Venezia muore? Analisi di una città tra desertificazione urbana e grande turismo

23 Apr 2023, 12:58 | a cura di
A Venezia i posti letto sono quasi quanto gli abitanti. È la fotografia di una città che vive di turismo ma ne è anche soffocata. Ma quale è la situazione reale?

La scalata è quasi finita: con 48.596 contro i 49.365, il conto tra i posti letto dell'offerta ricettiva e quelli residenziali è quasi pari. I dati, rilevati nei giorni scorsi, sono l'apoteosi del turismo che divora la città. Segno della desertificazione sociale di una Venezia trasformata in Disneyland. Non è un fenomeno recente: era il 2008, infatti, quando la farmacia Morelli su iniziativa di Venessia.com, una delle molte realtà protagoniste di una resistenza cittadina, accendeva il contatore dei veneziani, secondo i dati forniti dall'Ufficio Anagrafe del Comune di Venezia. All'epoca erano 60.720. Undicimila in più di oggi, molti meno del passato, quando - almeno fino alla seconda metà del secolo scorso - gli abitanti superavano e di molto le 100mila unità. Poi è stata una corsa verso il basso, accompagnata dalla progressiva crescita dell'offerta turistica. Sono due dati differenti, ma in dialogo stretto, perché la pressione turistica interferisce con il tessuto sociale ed economico cittadino, intralciando il diritto alla casa. Dal 2018 Ocio, l’Osservatorio CIvicO sulla casa e la residenza, monitora la situazione abitativa di Venezia; sono loro, insieme a Venessia.com ad aver posizionato il 17 aprile alla libreria USATA by Marco Polo (poco più di un chilometro e mezzo dalla farmacia Morelli), il contatore dei posti letto dell'offerta ricettiva nella città storica, desunti dal portale del comune di Venezia. Ma per chi fosse curioso anche Inside Airbnb fornisce informazioni interessanti.

Il turismo a Venezia

L'enorme offerta turistica a Venezia è frammentata: ci sono gli hotel, tra i quali le grandi catene alberghiere che si rivolgono al turismo del lusso, con l'attrattiva aggiuntiva di bar e ristoranti d'autore (come il caso del recente approdo della famiglia Scarello al JW Marriott Venice con Agli Amici Dopolavoro all'Isola delle Rose), e c'è l'offerta extra hotel: bed and breakfast, stanze o appartamenti immessi sul mercato per affitti brevi in genere attraverso piattaforme come Airbnb. “Anche in questo caso ci sono situazioni diverse” spiega Laura Scarpa, di Venezia da Vivere, progetto dell'agenzia di comunicazione Raccontare Venezia, specializzata in eventi e iniziative di valorizzazione dell'artigianato, della creatività e il tessuto produttivo locale, impegnata proprio nello sviluppo del turismo sostenibile, “un conto è chi, da veneziano, affitta una casa, magari per restaurarla o per generare una economia personale e rimane a vivere in città, un altro sono quelle agenzie che hanno anche più di 100 appartamenti, e spesso non sono neanche veneziane”. Alberghi sotto mentite spoglie. “Sono questi” conclude “che mettono tutti in agitazione”. Il crescere dell'offerta turistica extra hotel ha ridotto la disponibilità di abitazioni e fatto schizzare in alto i prezzi, inquinando il mercato immobiliare, con la conseguente fuga dei residenti, la cui assenza ha poi generato la progressiva scomparsa di attività e servizi primari, di esercizi di prossimità, sostituiti da quelli turistici, in una catena a reazione che incide sul tessuto sociale ed economico cittadino. C'è un modo per contrastare questo fenomeno? “Magari limitando il numero di appartamenti a persona, o dimostrando di essere veneziano o di abitare a Venezia. Facile poi” aggiunge “che si possano aggirare anche questi limiti”.

È l'unica ragione del deserto del centro storico? "Lo spopolamento è iniziato negli anni '70, in quel momento tutti volevano lasciare la città, le aziende si erano spostate fuori e con loro i lavoratori. È il lavoro che è fuggito e che ha fatto fuggire i residenti” spiega e continua “con tutti gli uffici fuori, l’industria cittadina rimasta è il turismo”. Ed è un male? “Il problema è stato il turismo di massa, ovunque e non solo a Venezia, naturalmente. Dunque incolpare Airbnb e simili – non c'è solo quello! - è semplificare trovando un capro espiatorio. Con gli affitti brevi vengono a Venezia turisti che poi spendono in città; invece che lamentarci delle 50mila persone che dormono qui, si svegliano, scoprono gli usi locali e magari comprano il pane dove lo compro io, dovremmo preoccuparci del milione di pendolari, che ci passano poche ore”. Quindi si demonizzano le persone sbagliate? “Sì. Sono quelle che soffocano Venezia”. 

Turismo a numero chiuso, come funziona nel resto del mondo

Quello di Venezia non è un caso isolato: a Milano Beppe Sala si unisce al coro di richieste di altri sindaci (per esempio Nardella e Lepore che già lo scorso anno ipotizzavano un paletti sugli affitti brevi per Firenze e Bologna), per un intervento legislativo ad hoc che metta ordine al mercato, regolamentando il modello Airbnb pur tutelando i piccoli proprietari, sulla falsariga di quanto avviene in altre città del mondo, ognuna con modalità proprie: se a Vienna gli affitti brevi sono del tutto vietati, a Barcellona non si può mettere sul mercato l'intero appartamento: il limite è di due stanze con l'obbligo di residenza del proprietario. In altre città ci sono soglie nei giorni di affitto annuali: a Parigi 120, ad Atene e San Francisco 90, mentre a Lisbona varia a seconda dei quartieri. Diverso l'approccio dell'Alto Adige, che nel settembre scorso ha introdotto un tetto massimo di pernottamenti nella provincia autonoma di Bolzano: 34milioni annui, tanti quanti erano nel 2019, considerata la soglia massima per garantire un'accoglienza adeguata e mettere un freno alla desertificazione urbana.

Il limite stavolta, è nel numero di posti letto: ogni attività deve comunicare entro giugno al comune di appartenenza quelli che ha a disposizione, ogni comune – tenuto poi a controllare - avrà la sua quota di capienza oltre la quale non verranno rilasciate nuove autorizzazioni, se non in sostituzione di altre di attività cessate. Una strategia che si presta a molte critiche, perché rischia di bloccare il rinnovamento imprenditoriale, non lasciando spazio alle nuove attività e alla rotazione delle autorizzazioni tra i richiedenti, e che ricorda quella delle licenze di pubblici esercizi contingentate in alcuni centri storici che prestano il fianco a una compravendita di licenze sottobanco, al nascere di attività sommerse come nel caso dei ristoranti camuffati da associazioni culturali o librerie, e di altre formule più o meno nebulose di somministrazione. A Venezia c'è una proposta di legge presentata da Alta Tensione Abitativa che ha visto l'adesione di molti gruppi locali. Pensata per Venezia e per tutti i comuni ad alta affluenza turistica che ne condividono le criticità.

  • Limitare il numero degli immobili dati in locazione breve per contenere le ricadute negative sul mercato delle locazioni residenziali di lungo periodo
  • Applicare le limitazioni anche a quanti già svolgono attività di locazione breve, dal momento che i soli vincoli pro futuro sarebbero insufficienti, limitandosi a “fotografare” la situazione attuale già insostenibile
  • Attribuire ai comuni la facoltà – e non l’obbligo – di introdurre tali limitazioni, sulla base di un regime di autorizzazione delle locazioni brevi
  • Lasciare al comune una certa autonomia nella concreta individuazione delle limitazioni, eventualmente anche differenziandole per zone, pur nel rispetto dei criteri e dei principi generali posti dalla legge
  • Evitare l’aggregazione di autorizzazioni in capo a un singolo soggetto, secondo il principio “un proprietario = un’autorizzazione”, valorizzando così la funzione di integrazione al reddito dell’attività di locazione breve
  • Garantire comunque l’esercizio, al di fuori di regimi di autorizzazione, delle attività che non hanno un impatto significativo sulla residenzialità e possono ricondursi alla nozione originaria di sharing economy, ossia: locazione breve di singoli locali nell’immobile di residenza oppure dell’immobile di residenza nei periodi in cui non lo si occupa (per un massimo di 90 giorni)

La soluzione è bloccare il turismo?

Ma se per l’assessore provinciale al Turismo di Bolzano, Arnold Schuler, l'obiettivo è puntare sulla qualità e non sulla quantità, è ipotizzabile un blocco del turismo? “No, di certo no” risponde Laura Scarpa “la mia riflessione è su come trasformalo in una risorsa per Venezia e per il benessere cittadino. Abbiamo la fortuna di vivere in una città che vede persone di tutti i tipi, piena di attività culturali di altissimo livello, una città d'arte che tutto il mondo vuole vedere. Abbiamo orti e vigne cittadini, l'orto di San Francesco della Vigna e dei Carmelitani Scalzi, tantissime isole con diversi progetti di agricoltura sostenibile; i nostri bambini stimolanti al massimo. Venezia è il miglior luogo dove far crescere i figli”. E allora? “Per me il turismo può essere una risorsa anche per la transizione green, per l'inclusione, l'incontro tra le popolazioni e le culture, se ben gestito”.

Laura Scarpa è la promotrice insieme a Lorenzo Cinotti di Venezia Turismo Sostenibile, tavola rotonda con gli stakeholder del comparto per condividere e sviluppare buone pratiche e progetti di turismo più umano, “per esplorare percorsi innovativi, progettare insieme la transizione di Venezia a destinazione sostenibile e rendere il turismo una risorsa per il benessere e per la vita a Venezia”. Un evento che si sviluppa in una serie di incontri con addetti ai lavori, istituzioni, imprenditori, esperti di diverso tipo, in collaborazione con il Comune di Venezia, il patrocinio dell’Università Ca’ Foscari e la partnership di Vela. “Abbiamo i dossier dei primi progetti, iniziative che fanno bene alla città, si va dagli hotel che fanno attività di educazione del turista promuovendo comportamenti sostenibili, alle aziende che si occupano delle infrastrutture per le stazioni di ricarica del trasporto elettrico, alle fattorie biologiche che hanno un'offerta enogastronomica, ad altre iniziative che dimostrano come la qualità della vita a Venezia nonostante tutto sia elevata”. Ma come la mettiamo con i momenti caldi dei grandi eventi?

Il turismo nella città dei grandi eventi

Dalla Festa del Cinema alla Biennale, dal Carnevale al Salone Nautico: Venezia è teatro di importantissime manifestazioni che hanno saputo destagionalizzare e differenziare l'afflusso turistico. Come vengono recepite dagli abitanti? “Sono eventi di grande valore culturale, che non portano tanta gente per le strade e fanno lavorare tutti, perché gran parte degli operatori turistici e dei loro impiegati sono veneziani”. Come non portano tanta gente per le strade? “A parte il Carnevale, no: la Biennale Cinema porta gente soprattutto al Lido, non tanto nel centro città, dove non c'è affollamento, lo stesso per la Biennale Arte e Architettura che è concentrata in certe aree, senza contare” aggiunge “che le delegazioni arrivano tre mesi prima per organizzare i padiglioni. È bella gente, colta, che rispetta la città e crea economia, feedback positivi mi arrivano anche dal Salone Nautico”. Non sono eventi esclusivi? “Non tutti: ci sono eventi di teatro, musica, danza alla portata di tutti, alcuni anche all'aperto”.

L'ipotesi Venice Pass

Tra le proposte per risolvere la pressione turistica, anche quella di un pass, prevista per il 2023 e poi naufragata. “Il pagamento dell'ingresso potrebbe essere un deterrente per quei turisti che non portano nulla alla città, quelli che lasciano Venezia peggio di come l'hanno trovata, quelli che sporcano, che bivaccano in terra o non spendono un euro per un caffè neanche se devono usare i servizi e usano la città come un bagno a cielo aperto”, replica Laura, che aggiunge “credo che siano turisti che non fanno girare l'economia e che difficilmente avranno interesse a conoscere – per esempio - gli artigiani locali, poco consapevoli del valore della città. Di contro” continua “una parte di cittadini pensano che mettere un biglietto d’ingresso potrebbe non essere la strada giusta perché si rischierebbe di dichiarare che la città è un museo, invece, quando non è vissuta così, è un luogo di studio, di ricerca, di restauro, di produzione artigianale, un concentrato straordinario di fondazioni di arte e dove i più grandi artisti portano le loro attività e vengono a vivere (per esempio Anish Kapoor ha portato la sua fondazione e sta creando una scuola di arte!)”.

Il turismo di massa ha pro e contro, gestirlo è un obbligo, pena la fuga in blocco dei visitatori di qualità e degli abitanti. Per esempio, alle Cinque Terre il problema, più che gli affitti, è l'affluenza: un territorio circoscritto soffre l'eccesso di presenze che rende, di fatto, invivibile l'area. Per questo che i sindaci dei paesini della costa ligure hanno chiesto una legge speciale per il turismo che metta in conto anche l'ipotesi di un numero chiuso oltre il quale bloccare gli ingressi, come già per la Via dell'Amore tra Riomaggiore e Manarola. A Venezia, il ritorno delle navi da crociera è un elemento aggiuntivo: se è vero che non entreranno più nel bacino di San Marco, fermandosi a Chioggia, Trieste o in altri porti più o meno vicini o addirittura in rada, è altrettanto vero che scaricheranno in città un numero esorbitante di turisti, portati con lancioni che - questi sì - entrano nel bacino di San Marco, anche 20 o più a nave che fanno il percorso due volte al giorno da e verso le navi, con un disastroso impatto ambientale e di salvaguardia della città. Centinaia, spesso migliaia – come nel caso recente della Norwegian Cruise - di persone che si riversano per calli e piazzette per una manciata di ore che difficilmente porteranno economie alle attività cittadine.

Venezia. È così cara?

Cosa risponde a chi dice che Venezia è cara, e magari proprio per questo non avvicina bar o ristoranti ma visita la città, pranzo al sacco? “Che è una balla: puoi spendere 20-25 euro in osteria, o 5 euro nei bacari, che sono posti fatti apposta per stare in piedi al bancone o seduti, posti tipici, gradevoli e che costano poco. Con meno di 10 euro puoi mangiare polpette o tramezzini, facendo girare l'economia, riposandoti, potendo usare i servizi e ti sei comportato adeguatamente. Anche io mi sorprendo che non si sappia che c'è anche questa offerta”.

C'è però un problema di comunicazione se il locale tipico cittadino viene ignorato a favore di take away o posti che poi inducono comportamenti sbagliati. Bisogna lavorare per ridefinire l'immagine della città. Ma se la città rimane senza abitanti, vengono meno i negozi di prossimità, i mercati, mancano le attività per i residenti, non si riesce più a controllare né prezzi né tipo di esercizi commerciali. Perché a quel punto il piccolo imprenditore non potrà competere con multinazionali che, di nuovo, inquinano il mercato. “L'offerta determina la domanda. Se ci sono i take away che fanno sì che poi si debba trovare un appoggio di fortuna per mangiare, le persone probabilmente lo faranno, sedendosi su scalini e angoli delle strade. Se sei in una città che si presenta in modo diverso, non solo le persone non hanno dove comprare questi cibi dirottandosi verso altri locali, ma saranno spinte a comportarsi bene, vestirsi adeguatamente". “Non è una questione di costi, ma di consapevolezza”. C'è anche un turismo che vuole un buon servizio, vuole scoprire la città, gli artigiani, fare esperienze, attività con i bambini, vogare o andare sulle isole. Non sono turisti che spendono 2500 euro a notte, ma che comunque creano un indotto, acquistando esperienze e servizi locali. Benessere per tutta la città.

 

a cura di Antonella De Santis

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