, quando Giovan Battista Rossetti, cuoco della corte di Alfonso II d’Este, pubblica la ricetta nella sua opera “Dello Scalco”. Lui li chiama “tortelli di zucca con il butirro” ma gli ingredienti sono gli stessi della versione attuale, se non fosse per l’aggiunta di alcune spezie, come per esempio lo zenzero o la cannella (essendo pur sempre destinati alle élite). Il nome “cappellaccio”, caplazin dialetto ferrarese, secondo alcuni storici fa riferimento alla forma simile a quella del cappello di paglia dei contadini ferraresi, chiamato per l'appunto caplaz. Secondo altri, invece, possono essere considerati la risposta ferrarese ai cappelletti, altra pasta ripiena tipica delle province di Modena e Bologna.

 

cappelletti

Cappelletti

Simile al tortellino, il cappelletto si differenzia per il ripieno di magro, con formaggio tenero – ricotta o cacio raviggiolo – scorza di limone e noce moscata. Un tempo veniva preparato dopo la quaresima ed era destinato alle tavole delle grandi occasioni. Secondo la tradizione, durante la preparazione dei cappelletti, le massaie erano solite preparare anche un cappelletto speciale, più grande degli altri, chiamato e' caplitaz e farcito solamente con pepe: una burla per il più goloso dei commensali che non sapeva rinunciare alle porzioni più generose. Altro periodo dell'anno dedicato ai cappelletti era la “seganda”, ovvero il momento della falciatura, rastrellamento e confezione dei covoni.

Fattisù

Un ripieno di verza, formaggio e insaccati per una sfoglia all'uovo tirata sottilmente e chiusa a forma di caramella: i fattisù sono dei ravioli tipici dei giorni di festa, diffusi in particolare nel Piacentino etipici del periodo invernale, momento ideale per la raccolta della verza.

Fettuccine di azzime

In occasione della Pasqua ebraica, la Pesach, sono le azzime le protagoniste della tavola: con questo ingrediente, ridotto in farina sottile e impastato con le uova, si preparano le fettuccine di azzime, solitamente servite in brodo di pollo, soprattutto nella zona di Ferrara. Con lo stesso impasto, vengono preparati anche dei maltagliati, ancora una volta da consumare in brodo.

 

garganelli

Garganelli

In dialetto romagnolo, il termine garganel indica l'esofago del pollo: è proprio da qui che deriva il nome garganello, formato di pasta rigato che ricorda un po' per la forma il garganel. Per ottenere la pasta, si utilizza il pettine del tessitore, un apposito attrezzo necessario per la rigatura, costituito da una serie di fili paralleli tenuti insieme da un telaio di canne. Oggi, vengono preparati con ragù di carne e sughi corposi, mentre un tempo erano serviti in brodo di cappone, profumati con un po' di noce moscata.

Gramigna

Diffusa anche nelle Marche e in Friuli Venezia Giulia, la gramigna è una pasta di farina di grano duro, farina 00 e uova, talvolta con aggiunta di spinaci o zafferano, nella versione paglia e fieno. L'origine del nome è da rintracciarsi nei semini delle graminacee infestanti: l'impasto, infatti, viene passato su una grattugia a fori molto larghi, in modo da ottenere piccoli pezzetti di impasto, da condire con salsiccia e parmigiano oppure sughi di pomodoro.

 

lasagna

Lasagne

La più celebre delle paste emiliane, un piatto che ha fatto il giro del mondo, diventando uno dei simboli della cucina tricolore: la lasagna è una delle paste più antiche, già presente ai tempi dei romani, che la cuocevano nel lasanum, una sorta di pentola. Fra le prime testimonianze scritte, i Memoriali bolognesi, che in un documento del 1282 riportano: “Giernosen le comadre trambedue a la festa, / de gliocch' de lasagne se fén sette menestra; / e disse l'un 'a l'altra: “Non foss'altra tempesta, / ch'eo non vollesse tessere, mai ordir né filare”. Tanti altri, poi, i testi – soprattutto di epoca medioevale – che descrivono la lasagna, la cui forma originaria era più simile a uno gnocco tirato a mano sottilmente. La tradizione recente prevede l'utilizzo di farina di grano, mentre anticamente venivano spesso impiegati anche altre sfarinati, come farro, segale, farina di castagne e simili, soprattutto in tempi di povertà. Le lasagne al forno così come oggi le conosciamo iniziano a comparire a partire dall'Ottocento, specialmente nel Sud Italia, dove venivano preparate per gli ospiti speciali. A interpretare da sempre questa antica tradizione, in Emilia sono le sfogline, donne dedite, in casa o nei ristoranti, alla preparazione di una sfoglia sottilissima e ricca di uova impiegata per tagliatelle, tortellini e lasagne. Il condimento classico è il ragù alla bolognese, ma sono tante le versioni che nel tempo si sono diffuse da Nord a Sud della Penisola.

Lunghètt

Saghetti più spessi e irregolari a base di acqua e farina, presenti in tutta la Romagna: i lunghètt sono una pasta contadina tipicamente invernale, nata in tempi di carestia in cui era difficile reperire le uova. Oggi vengono conditi con sugo di pomodoro, ma in passato erano solitamente serviti in bianco, con olio e formaggio locale. Una leggenda popolare narra che fossero molto graditi soprattutto dai più piccoli, al punto che, le famiglie più benestanti, li insaporivano con olio e e zucchero prima di servirli ai bambini.

Malfattini

Per molto tempo, in alcune zone della Romagna, la canapa è stata fra le colture più diffuse. In occasione della gramolatura, le famiglie contadine si cimentavano con la preparazione dei malfattini, piccoli gnocchetti all'uovo conditi con un ragù di piselli oppure in brodo, in una minestra con i fagioli.

 

passatelli

Passatelli

Non proprio una pasta, ma sicuramente uno dei primi piatti più apprezzati della regione: i passatelli sono un classico intramontabile della cucina emiliana, perfetti per le giornate più fredde. Si preparano con parmigiano, pangrattato, uova, midollo di bue, spezie (noce moscata e pepe in primis), un impasto sodo che viene fatto passare in un apposito attrezzo forato, da cui si ottengono dei cilindretti lunghi, da cuocere in brodo.

 

pisarei

Pisarei

Altro piatto tipico della tradizione contadina, i pisarèi, solitamente consumati in una minestra con i fagioli (pisarei e fasò). Si tratta di un impasto di farina, pangrattato e acqua, da cui si ricava uno spaghetto, che viene poi tagliato in pezzetti piccoli scavati con il dito. Fra le usanze del passato più caratteristiche, quella delle suocere piacentine, che per giudicare se la nuora fosse o meno adatta al proprio figlio, erano solite controllarle il pollice destro: se presentava delle callosità, significava che era una buona donna di casa.

Ricciolini

Preparati nella comunità ebraica ferrarese per il Kippur, i ricciolini sono una specie di cavatelli a base di farina e uova, solitamente cotti in brodo. Per realizzarli, occorre preparare delle piccole strisce di pasta, da arricciare poi lungo il bordo.

Spoja lorda

Quadrotti di pasta all'uovo ripieni dai bordi frastagliati, da gustare in brodo oppure conditi con diversi sughi: la spoja lorda è una specialità romagnola ripiena di ricotta (o stracchino o raviggiolo), uova, parmigiano e sale.

Strettine

Farina, ortiche e uova sono gli ingredienti che danno origine all'impasto per le strettine, delle tagliatelle strette non troppo sottili, insaporite con ragù di carni bianche e parmigiano. È un piatto tipico della primavera, momento ideale per la raccolta delle ortiche, che vengono lessate in poca acqua, strizzate, tritate e aggiunte all'impasto.

 

stringotti

Stringotti

Delle striscioline di farina di farro, farina di grano, uova e acqua, caratterizzate da una rugosità pronunciata: gli stringotti, diffusi anche in Umbria, dove sono conosciuti con il nome di stringozzi o ciriole, devono il loro nome alle stringhe, per via della forma allungata che ricorda i lacci delle scarpe di una volta. In Emilia-Romagna venivano un tempo preparati per la vigilia di Natale, conditi con olio, noci e pepe.

 

tagliatelle

Tagliatelle

Pasta iconica della tradizione emiliana, le tagliatelle sono ormai da tempo diffuse in tutta la Penisola, abbinate a sughi diversi a seconda della zona. La leggenda narra che sia stato Zafirano (o Zaffirino), cuoco alla corte di Giovnni II Bentivoglio, ad inventarle in occasione della visita di Lucrezia Borgia a Bologna. Secondo il racconto popolare, infatti, il cuoco si sarebbe ispirato proprio ai capelli biondi della donna per creare le celebri tagliatelle. Originariamente riservate ai giorni di festa, venivano consumate anche dalle famiglie meno abbienti: nelle campagne, durante l'autunno, i contadini facevano scorta di uova per il periodo invernale, conservandole nelle lòle, delle giare di terracotta, con una soluzione di acqua e calce. Il condimento preferito dai contadini era il sugo di salsicce accompagnato con i piselli, mentre i più benestanti utilizzavano un ragù di carni miste. La prima versione moderna delle tagliatelle è descritta da Giacinto Carena nel “Vocabolario domestico” del 1859: “Con farina intrisa in pochissima acqua non fredda, messevi talora delle uova, si fa la pasta sur un tagliere o sul coperchio rovesciato della madia: il pastone dimenato, brancicato e infarinato, si spiana e si assottiglia col Mattarello o Spianatoio, riducendolo in ampia sfoglia; e questa ravvolta su di sé e incartocciata, tagliasi con coltello trasversalmente in fila o listerelle”. Da sempre, vengono preparate anche nella versione dolce, fritte e addolcite con zucchero.

 

tortelli

Tortelloni

Turtlò o turtj cu la cua nel Piacentino: in qualsiasi caso, si tratta di una pasta ripiena che prevede diverse farce a seconda della zona. Il nome deriva dal latino turta e indica una preparazione farcita: inizialmente, infatti, la turta era una sorta di torta rustica composta da due strati di pasta e ripiena di verdure. Preparazione di origini remote, i tortelli sono presenti già nei primi ricettari in volgare, seppur con formati diversi. Fra le tante chiusure possibili della pasta, si distingue quella piacentina cu la cua, ovvero con due code, la classica chiusura a caramella.

Tortelli romagnoli

In Romagna, i tortelli si farciscono con erbe di campagna e ricotta, aromatizzati con un po' di noce moscata, anche se ne esiste un'altra versione che prevede l'uso delle patate al posto delle erbe. Fra le erbe, sono gli stringoli (in dialetto, stridoli) a farla da padroni, molto diffusi nelle pinete del Ravennate, spesso cucinati anche come contorno. Altro tortello tipico romagnolo è quello di erbette, con bietola e ricotta.

Tortelli sulla lastra

Nella zona di confine fra la Romagna e la Toscana, nell'Alto Appennino forlivese, sono i tortelli sulla piastra i protagonisti della tavola. Si tratta di tortelli a base di farina e acqua di cottura della zucca, ripieni di zucca, patate, formaggio – cacio raviggiolo o pecorino – lardo e aromi, un tempo preparati in autunno in occasione della maturazione della zucca. Caratteristica principale è la preparazione sulla lastra, sistema di cottura molto popolare nel territorio per preparare la piadina.

 

tortellini

Tortellini

Un antico racconto popolare narra che, nel corso del Duecento, una marchesa giunse a Castelfranco Emilia e si fermò in una locanda chiamata Corona. L'oste, affascinato dalla giovane donna, dopo averla accompagnata in camera, rimase a spiarla dal buco della serratura, restando colpito dal suo ombelico. Tornato in cucina, decise di ispirarsi alla marchesa per dare una nuova forma alla pasta. È questa una delle leggende più amate circa la nascita del tortellino, anche se nel tempo storie e aneddoti diversi sono andati a sovrapporsi fino a creare un vero mito attorno a questa pasta. A ogni modo, si tratta di una delle paste ripiene più diffuse in tutta la regione, la cui paternità è da tempo contesa fra Bologna e Modena. Come spesso accade, non esiste una ricetta unica per la farcia, che cambia di famiglia in famiglia. Per il condimento, spazio alla fantasia: dal ragù di carne al classico sugo di pomodoro, dal brodo alla panna (quella buona!).

Zavardoui

Sono incerte le origini di questo nome insolito, ma secondo una delle ipotesi più accreditate deriverebbe dal termine dialettale zavardouna, che si riferisce a una donna trasandata. I zavardouni, infatti, sono dei quadrotti di pasta di farina di grano, farina di mais, sale e acqua, un po' grossolani e dalla forma irregolare. Per gustarli al meglio, i romagnoli li accompagnano con una salsa di pomodoro e formaggio di pecora.

Zuppa imperiale

Dei cubetti di semolino, burro e parmigiano, aromatizzati con un po' di noce moscata e cotti nel forno. Sono la base della zuppa imperiale, piatto corroborante perfetto per l'inverno, un brodo di carne caldo impreziosito da questi riquadri di pasta croccante. La leggenda più popolare narra che a ispirare la ricetta fu la krinofel austriaca, una minestra molto simile giunta in Emilia ai tempi del ducato di Maria Luigia, moglie di Napoleone I e duchessa di Parma. Secondo altri, invece, a inventare la zuppa furono le famiglie più abbienti, le uniche che in passato potevano permettersi ingredienti più costosi come il burro o il parmigiano. 

 

La ricetta: Tortellini

Ingredienti

Per la pasta

350 g. di farina

4 uova

Per il ripieno

250 g. di lombo di maiale

150 g. di prosciutto di Parma affettato

200 g. di mortadella affettata

80 g. di parmigiano grattugiato

olio extravergine di oliva q.b.

1 uovo

Sale q.b.

Pepe q.b.

Noce moscata q.b.

Tagliate il lombo di maiale a fette. Scaldate un filo d'olio in una padella e rosolate la carne a fuoco vivace pochi minuti per parte. Quando ha preso un colore deciso, insaporitela con sale (poco) e pepe, ritiratela dal fuoco e lasciate raffreddare quindi tagliatela a pezzi e raccoglietela nel bicchiere del mixer con il prosciutto e la mortadella. Frullate fino ad ottenere un composto non troppo sottile perché i tortellini sono molto più buoni se, masticando, si riesce a sentire la carne. Travasate il tutto in una terrina e unitevi l'uovo intero, una grattatina di noce moscata e il parmigiano. Mescolate, impastando con le mani, fino ad ottenere un amalgama consistente. È consigliabile, ma non necessario, far riposare l'impasto per una notte. Preparate la pasta con uova e farina lavorandola a lungo, quindi tirate la sfoglia sottilissima (se utilizzate la macchinetta, effettuate l'ultimo passaggio nell'ultimo spessore) e ricavatene dei quadrati di circa 3 cm di lato. Disponete al centro una piccola nocciola di composto, ripiegate a triangolo e premete un poco tutto intorno per sigillare quindi avvolgete il triangolo (punta in alto) attorno alla sommità dell'indice e fate combaciare le estremità stringendole. Lasciate riposare i tortellini anche per un giorno e fateli cuocere per non più di due-tre minuti. Per apprezzarli in pieno, i tortellini si mangiano in brodo, meglio se di manzo e cappone.

a cura di Michela Becchi

 
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