Tre Bicchieri. Parla Rita Babini dell'azienda Ancarani

6 Ott 2018, 11:30 | a cura di Antonella De Santis

Un percorso lungo che porta alla rinascita di alcuni autoctoni quasi sconosciuti: centesimino e famoso. Ma che poi si estende anche alle uve albana e sangiovese.

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L'azienda nasce per volere di Claudio Ancarani, a partire dai terreni acquistati dal nonno. “L'ha voluta fortemente lui” dice la moglie Rita Babini, “poi mi sono aggiunta io”. Circa 40mila bottiglie l'anno – le prime risalgono al 2001 - per 17 ettari e mezzo di vigneti. Una produzione di misura, decisamente artigianale, dove domina il lavoro sul territorio e i vitigni autoctoni. Per il quale l'azienda è nota “ammettendo che si parli della nostra cantina” si schermisce Rita “lo si fa soprattutto per centesimo e famoso, anche perché sono uve che si usano meno”. Sono solo 8 le cantine che producono centesimino, “una ricchezza per tutto il territorio” spiega. E parla di biodiversità, di varietà genetica, tutela della cultura e della saggezza locale. Il progetto dell'azienda si costruisce a passo lento ma costante, anno dopo anno. Valorizzando questi piccoli vitigni sconosciuti ai più e portando avanti un'idea di vitivinicoltura che, in vigna quanto in cantina, vuole assecondare e valorizzare ciò che consegna la natura in quest'angolo d'Italia nei pressi della Torre di Oriolo, nel Faentino. E l'impronta che vogliono dare al loro lavoro è quella tutta artigianale, che regala prodotti identitari, capaci di raccontare un luogo, con le sue radici e la sua memoria, smarcando i ritratti più usuali della regione. I risultati sono intriganti, perfettamente aderenti all'idea di un minuzioso dipinto di questo territorio. Ce ne parla Rita Babini.

 

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Qual è la vostra idea di vitivinicoltura?

La definizione più corretta è artigianale, anche perché corrisponde alle dimensioni piccolissime della nostra cantina, che nasce con un occhio di riguardo verso la biodiversità della nostra zona.

Sangiovese e albana sono le bandiere della Romagna, ma stanno emergendo anchealtre uve. Per esempio il centesimino o il famoso che voi vinificate in purezza. Come mai questa scelta?

Claudio sentiva di voler raccontare la nostra visione di Romagna, distaccandosi da quella più comune. Siamo vicino a dei giganti, ma volevamo far sentire la nostra voce. Esiste un altro tipo di coraggio: quello di non aver paura di raccontare qualcosa di diverso rispetto alla narrazione più diffusa. E noi lo facciamo attraverso due autoctoni, il centesimino a bacca rossa e il famoso, bianco. Abbiamo sempre guardato con attenzione alle varietà autoctone romagnole, non ultimo il trabbiano, cui tengo molto. Sono vitigni piuttosto diversi uno dall'altro.

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Quali sono le loro caratteristiche?

Il centesimino è varietà prefillossera, poi rimessa su piede di vite americana, che si contraddistingue per una apertura di semiaromaticità, allo stesso modo del famoso. Per non esasperare questo aspetto facciamo una raccolta leggermente anticipata rispetto a come si faceva fino a una decina di anni fa, quando in molti vendemmiavano uve quasi surmature. Non ci troviamo in questa scelta come non ci troviamo nell'uso di legno in cantina.

Come mai?

Cerchiamo di raccontare il territorio e il terreno. Stare sopra Faenza, nella zona di Oriolo, significa avere terreni di forte sabbiosità con vene di argilla. E nei terreni sabbiosi i vitigni con una punta di aromaticità riescono a esprimersi meglio.

Come vi approcciate a questi vitigni?

Nel centesimino l'aspetto olfattivo nel bicchiere è importante, il carattere semiaromatico è parte della bevuta; ha discreta persistenza e un bella struttura, si distingue dal sangiovese per la sua acidità e i tannini più felpati. L'aspetto semiaromatico è tipico anche del famoso, che ha, tra le sue caratteristiche, un possibile crollo di acidità piuttosto repentino. A noi piace raccoglierlo precocemente rispetto alla piena maturazione, in modo da mantenere una buona spalla acida che riesca a rinfrescare la bevuta, per bilanciare l'aspetto aromatico.

Questo per la vigna. In cantina, invece?

Facciamo una fermentazione spontanea in piccoli mastelli senza controllo di temperatura, sulle bucce sia per i rossi che per l'albana, ma non per trabbiano e famoso. In cantina usiamo acciaio e cemento sin da subito. Abbiamo vitigni semiaromatici e un terreno sabbioso che li esalta, non riteniamo sia necessario aggiungere anche del legno, già abbiamo sin troppe cose da mettere in equilibro. L'equilibrio è una cosa fondamentale. Usiamo legno solo per il passito, con barrique di quinto passaggio che portiamo in esaurimento.

Il lavoro di zonazione del sangiovese procede a passo spedito e sempre più aziende aggiungono la sottozona in etichetta. Può essere la strada per conferire sempre più valore al Sangiovese romagnolo?

Questa è una domandona. Per dare valore credo si debba avere maggiore rispetto del vitigno prima di parlare di sottozone. A volte pare ci sia un po' di timore nel raccontare la schiettezza del nostro Sangiovese, spesso si tende a scimmiottarne altri più blasonati, ma il nostro è un altro. Che ovviamente varia a seconda della terra su cui si coltiva, perché parte tutto dalla terra, che cambia a seconda di terreno, altitudini, esposizioni. Poi, una volta rispettato il vitigno e l'annata, le sottozone possono aiutare a n le diverse sfumature e le diverse provenienze.

Qualcuno parla di fenomeno Albana, per spiegare la fortuna che sta riscuotendo in questi anni questa varietà. Tante le sue interpretazioni: da quelle in sottrazione alle più ricche e materiche, passando per le versioni macerate sulle bucce. Non si rischia di fare confusione?

Il sangiovese sta cercando la sua identità da trenta anni, porre questo dubbio sull'albana credo sia prematuro. Credo oggi si abbia voglia di raccontare l'albana così come è nato, perché per anni si è snaturato, basti pensare che il disciplinare addirittura lo voleva bianco, e fino a pochi anni fa si conosceva solo nella versione passito. Farei un passo indietro per questo. Al momento direi che vediamo quel che si può fare con questo albana. Non è un vitigno che apre spazio a mille interpretazioni.

Allora che vitigno è?

Credo che l'albana abbia una sua identità, è un'uva esuberante, prepotente, che se c'è si sente eccome, indipendentemente se è stata macerata o no, ovviamente rifuggendo dalle esasperazioni che, in qualsiasi direzione vadano, tendono sempre a coprire. Questo se si è voluta mettere in bottiglia. Perché non sempre si trova albana nel bicchiere quando c'è scritto albana in etichetta.

Avete conquistato il vostro primo Tre Bicchieri, ma non con il vino che forse vi sareste aspettati, il centesimino. Invece il premio è arrivato con il Sangiovese, on il Biagio Antico '16. Che ne pensate?

Siamo felicissimi di averlo ricevuto per il sangiovese, si parla più frequentemente di centesimo o albana anche perché se ne fanno pochi. È stata veramente una bellissima sorpresa. Credo sia il sangiovese meno ruffiano che ci sia capitato di fare in questi anni e siamo felici così. Perché è quello che identifica di più la nostra zona, quello schietto, di quando chiacchieri con gli amici, mangiando una fettina di salame o giocando a carte.

 

Az. agricola ANCARANI - loc. Santa Lucia - Faenza (RA) - via S. Biagio Antico 14 - +39 0546 642162 - viniancarani.it

 

a cura di Antonella De Santis e William Pregentelli

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