“Andai da Bottura quando era uno sconosciuto. La pizza più buona? Non a Napoli”. Intervista al medico che ha provato oltre 500 ristoranti

9 Mar 2024, 12:12 | a cura di
Un'ora e mezza. Tanto è durata la chiacchierata con il medico che ha provato più ristoranti di tutti in Italia. Sono oltre 500. La pizza più buona gliel'ha preparata un cuoco. Storia di Vincenzo Gasbarri: professione gourmand.

Vincenzo Gasbarri è un medico chirurgo di Viterbo, ha sessantasei anni e negli ultimi trent’anni non ha fatto altro che mangiare in giro per il mondo e prendere appunti. Tremila solo le pagine scritte a mano, e quello che si legge sui suoi taccuini sono solamente date, nomi di piatti e giudizi: eccellente, ottimo, perfetto. Sì, perché il memento del cibo non fa foto ai piatti, non segna giudizi negativi, ma fissa sulla carta solo ciò che di buono ha mangiato. In questa intervista, ha raccontato il dietro le quinte di un gourmand professionista.

Da quanto tempo gira per ristoranti?

Trent’anni. È una passione che accomuna me e mia moglie: mangiamo in posti in Italia e anche all’estero, in particolare in Francia.

E quando visita i ristoranti?

Ho cominciato a muovermi nel finesettimana e nei giorni festivi infrasettimanali, partendo dai locali delle zone limitrofe per poi spostarmi. In genere, ogni due mesi mi faccio un programma dei ristoranti che voglio provare. Bisogna premunirsi, soprattutto quando si tratta di fare diversi chilometri.

Quanti ristoranti ha visitato in questi trent’anni?

Se facciamo riferimento alla guida Michelin 2024, ne ho visitati 362. E altri 258 sono i Bib Gourmand. Ma visito anche quelli segnalati da Gambero Rosso o da ristoratori, amici che hanno uno sguardo sul nuovo.

Cosa mangia in questi ristoranti? Preferisce il menu degustazione o alla carta?

Io non amo i menu degustazione, credo che vadano bene per una persona che va una tantum in un ristorante. Io prendo sempre tre piatti: primo, secondo e dessert.

Come avviene la sua degustazione?

Prima di mangiare annuso il piatto, poi mastico molto lentamente per assaporare bene tutto per sentire il piatto aprirsi in bocca progressivamente.

Abbina del vino ai piatti che degusta?

Mentre mangio non bevo vino, non faccio mai il pairing, scelgo solo una bottiglia dalla carta e tra un piatto e l’altro intervallo magari con piccoli sorsi. Preferisco un solo vino, credo che berne vari durante il pasto confonda un po’. Faccio piccoli sorsi d’acqua e mangio pochissimo pane.

E quando non visita ristoranti cosa mangia?

Durante la settimana mangio poco: a pranzo pasta, del contorno, della frutta. A cena pesce o carne, contorno e frutta. E non bevo durante la settimana, insomma faccio attenzione.

Scatta delle foto ai piatti come ogni food addicted?

No, non le faccio.

E allora come fa a ricordare le cose che mangia?

Ho un ricordo visivo dei piatti, però prendo appunti su delle Moleskine, ne avrò una quindicina. Se considera che per ognuna ci sono circa duecento pagine, capisce quanti appunti ho preso?

Innumerevoli.

Esatto.

E cosa ci scrive?

I piatti che prendo, vini, bottiglie. Quelli che mi rimangono impressi li segno in rosso. A distanza di tempo rileggo gli appunti, vedo come cambiano i menu, come si evolvono. Sono un dilettante che nel tempo ha affinato qualche capacità di giudizio, non sono un sommelier, un esperto, rimango al mio posto, non do giudizi, bisogna rispettare il lavoro degli altri.

Quindi non è il tipo che, se rimane deluso da un ristorante, scrive una recensione negativa online?

No, mai scritta una e nemmeno le leggo. Se c’è qualcosa che non va, lo dico al ristorante.

Ci sono dei piatti in questi trent’anni che le sono rimasti nel cuore?

Gli Spaghetti alla Nerano di Taverna del Capitano a Nerano: piatto eccezionale, ricetta di famiglia. La lepre alla royale di Antonio Guida al Seta di Milano, niente da invidiare a quella di Pierre Gagnaire da cui Guida ha appreso i segreti: è superba.

E i dolci? C’è qualcuno che si è meritato una riga rossa sul suo taccuino?

Sono amante dei dolci. Le posso dire che un dolce che mi piace moltissimo è la Zuppa Inglese che fanno al ristorante La Trota a Rivodutri, è veramente un gran dessert: goloso ma elegante.

La pizza che ruolo ricopre in tutto questo? La mangia?

Sono appassionato di pizza, preferisco la napoletana: bel cornicione alto, fatta bene.

Dove ha mangiato dell’ottima pizza?

Da Pepe in Grani a Caiazzo. Poi a I tigli, a San Bonifacio, quella dei Fratelli Salvo a Cremano. A Napoli da Concettina ai Tre Santi.

C’è una che ricorda in modo particolare?

Sì, ma l’ho mangiata nel giardino di un ristorante e non in una pizzeria. Era la Pasqua di molti anni fa, prenotai per tre cene di seguito (venerdì, sabato e domenica), al ristorante di Nino Costanzo, all’epoca era nell’hotel Terme Manzi. Per il pranzo, un giorno chiesi consiglio dove mangiare una buona pizza e lui mi disse: “Se vuole gliela faccio io, me la cavo a farla”. Mangiai una pizza margherita eccezionale.

Le è rimasto impresso questo chef?

Sì, ma anche io a lui. Rimase sorpreso all’epoca, mi scrisse una lunga lettera in cui mi ringraziava orgoglioso del fatto che mai nessuno aveva prenotato al buio per tre sere consecutive.

Che cosa fa di un piatto un grande piatto, secondo lei?

Quando si sentono le materie prime. E poi meno ingredienti ci sono, meglio è. Un giorno Niko Romito mi disse: “In un piatto quello che è difficile non è mettere, ma togliere”. E siccome lui è un ricercatore dell’essenziale nel piatto, seguo questa linea. A volte quando gli ingredienti sono tanti il piatto può sembrare solo un esercizio stilistico.

Oltre a Niko Romito, ha conosciuto grandi chef quando ancora non erano grandi chef?

La prima volta che andai da Massimo Bottura a Modena aveva parto da poco, non aveva neppure la stella. Andai su suggerimento di amici del mantovano, mi dissero: “Quello è bravo, vai un po’ a vedere”. Ricordo, era un sabato sera freddissimo a Modena nel ristorante c’erano solo due tavoli occupati, il nostro e un altro.  Facemmo una lunga chiacchierata con lo chef e alla fine della cena ci offrì, in un cucchiaio dorato, dell’aceto balsamico per affrontare il freddo nel tragitto tra ristorante e hotel

Ci sono ristoranti che ha visitato varie volte?

Sono molto affezionato a Enoteca La Torre, ci sarò stato 40 volte. L’ho visto nascere a Viterbo e ho vissuto i passaggi di tutti gli chef da Kotaro Noda, passando per Danilo Ciavattini fino a Domenico Stile, oggi. Poi, Taverna del Capitano, almeno 50 volte, e Il seta di Antonio Guida.

Cosa le fa ritornare in un ristorante?

Innanzitutto, la qualità di quello che si mangia, il piacere palatale, poi l’ambiente, l’empatia con il personale, la piacevolezza della sosta, una serie di cose. Anche il servizio di sala è molto importante. Anche se, su questo la Francia batte l’Italia. Se Italia è 9, Francia è 10.

In che senso?

Innanzitutto, andare al ristorante in Francia è normale: in un due stelle puoi trovare anche ottanta persone a pranzo di mercoledì, per dire. Dai noi ci sono pochi tavoli occupati: c’è l’idea, in Italia, che nei ristoranti di alto livello si spende tanto e si mangia poco. In Francia, anche nel bistrot più banale vedi la divisa, l’impostazione di sala.

Si spieghi meglio.

Le faccio un esempio: una volta sono stato in un due stelle di Parigi, c’era un ragazzo italiano, credo di Vicenza, che faceva il maître, molto bravo e mi disse: “Io non tornerò mai più in Italia perché qui sono il direttore di sala, lì il cameriere”. La gente deve capire che lavorare in sala non è meno che lavorare in cucina, in Francia hanno la stessa dignità anche economica.

Un ristorante francese che le è rimasto impresso?

Sono stato diverse volte da Paul Bocuse a Lione e una delle ultime volte, già quando non stava bene, mi fece entrare nella sua cucina: 400 metri quadri, sembrava di stare in una sala operatoria,  brillava tutto e sui pavimenti non c’era una briciola. Tutti lavoravano come orologio svizzero e lì ho capito perché è stato il faro della cucina francese per cinquant’anni.

Quindi ha avuto esperienze anche all'estero. 

In Francia la cucina è ottima. Sono stato anche in Spagna, zona di Barcellona e Paesi Baschi. Dopo l’India, a Londra c’è la migliore cucina indiana, anche giapponese. In Germania ho sempre mangiato bene, ma la Francia è la Francia.

Qual è la regione in cui si mangia meglio in Italia?

Della Campania non si può dire nulla: dove cadi, cadi bene anche nella trattoria nascosta mangi bene. Nel Lazio c’è una crescita, in Toscana, in Sicilia, Emilia-Romagna, Puglia, si mangia sicuramente molto bene. La cucina piemontese e veneta sono ottime, ma basiche.

Quali sono gli chef nella sua personale top ten?

Bottura è ottimo, mangiare da lui è una grande esperienza. L’esperienza palatale che più mi soddisfa è Da Vittorio della famiglia Cerea, mangiare lì è godurioso. Mauro Uliassi e Ciccio Sultano, anche, sono il top. Al Porticciolo di Gianfranco Pascucci a Fiumicino, poi, è ai massimi livelli per me per il pesce, stessa cosa per Taverna del Capitano con lo chef Alfonso Caputo. Però, sa, quando uno ha girato in lungo e in largo, è difficile dire meglio uno che un altro.

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