Confessione semiseria di un'appassionata di caffè: se lo specialty non vi piace, è perché non avete trovato quello giusto

3 Mar 2024, 08:12 | a cura di
Siamo abituati a un gusto ben diverso quando si parla di caffè, ma le papille gustative crescono, si evolvono insieme alle nostre consapevolezze: l'importante è non mollare dopo il primo assaggio

Quando il V60 arriva in tavola, con piccole tazze in ceramica ed eleganti cucchiaini, lo sguardo di tutti improvvisamente si illumina. È la loro prima esperienza con un caffè filtro, con un metodo di estrazione alternativo all’espresso che per noi italiani è sempre stato il caffè, unico e solo. Chi è del mestiere lo sa bene: consigliare un locale non è semplice come si pensa. Quando ti occupi di cibo, la responsabilità è doppia, tutti pretendono il consiglio «della vita», e ancor di più quando si tratta di un mondo ancora poco conosciuto come quello dei caffè di un certo livello, le aspettative sono altissime.

Gli specialty sono "troppo acidi"?

Mentre verso la bevanda inizio a farfugliare qualcosa sulla torrefazione scelta. Siamo in un bar di Roma, stiamo bevendo un V60 preparato con i chicchi di una micro-roastery veronese, ma avremmo potuto essere a Firenze, Milano, poco importa: la bevanda che arriva è buonissima, il profilo aromatico convince tutti, l’assaggio ancor di più: «Questa sì che è una scoperta!».

Scopri come preparare un caffè filtro con V60

Mi rilasso, quando tutto a un tratto arriva il colpo basso: «Però è troppo acido» aggiunge un'amica. È una doccia gelida: ne avevo scelto uno dal gusto piuttosto morbido proprio per evitare reazioni simili… è troppo acido. La frase continua a risuonarmi in mente mentre arrivo a una considerazione non facile: l’ho pensato anche io, tante e tante volte.

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La mia prima volta

Ero consapevole di bere un qualcosa di pregiato, con un lavoro curato dietro, ma non sempre riuscivo a godere appieno dell’esperienza. Il mio primo approccio agli specialty c’è stato nel 2015 e mi è piaciuto. Ma in seguito ci sono stati anche assaggi meno emozionanti, in parte per mia inesperienza ma, forse, anche perché non erano le bevande giuste per me. Invece esiste un caffè buono per ognuno di noi, basta non fermarsi al primo tentativo.

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Innanzitutto, perché il nostro palato ci mette un po’ ad abituarsi: pensiamo all’extravergine di livello, che è amaro e piccante (caratteristiche più o meno intense, ma sempre presenti). Se per tutta la vita abbiamo usato un olio mediocre il primo assaggio potrebbe risultare arduo. Questo, però, non deve fermarci né farci sentire «sbagliati»: auto-giudicarsi non porta a nulla, se non a rimanere nell’ignoranza.

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Non esiste "lo" specialty

Il secondo motivo, forse il più importante: non esiste il caffè. Non esiste il giusto gusto né un profilo aromatico univoco per tutti i caffè del Pianeta (parliamo di un mondo gigantesco, sarebbe impensabile credere che l’unico gusto possibile di un filtro sia quello provato in una caffetteria a Londra o a casa dell’amico appassionato di turno).

La prima volta che assaggiai, anzi, strippai un olio (avete presente quel rumore non proprio elegante che si emette durante la degustazione di extravergine?), mi disgustò. Era maggio 2015, a dicembre conclusi il corso per diventare assaggiatrice. La sensazione di fastidio era stata sotituita da un gran piacere. Nel frattempo, avevo scoperto il mondo degli specialty, che ancora non smette di sorprendermi, e che – posso garantirlo – mi ha regalato non uno, ma tanti, tanti caffè giusti.

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