Inchiesta sul caffè italiano: il ruolo del comodato d'uso e la mancata formazione dei baristi

28 Gen 2024, 08:33 | a cura di
Diamo seguito all'inchiesta sulla tazzina e il mondo dei bar italiani per sentire più voci e pareri contrastanti. Dai piccoli torrefattori ai grandi nomi del mercato del caffè: un altro sguardo sul comodato d'uso

Il caffè italiano è il peggiore del mondo. Recita così il titolo di un articolo pubblicato sul Gambero Rosso il 15 gennaio 2024. Un’affermazione forte che di certo non ha lasciato indifferenti i lettori: consumatori, ma soprattutto operatori del settore. Tema centrale: il comodato d’uso, «contratti che il barista firma spesso con leggerezza, ma dai quali difficilmente riesce ad uscire. E questo rende amarissima sia la tazzina sia la sua attività». Il sistema del comodato d’uso funziona così: la torrefazione fornisce non solo i chicchi di caffè, ma anche macchina espresso, macinacaffè, tazzine, complementi d’arredo… il tutto, spesso, a prezzi stracciati, a discapito della qualità e con contratti vincolanti. Ma è sempre così? Abbiamo chiesto a esperti del settore (dai formatori ai grandi brand) un parere diverso.

La (mancata) formazione dei baristi

«Il punto è che il barista è compiacente, non una vittima di questo sistema» dice Andrea Antonelli, torrefattore, trainer SCA e brand ambassador di Pulycaff, azienda di detergenti per macchine da caffè. «Il comodato d’uso esiste, è una pratica comune in Italia, ma i baristi non sono costretti ad accettarla se la materia prima non è all’altezza. I torrefattori concedono spesso anche le attrezzature, trascurando il caffè, ma non è sempre così, ci possono essere formule vantaggiose per entrambe le parti. Fornire un macchinario a corredo può andar bene se il barista è preparato e conosce il prodotto; altrimenti, si troverà ad accettare l’offerta più conveniente senza porsi tante domande».

È d’accordo anche Fabio Verona, formatore per la torrefazione torinese Costadoro: «Il problema è la mancanza di consapevolezza da parte del barista. Il comodato d’uso non è di per sé un ostacolo, dipende da quanto sia vincolante il contratto». Costadoro, per esempio, lo fa, ma con diverse modalità: «Sul contratto, il prezzo finale è dettagliato con le voci dei relativi costi. Il barista può così scegliere di prendere tutto il pacchetto oppure pagare solo il prezzo del caffè e via dicendo».

Decostruire per imparare da zero

E c’è anche la formula prestito: «Ci offriamo di acquistare la macchina per il cliente, con un regolare contratto in base ai suoi consumi. Una volta che ha finito di pagare, la macchina è di sua proprietà. In questo modo il barista ha la possibilità di concentrarsi di più sulla qualità della materia prima». Insomma, un comodato d’uso senza vincoli stringenti per garantire un servizio migliore. A patto, naturalmente, di seguire da vicino i baristi «questo è il vero tasto dolente in molti casi; i clienti vanno informati e accompagnati nel percorso». Ma il panorama italiano si sta evolvendo? «Noto una maggiore attenzione, tanti ricercano prodotti diversi, specialmente la fascia più giovane, che è più predisposta a un approccio diverso».

Luca Filicori

Che le nuove generazioni possano finalmente dare una svolta al settore? Certo, partire da zero è più semplice che decostruire tante (errate o incomplete) informazioni assorbite nel tempo, «un po’ com’è successo all’estero» aggiunge Luca Filicori, ad con delega a comunicazione marketing e commercio esterno di Filicori Zecchini: «Gli americani sono bravissimi in questo, si innamorano di un prodotto e ci costruiscono dietro un mondo, insieme a uno straordinario lavoro di storytelling. Lo hanno fatto con la birra e anche con il caffè, ma non c’è da stupirsene: noi abbiamo una tradizione molto più antica, quasi ingombrante».

Torrefazione e bar, condividere il rischio d'impresa

Tornando al comodato d’uso, anche Filicori Zecchini lo mette in pratica: «Per noi è un investimento, non sempre sicuro. Se una persona vuole aprire un grande locale con macchine di livello, le risorse impiegate saranno molte, in questo modo condividiamo il rischio d’impresa. Per noi è una scommessa puntare su un progetto, non è detto che le cose vadano bene». Capita anche di rifiutare delle richieste? «Sì, proprio perché ci teniamo a offrire un servizio di qualità. Il 2023 per noi è stato un anno record, abbiamo avuto 760 trattative per nuovi clienti, ma abbiamo detto di no a 400».

Parola d’ordine, quindi, rapporto con il cliente: «Che i baristi vogliano risparmiare è indubbio, per questo spesso accettano proposte che non portano a nessun tipo di qualità, ma non sono questi i nostri clienti tipo. Dal 2001 abbiamo una scuola di formazione, i prezzi dei nostri prodotti sono chiari, quello che a noi interessa è avviare una partnership». Ma è solo il prezzo stracciato il motivo per cui molti baristi cedono a contratti svantaggiosi per la qualità dell’offerta? «No, è un fattore prima di tutto culturale. Il barista conosce il rappresentante, firma il contratto, spesso neanche lo legge del tutto… è semplicemente uso e costume del bar all’italiana, un retaggio culturale che per fortuna si sta scardinando col tempo».

Kimbo: «Preferirei regalare la macchina, che darla in comodato»

Che al centro di tutto ci sia la formazione degli addetti ai lavori è evidente. È un punto che evidenzia anche Mario Rubino, presidente di Kimbo: «Il caffè in grani è un semilavorato, che deve essere necessariamente affidato a mani esperte. Anche la migliore miscela e la macchina più all’avanguardia possono generare un risultato in tazza non soddisfacente, senza una preparazione adeguata». Dal canto suo, per controllare la qualità Kimbo ha attivato una rete di Coffee Specialist, esperti del settore incaricati di verificare il livello dei bar che usano i chicchi della torrefazione, oltre a fornire formazione al Kimbo Training Center.

Mario Rubino

Quanto al comodato d’uso, «è una prassi che non condividiamo» continua Rubino, «se i bar fossero disposti a investire in proprio su una buona macchina da caffè senza ricorrere alle concessioni dei torrefattori, la qualità sarebbe messa in primo piano». È una questione di responsabilizzazione della filiera, «un qualcosa a cui tengo molto: sembrerà paradossale, ma preferirei quasi regalare una macchina piuttosto che darla in comodato». Il settore è in crescita, ma «serve più cultura per alzare il livello; il mercato, attualmente, è ancora un po' confuso. Dobbiamo cercare di fare un percorso simile a quello intrapreso dal mondo del vino anni fa».

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