In viaggio tra oasi e villaggi berberi. Dove andare e cosa mangiare in Tunisia

7 Apr 2024, 15:38 | a cura di
Da sempre meta di vacanze per il suo mare e le coste, la Tunisia punta ora sul turismo gastronomico sostenibile, tra oasi e villaggi berberi. Ecco dove andare e cosa assaggiare

Il mare e le sue coste sono destinazioni classiche del turismo internazionale, ma ora la Tunisia punta decisamente anche sulla valorizzazione delle sue ricchezze gastronomiche e lo fa evidenziando rotte e comunità eco-sostenibili, dalle oasi del deserto ai villaggi berberi. Vincitore di diversi premi e riconoscimenti internazionali, il progetto di turismo gastronomico La Route Culinaire de Tunisie, è stato lanciato recentemente dalla rete mondiale del Creative Tourism Network con l’intento di far conoscere un volto inedito della Tunisia, complementare a quello balneare della costa. L’iniziativa mira a promuovere il ricco patrimonio culinario di questo Paese del Maghreb attraverso i prodotti distintivi di sei grandi Regioni: i formaggi del Nord Ovest, l’harissa di Cap Bon, l’olio d’oliva del Centro e di Dahar, il vino del Nord, i datteri deglet nour del Sud Ovest e il polpo di Kerkennah.

Partecipativo e inclusivo, il progetto della Route coinvolge una varietà di attori locali, dagli agricoltori agli artigiani, dagli agriturismi dei piccoli centri, passando per l’accoglienza di boutique hotels e maisons d’hôtes, spesso a gestione familiare. Le esperienze che è possibile fare sono legate da un filo conduttore: co-creare attività culinarie che vedano protagoniste le donne e il loro savoir faire, e che sappiano raccontare la storia e le tradizioni di ciascuna Regione.

Una piccola bottega di snack a Houmt Souk, nell'isola di Djerba

Turismo esperienziale

Oltre a godere delle bellezze naturali, di un paesaggio che spazia dai villaggi dei berberi Amazigh alle distese di ulivi millenari, i turisti-viaggiatori che decidono di scegliere una o più destinazioni della Route, costruendo da sé il proprio itinerario e prenotando attraverso i contatti del sito, possono cimentarsi in una serie di attività ed esperienze, entrando in contatto con le comunità locali.

È così possibile partecipare alla produzione domestica della salsa di peperoncini harissa, dichiarata patrimonio immateriale dall’Unesco, collaborare alla raccolta delle olive e osservare la premitura per l’estrazione dell’olio nella regione di Dahar, oppure a quella dei datteri nelle oasi del deserto, o ancora, nella caccia-pesca del polpo tra gli scogli a Kerkennah, solo per fare qualche esempio.

la preparazione del rouz jerbi, il riso alla maniera di Djerba

Djerba, isola dei sapori

Djerba è una piccola isola incastonata nel Golfo di Gabès collegata alla costa tunisina da un lungo ponte. L’isola è circondata da spiagge isolate, da invitanti acque turchesi e un caldo clima mediterraneo. La miscela d’influenze multiculturali è palpabile nell’architettura, con strutture come la fortezza Borj El Kebir, le iconiche moschee dalla cupola bianca la sinagoga El Ghriba una delle più antiche del mondo e le stradine di Hara Sghira, il quartiere ebraico, che mettono in mostra il diverso patrimonio dell’isola, risalente ai periodi fenicio, romano e islamico.
Djerba è un piccolo Eden per gli amanti del cibo e vanta un panorama culinario diversificato grazie alla sua storia e posizione geografica che l’ha esposta a conquiste, commerci e dominazioni. Passeggiate tra i vicoli labirintici che si snodano intorno al vivace Houmt Souk, scoprirete un caleidoscopio di colori e sapori nelle botteghe che vendono erbe aromatiche e spezie orientali come il cumino, la curcuma, il coriandolo o la miscela di tabil, oltre ai peperoncini e all’immancabile harissa arbi. Non perdetevi lo spettacolo del mercato del pesce, dove fin dalle prime ore del mattino i pescatori strillano il loro pescato: triglie, sardine, branzini, polpi. Potete acquistarlo e portarlo a casa o farvelo cucinare direttamente dai ristorantini del souk.
La scoperta della gastronomia djerbienne inizia a colazione, quando vi serviranno una ciotola di bsissa o di zommita, due mix di farine tostate, l’una d’orzo, l’altra di miglio, insaporite con erbe, spezie, frutta secca, impastate con olio d’oliva. Il riso la fa da padrone, nella ricetta del rouz jerbi, cucinato con carne di agnello, ceci e tante spezie, mentre la semola si arricchisce con piccoli pesciolini secchi (ouzef), nella ricetta del masfouf. Tra le specialità di Djerba segnatevi i filetti di pesce in salsa charmoula, un confit di cipolle e spezie. Se invece amate il cibo di strada, lasciatevi tentare dai fogli di brick fritti al momento, farciti di tonno sott’olio, uovo, patate e capperi o da un soffice panetto di fricassé, guarnito di una farcia assai simile a quella dei brik.

Cap Bon, sapori arabo-andalusi

Nelle giornate particolarmente limpide e luminose, dalle coste della penisola di Cap Bon si può vedere l’isola di Pantelleria, che traspare a soli quaranta miglia dalla Tunisia. Per respirare un’atmosfera tipicamente maghrebina, lasciatevi alle spalle la costa e le spiagge cosmopolite di Hammamet, che dista una dozzina di chilometri da Nabeul e immergetevi nel suo Suq, tra i più autentici della regione. Qua le bancarelle competono per la migliore versione di salsa harissa, esposta in bellavista in lucide montagnole che profumano l’aria, così come i banchi di spezie. All’ora di pranzo o cena e per il pernottamento il consiglio è di soggiornare negli agriturismi dei dintorni, due in particolare, il Douar Laroussi e il Sawa. La cucina è quella autentica, rustica, preparata dalle donne dei villaggi, fedele alle tradizioni e realizzata con i prodotti coltivati dalle famiglie di agricoltori locali. Volendo si può partecipare a ateliers di cucina, per imparare, ad esempio, a fare il pane arabo khobz da cuocere nel forno verticale tendir o le crêpes mlewi.

Lasciatevi alle spalle Nabeul, nota per la qualità dei suoi aranceti e fiori di zagara dai quali si ricava una delle migliori eau de fleurs d’oranger della regione e fate incetta di kâak warka uno dei pasticcini tunisini più raffinati, farciti di pasta di mandorle aromatizzata all’acqua di fiori d’arancio. I migliori in assoluto sono quelli proposti dalle numerose pasticcerie che si affacciano sulla strada nella medina di Zaghouan, un bellissimo villaggio arabo andaluso a circa un’ora d’auto da Nabeul. L’atmosfera calma e rilassata che si respira è davvero piacevole e tra le maioliche arabeggianti, chiome di gelsomini in fiore, si possono intravedere i portali in legno colorato, gli interni delle dimore, tra pareti imbiancate e decori orientali. Soggiornare in una delle tante maison d’hôtes vi permetterà vivere a stretto contatto con la comunità locale e fare esperienze semplici di vita quotidiana: fare la spesa al souk, cucinare con le spezie, imparare a fare i dolci insieme alle donne di casa.

Una bottega di spezie all'Houmt Souk di Djerba

Nel profondo Sud

I villaggi rupestri delle comunità indigene berbere, le abitazioni trogloditiche costruite nelle grotte scavate nelle rocce o nella sabbia argillosa, l’insieme dei granai comuni fortificati (ksour) del sud della Tunisia, nell’attesa di entrare a far parte dei siti riconosciuti dal Patrimonio Unesco, rappresentano una delle destinazioni tunisine di maggior interesse per scoprire gli insediamenti umani e le culture Amazigh, gli “Uomini Liberi”, in un ambiente tra i più sfavorevoli e ostili del pianeta. Il villaggio berbero più vicino alla penisola di Cap Bon si trova a pochi chilometri da Zaghouan, nel parco nazionale di Djebel Zaghouan, là dove sorge l’antico acquedotto romano che con i suoi 130 chilometri di lunghezza, garantiva la fornitura d’acqua ai Cartaginesi! Il villaggio però è stato abbandonato dagli anni ’60. L’unico sopravvissuto alla diaspora berbera, rimane la struttura di Dar Zriba Oliya, dove è possibile soggiornare e gustare qualche piatto della cucina berbera. Per trovare i villaggi Amazigh ancora abitati dai nativi, occorre spingersi a Sud, nei governatorati di Gabès, Médenine e Tataouine, che testimoniano il loro stile di vita seminomade e una forma di organizzazione sociale tradizionale basata sulla solidarietà e sulla forza dei legami tribali.

Scelto come ambientazione dal regista Georges Lucas, per filmare un episodio della saga di Star Wars nel luglio 1997, lo Ksar Hedada è diventato uno delle strutture di accoglienza più gettonate dai viaggiatori e motociclisti che amano visitare questi paesaggi lunari.
A Tamezret, lungo la Statale 20 che collega Matmata a Douz, tappa obbligata dei circuiti sahariani, merita fare una sosta per sorseggiare un tè alle erbe locali al Café Ben Jemma, un suggestivo caffè berbero aperto nel 1932, animato da una simpatica “militante” della cultura Amazigh, per poi visitare le Musée Berbère de Tamezret, una casa berbera tradizionale, con tanto di cucina e couscousiere. Molto bella e suggestiva la gite troglodyte di Dar Ennaim, interessante anche per la sua proposta gastronomica di cucina berbera.

Il "rito" del tè in un villaggio berbero

Alle porte del Sahara

Situata ai margini del deserto, Douz, viene spesso definita la “porta del Sahara”. Nessuna visita è completa senza un’escursione nel grande mare di sabbia, magari al dorso di un dromedario, attraversando le affascinanti dune mentre il sole tramonta, proiettando una calda luce dorata sul paesaggio. Alcuni preferiscono il sandboarding, surfando lungo i pendii sabbiosi per una scarica di adrenalina, tra panorami impareggiabili.
Douz si è fatta conoscere per il suo Festival Internazionale del Sahara, che si tiene ogni anno, quando la città si anima con colori vivaci, musica e danze tradizionali, catturando l’essenza della cultura berbera locale e dello stile di vita nomade beduino che qui prospera da secoli. Oltre all’antica Moschea, attraversandola, apprezzerete l’imponente Ksar Ouled Soltane, un granaio berbero ben conservato che mette in mostra l’architettura tradizionale.

Tozeur si estende negli aridi paesaggi del sud-ovest della Tunisia, è una vera oasi nel deserto, famosa per i suoi palmeti che producono una quantità infinita di datteri dolci e succulenti, della pregiata varietà deglet nour, quelli che spesso troviamo nei banchi di frutta secca nei nostri mercati. Se chiedete informazioni in città su un buon ristorante vi indirizzeranno probabilmente da El Bey, dove verrete accolti in un ambiente disneyano sotto le tende da inservienti travestiti da Aladino. Ma se volete conoscere l’essenza della cucina locale non c’è niente di meglio di essere accolti nelle case delle “Tate” selezionate dalla Route Culinaire, come madame Mabrouka di Golden Taiba o Hania Belkhiri, che se lo desiderate, vi inviteranno ai fornelli per svelarvi i loro segreti. Volendo assistere alla preparazione del pane khobz el mella, cucinato nel palmeraie sotto la sabbia del deserto o se volete gustare una gargoulette stufata nel forno, all’interno della caratteristica anfora di terracotta, il Sahara Lounge vi saprà stupire.

Alcuni dei piatti di Hania Belkhiri, una delle "tate" di Tozeur che accolgono in casa i turisti per condividere ricette tradizionali

Il dattero, frutto sacro

Coltivata da oltre 6.000 anni dagli Antichi Egizi la palma da dattero figurava già nelle monete cartaginesi, per essere coltivata dai Garamanti, una popolazione libico-berbera, fin dal 500 a.C. La propagazione della Phoenix sarebbe avvenuta con l’islamizzazione dei Paesi del Maghreb, tra il VII e il XVII sec. grazie ai carovanieri e ai pellegrini che si nutrivano di datteri per l’alto potere energetico, abbandonando poi i semi lungo il loro cammino. “Frutto sacro del Profeta” i datteri accompagnano la “rottura” del digiuno nel Sacro mese di Ramadan. Dal loro frutto si ricavano molti ingredienti tradizionali: dalla melassa, all’aceto, dalle confetture, allo zucchero, passando per il caffè, prodotto con i semi tostati, senza parlare dell’impiego in cucina in piatti sia dolci che salati. Grazie alla Route Culinaire la giovane tecnologa alimentare Telmine Kebili e le donne di VAL Oasis hanno aperto un atelier di artigianato e prodotti dell’oasi dove propongono deliziose creme spalmabibili di deglet nour al cacao, al burro salato, mentre a Tozeur una coppia siculo-tunisina gestisce l’Eden Palm, un piccolo resort nel palmeto, con ristorante e un interessante percorso museale sulla palma da dattero.

Il polpo alla maniera di Kerkennah, isola al largo di Sfax, accompagnato da spezie e salse tra cui la tradizionale harissa a base di peperoncino e aglio

Il rito piccante dell’harissa

Iscritta dal 2022 nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità Unesco l’harissa è un condimento a base di pasta di peperoncini. Il rito della sua preparazione è parte integrante della vita domestica e delle tradizioni culinarie tunisine, specie nella penisola di Cap Bon. Viene solitamente preparata dalle donne in un ambiente familiare conviviale e festoso dopo aver fatto seccare i peperoncini al sole e dopo averli privati del picciolo e dei semi. I peperoncini vengono poi lavati, macinati e insaporiti con sale, aglio e spezie (coriandolo o carvi), utilizzando il mortaio o un tritacarne. L’harissa viene quindi conservata in barattoli oppure venduta sfusa sui banchi del souk. Anche se la sua preparazione viene insegnata negli istituti alberghieri, ogni famiglia vanta la propria ricetta particolare. Giunto alla sua IX edizione, il Festival de l’Harissa de Nabeul, capitanato dal celebrity chef Rafik Tatli, chiama a raduno agni anno una quindicina di cuochi che si sfidano nella miglior ricetta, mentre Terroirs de Tunisie organizza, sempre a Nabeul, corsi e degustazioni per i turisti a base di Harissa.

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