LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI
THE BEST IN ROME & LAZIO
In Turchia la marea di profughi fuggiti dalla Siria in guerra ha dato vita a un vero e proprio movimento gastronomico che si è innestato sulla cucina locale, anche con esperienze innovative. In Italia ancora no, ma il lavoro di Shaza Saker e dei suoi compagni sta conquistando il palato dei romani, tanto più in questa epoca di lockdown in cui il food delivery è diventato centrale nelle case di chi deve rinunciare all’uscita serale con la famiglia o con gli amici. Ma partiamo dall'inizio.
In fuga dalla tragedia siriana
Nel 2017 Shaza, nata a Damasco da genitori siriani ma vissuta quasi sempre a Roma e impiegata alla Fao, stringe amicizia con Jumana – giovane profuga siriana appena arrivata a Roma – e decidono insieme di aiutare i connazionali in uno dei momenti più bui della storia della Siria sotto i bombardamenti. Shaza è a Roma dal 1978 ma ha mantenuto i contatti con la sua madrepatria grazie ai mesi di vacanza e grazie alla vita in casa, dove si parlava arabo e si mangiava siriano. Le due danno vita a Hummustown, una cooperativa solidale che offre sul mercato romano piatti siriani a domicilio, anche per catering, e dà lavoro a profughi siriani. In neppure un anno, le due donne trovano i soldi per il progetto attraverso una rete di crowdfunding e mettono in piedi un laboratorio di cucina: si stabiliscono nella zona di Furio Camillo, a Roma, in via San Domenico Savio. E se il lockdown è stato un castigo per i più deboli, per Hummustown è stato l’occasione per dare lavoro a una quindicina di profughi (ma non solo) altrimenti in balìa di una città chiusa e off limits. E per far sperimentare la cucina mediorientale ai romani, tanto più che i ristoranti siriani nella Capitale saranno un paio di cui solo uno ha provato a fare delivery.
Non solo lavoro: anche cultura e integrazione nel delivery siriano
“Quello che vogliamo fare noi, però” racconta Shaza “non è solo dare lavoro. Il nostro progetto è assistere i profughi che arrivano a Roma per la prima volta e non sanno parlare l’italiano né hanno idea di come muoversi: quindi li seguiamo, gli insegniamo la lingua, li assistiamo nelle pratiche da sbrigare. Insomma, siamo una sorta di primo pit stop in Italia”. Con il tempo, sono cresciute persone e nazionalità: “oggi ci sono una decina di siriani, un paio di iracheni, una kenyota e tre romani: sì, perché non sono solo i profughi ad aver bisogno di sostegno a Roma. Con l’emergenza sanitaria molte famiglie italiane sono a rischio e soffrono la povertà, vogliamo aiutare anche loro e coinvolgere tutti in un progetto di integrazione che si amplia: nelle nazionalità e culture che si incontrano, ma anche nelle pietanze, nelle ricette e nei menu”. Se Jumana prepara cibo siriano, accanto a lei ci sono Erminia che fa piatti romani e Hamida, che propone cucina del Kenya.
Delivery siriano e vino toscano
Cucina, sì, ma anche vino. Sapori. Sempre utilizzando la convivialità come tavolo di vicinanza, confronto e crescita oltre che di integrazione. Tra persone, ma anche – appunto – tra cibi e vino. Ora, in epoca di aperitivi virtuali, Hummustown ha stretto una partenership con una cantina toscana, La Chimera d’Albegna, proponendo un aperitivo del sabato a base di vini, extravergine toscano e cibo mediorientale ma anche toscano. “Consegniamo a casa tre vini, un extravergine e i nostri piatti da condividere insieme il sabato, collegandosi online tra le 17 e le 18,30: l'azienda vitivinicola ci guida in un percorso virtuale tra viti e olivi fino in cantina e in tre stop si degusta insieme. Abbiamo così scoperto che il rosato si sposa benissimo con l’hummus, che l’extravergine è speciale insieme ai crostini di fegato alla toscana, che il bianco si esalta con la salsa mutabbal (a base di melanzane affumicate, crema di sedano e olio di oliva) e con la shamandar, salsa a base di barbabietola rossa con crema di sesamo, aglio, yogurt e olio di oliva. Così si intrecciano i sapori e le tradizioni del Mediterraneo… Il terzo vino, un rosso a base di Cabernet e Sangiovese, lo abbiniamo a nostri felafel di ceci con crema di tahine, yogurt e limone. In questo modo – sorride Shaza – facciamo anche un’altra prova di incontro, quella tra vino toscano e cucina siriana: perché l’obiettivo, oltre a lavorare, è creare quel mix di cucine e di culture che spinga ad ampliare le possibilità di integrazione”.
Anche gli ingredienti possono integrarsi
È sempre sul filo dell’ampliamento delle possibilità di inserimento – oltre che delle capacità lavorative – che Shaza ha spinto due cuoche di Hummustown (Rim e Rokaya, una siriana e l’altra palestinese) a fare un tirocinio presso la mensa di una scuola americana internazionale dove le cuoche e gli oltre 300 studenti di mezzo mondo fanno l’esperienza di un altro tipo di incontro: quella tra ingredienti e cucine diverse. “Un giorno le due cuoche hanno preparato il Kabab beytenjan, un piatto a base di melanzane e carne macinata: è stato un successo enorme. Quando la manager della mensa ha saputo che era un piatto siriano a base di melanzane, è trasecolata: in quella scuola non riuscivano mai a servire le melanzane, non piacevano a nessuno! Invece, cucinate alla siriana avevano avuto un successo strepitoso, tanto che il piatto è entrato in maniera stabile nel menu della mensa”. Ecco come gli stessi ingredienti possono essere visti, trattati e vissuti da angolazioni diverse: “anche questa è una opportunità di comprensione e di integrazione. Spesso il piatto del nostro vicino è strano solo perché non lo conosciamo: quando ne facciamo l’esperienza possiamo cambiare idea. E quell’esperienza ci fa crescere” continua “So, ad esempio, che noi siriani spesso abusiamo di spezie e aromi; ma dico a molti italiani che mi chiedono di non mettere aglio, di provare il piatto originale, e spesso capita che neanche si accorgano che c’è aglio: trattato e cucinato in un certo modo, non fa l’effetto che spesso ci opprime nei soffritti di casa nostra!”
Il delivery siriano e il successo di mlookheyeh e del rez fel shaereyeh
Quali sono i piatti che i romani apprezzano di più? L’hummus, ormai, lo conoscono in molti, così come i felafel di ceci o di fave. Ma ci sono piatti poco noti che raccontano di una cucina raffinata e delicata, anche se decisa e saporita pur non essendo mai davvero invadente. “Anche noi cerchiamo di capire cosa va e cosa no, per modulare i nostri menu” ci dice Shaza “Un must tra i nostri clienti romani sono spinaci molto particolari che importiamo dalla Siria, i mlookheyeh, puliti molto accuratamente e soffritti con aglio in padella, quindi bolliti e accompagnati con riso siriano (rez fel shaereyeh: fatto con riso e una pasta sottilissima e corta fritta, i filini) condito con cumino e pepe nero. Molto richiesti anche gli involtini di foglia di vite e riso speziato che a differenza di quelli greci non hanno olio di oliva. E abbiamo tanti piatti di verdura, e altri in cui si può tranquillamente non mettere la carne, per i vegetariani. Idem per i celiaci: abbiamo tanti piatti adatti a chi sia intollerante al glutine”.
Molto apprezzato è il pollo speziato, “sia con riso che in panino (shawerma e shawerma wap): una sorta di piadina sottile in cui il pollo si sposa alla mtawameh, una salsa fatta con albume, yogurt, olio di oliva e limone cui aggiungere cetriolini sottaceto e magari l’harissa piccante a base di peperoncino e peperone rosso. Le nostre salse tradizionali siriane sono ormai amate da tutti: l’hummus, la mutabbal, la shamandar e la Laban mix con albume, cumino e yogurt”.
Coordinate per conoscere la Siria a tavola
Ecco come funziona Hummustown: si fa l’ordine attraverso il menu pubblicato su Instagram, sui gruppi Whatsapp, su Facebook e diffuso tramite newsletter; prenotando con 4-5 ore di preavviso: per il pranzo si ordina la sera prima, per la cena la mattina. “Non abbiamo quasi nulla di congelato” spiega Shaza “partiamo dal fresco e facciamo una cucina espressa. Importante, per noi, è la scelta del packaging: solo materiali biodegradabili e riciclabili; alluminio per ciò che va riscaldato, tutto il resto (posate, piatti e bicchieri) è compostabile. Ora stiamo raccogliendo dei fondi per acquistare un furgone ibrido per fare consegne a emissioni zero”. Insomma, un delivery etnico, buono, giusto e pulito. Da provare!
Hummustown – Roma – 350 0320364 – www.hummustown.com – [email protected]
a cura di Stefano Polacchi