Grom. Da Torino nel mondo
Qualche settimana fa la notizia dell'avvicendamento, in uno dei locali che segnarono l'esordio del progetto Grom, nel 2003: dal gelato di Federico Grom e Guido Martinetti (poi venduto al gruppo Unilever) a quello di Alberto Marchetti, che a Torino, nonostante i numerosi punti vendita, continua a rappresentare il lavoro artigiano (come i gelatieri segnalati sulla guida Gelaterie d'Italia 2020 del Gambero Rosso, da poco presentata al Sigep). Un cambio della guardia, quello di via Cernaia, che aveva fatto notizia, perché nello spazio in questione l'insegna Grom ha proliferato per oltre vent'anni, mentre la strategia imprenditoriale mutava radicalmente la fisionomia del gruppo. Fino al passaggio di proprietà, nel 2015, con l'acquisto del marchio da parte della multinazionale olandese Unilever, al culmine di una scalata che si è consumata in poco più di dieci anni, a partire dall'idea di fondare una startup dedicata a rappresentare il gelato italiano nel mondo. Così Grom, sostenuto dagli investimenti del colosso olandese, il mondo l'ha conquistato per davvero, pur scendendo a compromessi evidenti con quello che fu il pensiero iniziale, ma sempre preservando il concetto di stagionalità del gelato, che tra i primi, Federico e Guido hanno portato alla ribalta nel settore della gelateria. E oggi si contano punti vendita del gruppo un po' ovunque, da Tokyo a New York, a Dubai. Il cuore delle operazioni, invece, è rimasto nell'hinterland di Torino, nel centro di produzione di Settimo Torinese, dove, dall'inizio, Grom ha impostato un metodo di lavorazione peculiare, pastorizzando le miscele per poi abbatterle e trasferirle nelle gelaterie, dove il prodotto è mantecato e messo in pozzetto.
La strategia di Unilever. Alla conquista dei supermercati
Un approccio di impostazione “industriale” che deve aver pesato sull'interessamento di Unilever, già proprietaria di grandi brand del gelato, da Algida a Carte d'Or. Questa è stata la storia degli ultimi anni. Il futuro, però, sarà ancora diverso (a proposito di riflessioni sul futuro del gelato, ecco a che conclusioni è giunto, appena qualche giorno fa, Simone Bonini). E in direzione contraria alla moltiplicazione di punti vendita cui abbiamo assistito finora. I segnali sono evidenti: non solo il negozio “storico” di Torino, ma anche le gelaterie di Udine e Treviso hanno annunciato negli ultimi giorni l'imminente chiusura, mentre a Modena, Mestre, Varese e Alessandria le saracinesche sono già abbassate da qualche mese. Per inquadrare il momento, la strategia aziendale è quella di ridimensionare progressivamente il canale “retail”, per dare priorità al circuito della grande distribuzione. L'operazione sancisce il definitivo allontanamento dalla filosofia originale di Grom, con l'abbandono delle gelaterie e l'intenzione di dedicarsi a un posizionamento più efficace nel banco frigo dei supermercati. La spiegazione è contenuta nella nota dell'azienda, pubblicata dal Corriere della Sera, che pur ammettendo il cambio di rotta, lascia aperto uno spiraglio al mantenimento di punti vendita convenzionali, capaci di veicolare “l'esperienza Grom”, almeno nelle grandi città: “La nostra missione è portare nella vita di più persone, in tutto il mondo, il puro e autentico gelato italiano. Perseguirla ha richiesto, negli ultimi anni, un’evoluzione del modello di business e una visione proiettata sul medio e lungo periodo, che tenga conto di nuove opportunità, nuovi canali e nuove attitudini di acquisto. Tutto questo si traduce anche in un’analisi della rete di vendita e nella scelta di chiudere alcuni negozi, mantenendo tuttavia il ruolo del retail come hub dell’esperienza e DNA di Grom: anche il gelato confezionato nasce dal desiderio di mettere la nostra gelateria in barattolo”.
Ma i dipendenti che lavorano nelle gelaterie destinate a chiudere che fine faranno? Unilever assicura la ricollocazione in altri punti vendita per i contratti a tempo indeterminato. Non proprio una buona notizia, vista la necessità di trasferirsi in altre città.