Dante amava la buona tavola?
In Toscana c’è un aneddoto che racconta il rapporto di Dante Alighieri con il cibo. Vuole la leggenda che Il Sommo Poeta amasse sedersi fuori dalla sua abitazione e riflettere in silenzio. Un giorno un uomo si fermò e chiese a Dante quale fosse il suo piatto preferito. E Dante rispose a colpo sicuro: "L'uovo!". Un anno dopo, lo stesso uomo passò nuovamente di lì e trovò Dante sempre intento a riflettere. Visto che già all’epoca Alighieri era un personaggio molto conosciuto (sia come letterato sia come politico), e di lui si diceva che avesse una straordinaria memoria, il passante decise di verificare la veridicità di questa notizia, chiedendogli a bruciapelo: “E con che cosa?". Il Sommo Poeta, senza battere ciglio, rispose: "Con il sale”. Questa storiella popolare, oltre a spiegare la sua incredibile memoria, ha con il tempo creato l’idea che Dante non amasse particolarmente i piaceri della tavola, e che nel suo essere ascetico non trovasse posto la buona cucina.
Il 25 marzo è Dantedì
Il 25 Marzo in Italia viene da qualche anno celebrato il Dantedì, nella data che gli studiosi riconoscono come inizio del viaggio nell’aldilà della Divina Commedia (il famoso “mezzo del cammin”), e sarà l’occasione per ricordare il genio di Dante, con tante iniziative, anche online, organizzate dalle scuole, dagli studenti e dalle istituzioni culturali. L'edizione del 2021 è anche più significativa, perché avviene nel settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta. Vogliamo approfittare di questa occasione per scoprirne di più sul rapporto tra Dante e il cibo, e anche per vedere come le celebrazioni del Settecentesimo stiano ispirando i protagonisti dell’enogastronomia italiana.
Partiamo dal pane
Nonostante l’idea che la tradizione popolare vuol costruire, i riferimenti al cibo, nella Commedia, ci sono eccome, e anzi, quest’ultimo diventa spesso metafora della condizione umana. Uno dei passaggi più conosciuti di tutti i canti è senza dubbio quello che descrive l’esilio:
“Tu proverai sì come sa di sale | lo pane altrui, e come è duro calle | lo scendere e ’salir per l’altrui scale (Par. XVII 58-60)”
La doppia valenza simbolica del pane altrui salato infatti, è da un punto di vista meramente narrativo sinonimo del gusto sgradevole dell’esilio, ma è anche una testimonianza storica della lunga tradizione del pane sciapo o sciocco dell’Italia centrale comparato a quello salato dell’Italia settentrionale.
Inferno
Possiamo dire senza alcun dubbio che Dante si sia ispirato ai cuochi della sua epoca nella scrittura dell’Inferno, ma forse non nella maniera che ci aspetteremmo. Le tecniche di cucina medievale sono infatti messe nelle mani dei demoni, che con forche e uncini buttano i dannati nella pece bollente, stando attenti che non vengano a galla:
Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalli / fanno attuffare in mezzo la caldaia / la carne con li uncin, perché non galli (Inferno, XXI, 55-57).
Ma se dovessimo fare un’indagine sulla prima parola che gli italiani collegano alla Commedia a tavola, probabilmente questa sarebbe “golosi”. In ogni altro contesto della vita questo termine avrebbe un significato positivo, quasi affettuoso. Ma non quando si tratta dell’Inferno. Qui i golosi sono puniti per la loro condotta terrena nel Terzo Cerchio. Curiosamente però non subiscono particolari pene per contrappasso, bensì per analogia generica: assimilati alle bestie, per la loro ingordigia in vita saranno accovacciati per terra come animali, in fango e acqua sporca, e flagellati dalle intemperie.
Il Purgatorio e le anguille di Martino IV
In questo momento vi starete chiedendo: “Ma come, mi ricordavo che soffrissero la fame senza poter mangiare nulla, mi sto sbagliando?” No, solo confondendo! I golosi infatti non si trovano solo all’inferno, ma anche al purgatorio (Canto XXIII e XXVI). Mentre quelli relegati all’inferno non hanno mai preso coscienza del loro peccato, quelli nel purgatorio si sono pentiti, fosse anche soltanto in punto di morte, della loro condotta terrena. Qui sono tormentati da fame e sete continua, resa peggiore dal profumo dei frutti che pendono da due alberi, e da una fonte d'acqua che sgorga dalla roccia e sale verso l'alto. Nel Purgatorio diversi sono i dannati citati ma della maggior parte non conosciamo l’oggetto della loro golosità. Eppure ve ne è uno tra loro per il quale si entra più nel dettaglio, ed è utile per capire alcune abitudini alimentari dell’epoca. Si tratta del Papa Martino IV (Simon de Brion, nato a Tours (Torso) nel Castello di Mainpincien attorno al 1210. Costui pare fosse particolarmente celebre per la sua passione per le anguille del lago di Bolsena e il vino di Vernaccia:
...ebbe la Santa Chiesa e le sue braccia / dal Torso fu, e purga per digiuno / l'anguille di Bolsena e la Vernaccia.
È molto interessante che non solo siano citati un cibo e una bevanda, ma anche una “denominazione”, una varietà molto pregiata di anguilla già nota ai Romani per la sua bontà e per questo citata da Lucio Giunio Moderato Columella. Sappiamo addirittura che Martino prediligeva le anguille macerate nel vino e successivamente arrostite, e la sua fama di goloso lo accompagnava anche da vivo, come dimostrato da un epitaffio a lui dedicato che recita che a giovarsi della sua morte sarebbero proprio le anguille:
Gaudent anguillae, quia mortuus hic iacet ille, qui quasi morte reas escoriabat eas.
I riferimenti al cibo e bevande nella commedia non si esauriscono qui, ma per chi volesse ulteriormente approfondire il tema, la cosa migliore è forse leggere un interessante approfondimento scritto dall’Accademia dei Georgofili
L’omaggio degli artigiani del gusto a Dante
Si è molto parlato di una multinazionale che ha dedicato tre gelati al settecentesimo anniversario della scomparsa di Dante, ma anche piccole aziende e realtà artigiane enogastronomiche hanno deciso di celebrare il Sommo poeta.
Partendo dalla sua Toscana, il progetto Infernvm porta la firma di Paola Francesca Bertani, “chocolatier” dell'isola d'Elba. La sua collezione di praline, disponibile in edizione limitata (solo 700 scatole appunto) si rifà alla narrazione della Commedia per ispirarsi nei sapori. Per rappresentare i già citati Golosi è stato scelto un caramello salato alla cannella, mentre per gli Avari un ripieno di ganache al cioccolato bianco e noce moscata in una pralina “gastronomica” che richiama piatti salati. Agli Iracondi, che non contengono la rabbia, è dedicata una ganache di peperoncino.
Nella patria del Boccaccio, Silvia e Pasquale La Rossa, titolari del panificio Forno Moderno di Certaldo e San Gimignano, hanno approfittato della vicinanza della Pasqua per omaggiare il Sommo Poeta con un nuovo prodotto dolciario, La colomba di Dante, realizzata in tre varianti: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Ognuna delle tre versioni viene accompagnata da un vasetto di crema spalmabile e da una piccola ampolla per dosare a proprio piacimento la quantità di liquore. L’Inferno è rappresentato con cioccolato fondente, liquore al caffè e crema di whisky, il Purgatorio da alchermes e crema. Nella colomba Paradiso, invece, troviamo cioccolato bianco, ananas semicandita e brandy.
Il libro di cocktail
Nel libro Il Decocktailone, scritto a quattro mani dal bartender Federico Pempori insieme al giornalista Giacomo Iacobellis (con foto di Martino Dini), viene riproposto il modello narrativo del Boccaccio, ovvero quello di una conversazione tra amici durante un periodo di isolamento (in questo caso la prima quarantena) per creare una serie di cocktail ispirata alle grandi opere letterarie. La sessione principale è proprio denominata “La Divina Cockmedia” e racchiude una serie di drink ispirati a personaggi noti e meno noti dell’opera dantesca: Caronte, Minosse e Cerbero fino a Lucifero per l’Inferno, Catone, Virgilio e Matelda per il Purgatorio, e Beatrice per il Paradiso. Nell’opera le caratteristiche di ognuno dei personaggi vengono riproposte in forma liquida, in un esercizio di stile letterario e di miscelazione.
Il Vermouth di Dante
Chiudiamo questa carrellata di iniziative in Piemonte, dov’è nato il Vermouth 9 di Dante, ispirato ai gironi dell’Inferno. Le 27 erbe botaniche che lo compongono sono selezionate in tutto il mondo, e di queste, 9 sono state scelte specificamente per il loro simbolismo storico e il legame con l’opera. A ogni erba corrisponde un cerchio: assenzio maggiore (Limbo), cardamomo (Lussuriosi), buccia d’arancia amara (Golosi), comino (Avari), basilico (Iracondi), ortica (Eretici), tanaceto (Violenti), finocchio (Fraudolenti) e carvi (Traditori). La base è di vini del territorio, parti uguali di Dolcetto rosso e Cortese bianco che danno un colore rosso rubino. Un Vermouth di Torino moderno da apprezzare sia liscio che con ghiaccio oppure nei cocktail, come in un Negroni. Un’ultima curiosità per gli amanti dei simbolismi numerici: ne sono state prodotte solo 6666 bottiglie.
Se il Dantedì dura solo un giorno, e il 700 anniversario solo un anno, la memoria dell’opera di Dante è per sempre, e noi non possiamo che augurarci che funga da ispirazione a moltissimi altri artisti in ogni campo. E visto che quest’anno di celebrazioni è solo all’inizio, perché no, anche di poter vedere riproposta l’anguilla papale in qualche ristorante come piatto celebrativo!
a cura di Federico Silvio Bellanca
foto di apertura di Martino Dini