Alla Calabria piace più il kiwi dell'arancia: ma forse è meglio che ci ripensi

22 Mar 2024, 11:27 | a cura di
Quali saranno le conseguenze sull’ambiente e la biodiversità in Calabria dove il kiwi verde brevettato sostituisce gli agrumeti con un consumo d’acqua dieci volte superiore? E chi ci guadagna, soprattutto. Un'indagine rivela aspetti dell'agricoltura inquietanti

La terza regione produttrice di kiwi in Italia è la Calabria. E per coltivarlo, molti agrumeti vengono riconvertiti con nuovi impianti adatti a far fiorire queste nuove piante. Il motivo, però, non è un cambio di gusto improvviso, ma è - come sempre - anche economico: la specie di kiwi scelta rende molto di più. Per questo molti agricoltori nella Regione stanno decidendo di sostituire gli agrumi con questa nuova varietà, verde, molto più dolce, ma anche molto più costosa di quella gialla.

Ora, non ci sarebbe nulla di male nel cambiare coltura, ma in questo caso la variazione impatterà in maniera significativa sull’ambiente e sui piccoli agricoltori: sull'ambiente, perché per crescere ha bisogno di moltissima acqua, una caratteristica decisamente poco sostenibile con la siccità che sta colpendo l’Italia e la Calabria in particolar modo. Sulle attività agricole, perché quel kiwi è il risultato di semi manipolati geneticamente e protetti da brevetto che significa che sarà il proprietario a dettare le condizioni alle quali dovranno sottostare gli agricoltori per coltivare proprio quella specie.

A indagare su quello che sta succedendo è stato il programma "Indovina chi viene a cena" che ha portato alla luce informazioni spesso troppo taciute. Per capire di cosa si sta parlando, bisogna fare un passo indietro e ampliare lo sguardo al mercato dei semi: primo anello della catena alimentare, sono chiaramente elementi fondamentali e proprio per questo dovrebbero essere liberi e condivisi. Ma così non è: la gestione del loro mercato è concentrata nelle mani di poche persone e questo comporta rischi significativi. La corsa ad accaparrarsi il seme perfetto e la sua protezione tramite brevetto, infatti, hanno contribuito a lasciare a poche multinazionali il potere di fare quello che vogliono con l’offerta alimentare mondiale.

A settembre 2022 è stato pubblicato dall’Ong ETC Group il nuovo rapporto sulla concentrazione dei sistemi agroalimentari dal titolo Food barons 2022. Crisis profiteering, digitalization and shifting power, dove il termine profiteering sta per “ultraprofitti”, ovvero i guadagni irragionevoli che in un periodo di crisi alcuni soggetti traggono solo per le loro posizioni di monopolio. Un tema di grande attualità, non solo per le sementi.

Ma restando nel settore che ci interessa, dall’analisi è emersa una realtà inquietante: a spartirsi il mercato del cibo mondiale sono sei multinazionali. Guardando i dati si vede che le prime due imprese, la tedesca Bayer che ha inglobato Monsanto e la statunitense Monsanto Agriscience, controllano il 40% del mercato mondiale. Se, poi, si aggiungono la cinese Syngenta group, le tedesche Basf e Kws, e la francese Limagrain, si scopre che in totale solo loro sei ne controllano il 58%. Ancora più concentrato il settore dei pesticidi: il 62,3% del mercato è in mano quattro società, che in barba a ogni norma di concorrenza, sono le stesse delle sementi e dove la Cina sta diventando il leader mondiale.

Perché dunque tutto questo è così pericoloso? Per migliaia di anni, gli agricoltori non hanno fatto altro che coltivare e riseminare le piante e i semi erano liberamente scambiati. A partire dagli anni ’90, però, tutto questo ha iniziato a cambiare con l'arrivo della bioingegnerizzazione delle colture, quel processo attraverso cui, si modifica il DNA e l'RNA di animali e piante per ottenere una serie di vantaggi per la produzione agricola. I risultati di queste manipolazioni, però, hanno visto l'introduzione di brevetti a tutela della proprietà di queste nuove colture, che sono diventati presto uno strumento per l’appropriazione delle risorse agricole.

Tra la standardizzazione dei semi e la produzione concentrata nelle mani di poche multinazionali ciò che è successo, secondo la FAO, è che si è perduto il 75% della biodiversità e un altro terzo di ciò che resta se ne andrà da qui al 2050, una grave perdita visto che è proprio la biodiversità a rendere le colture meno vulnerabili alle fitopatologie e ai cambiamenti climatici. Non solo, parliamo dei brevetti: com’è possibile che una pianta o una sequenza genetica specifica diventi proprietà di qualcuno? Eppure è possibile e, infatti, è avvenuto.

A rassicurarci sul futuro, però, ci sono le multinazionali: sul sito di una di queste si legge, infatti, che saranno loro a garantire al mondo la sicurezza alimentare nei prossimi decenni, quando la popolazione aumenterà drasticamente e i cambiamenti climatici imperverseranno. Ottimo, ora ci sentiamo decisamente meglio.

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