L'enoturismo dopo la pandemia
Erano 15 milioni gli enoturisti nel 2019 e 2,65 miliardi di euro il giro d’affari complessivo stimato. Parte da questi numeri il 17esimo rapporto sul Turismo in Italia presentato dalle Città del Vino in una versione inedita: “Meno numeri, più concetti su cui ragionare in vista del rilancio”, spiega il direttore Paolo Corbini dopo che la pandemia ha assestato un colpo durissimo a tutto il sistema, con il crollo delle visite in cantina e le ricadute sulle vendite dirette. “Per pareggiare i conti serviranno due anni di tempo dalla fine della pandemia” ha annunciato il presidente dell’Associazione Floriano Zambon, riassumendo l’opinione del campione di esperti, 100 addetti ai lavori (rappresentanti di associazioni vitivinicole, Strade del vino, consorzi di tutela) intervistati per stilare l’indagine qualitativa, elaborata da Giuseppe Festa di Wine Business.
Un piano di promozione post pandemia
Tra le misure da adottare per aiutare la ripresa, la risposta è un vero plebiscito (oltre il 74%): mettere in atto un piano straordinario di promozione del turismo del vino. “Servono un tavolo di progettazione e una cabina di regia” sottolinea Zambon “che uniscano le migliori intelligenze del pubblico e del privato per ridisegnare il rilancio del turismo del vino italiano, anche attingendo alle risorse che oggi ci mette a disposizione il recovery plan”. Per Donatella Cinelli Colombini “Il must è la creazione dell’Osservatorio nazionale che gestisca la ripartenza con fondi adeguati. Qua siamo armata Brancaleone: si va agli Europei senza allenatore”. Anche il presidente Uiv, Ernesto Abbona, insiste su questo punto: “Il turismo del vino non è un turismo minore, rappresenta un'improntate motivazione di viaggio, ma sembrerebbe ancora che questa cosa non sia avvertita dalle forze politiche”. Per Paolo Morbidoni, presidente Strade del Vino dell’Olio e dei Sapori: “Non bisogna ripartire da zero, ma da tutto ciò che si è costruito in questi anni, rafforzando le reti esistenti”.
Coma cambia l'enoturismo dopo il Covid
Pochi dubbi anche sul fatto che dopo il Covid, il turismo del vino sarà destinato a cambiare per sempre. In particolare, l’80% delle risposte ha evidenziato come l’esperienza enoturistica sarà sempre di più all’aperto, anche per immediate esigenze di sicurezza sanitaria e psicologica. “Lo dimostra il successo di Vigneti Aperti, il nuovo format con cui il Movimento Turismo del Vino ha intercettato il nuovo trend”, ha evidenziato Nicola D’Auria, appena riconfermato alla guida di Mtv.
Molto ci si aspetta anche da due caratteristiche di “convivenza” con la pandemia, ossia l’enoturismo di prossimità e la digitalizzazione dell’enoturismo da cui, con formule diverse e applicazioni contestuali, non si tornerà più indietro.
Punti di forza e punti deboli
Tra i punti di forza evidenziati nell’Indagine, la complessiva ricchezza enogastronomica del Paese e l’appeal del contesto storico-artistico-culturale, mentre i punti di debolezza sono la carenza dei servizi di accoglienza e l’esperienza di visita spesso uguale, non originale o meglio ancora “memorabile”. Una proposta più esperienziale, meno ripetitiva. “Il mondo rurale è un mondo analogico che tende a riproporre sempre le stesse formule” ha argomentato Cinelli Colombini “Invece i territori devono accentuare la loro identità. A partire dalla costruzione delle cantine: bisogna combattere quelli che gli architetti e gli urbanisti chiamano i non luoghi. Penso, ad esempio, alle sale degustazioni uguali per tutti, che rinunciano ai materiali, agli stili e agli artigiani del territorio in nome della standardizzazione”. La via è quella dell’identità.
a cura di Loredana Sottile
Questo articolo è tratto dal settimanale Tre Bicchieri dell'1 luglio 2021 – Gambero Rosso
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