Fettamisù, collagene da bere e video in romanesco: 10 cose social-gastronomiche di cui non se ne può più

7 Mar 2024, 16:03 | a cura di
Ogni giorno veniamo bombardati dai video (reel) sui social, specialmente su Instagram e TikTok, ed è così che abbiamo scrollato la nostra bacheca e decretato 10 cose che ci siamo stufati di vedere perché tutti uguali. Fra digiuno intermittente e fettamisù, ecco l'elenco che abbiamo stilato.

Siamo stanchi dei reel tutti uguali che ci bombardano sui social ogni giorno. Siamo stanchi di nutrizionisti con diete prodigiose, ricette asmr, digiuno intermittente, quanto dei miracoli che il pilates al muro può fare in 28 giorni. E per una volta siamo anche d’accordo con Benedetta Rossi che sostiene di vedere sui social persone che pronunciano le stesse frasi e producono video omologati.

Aprire Instagram e TikTok , ormai, è come accendere il televisore e fare zapping fra un film, un programma di cultura (forse!), la televendita di batteria di pentole di qualche canale regionale recondito, e i corteggiamenti fra uomini palestrati e donne patinate. Eppure, lo scroll sui social è diventato uno spolliciare ossessivo e irrefrenabile che coinvolge tutti: si passano minuti, se non ore, con gli occhi sbarrati e le orecchie appizzate a cercare un Godot che non arriverà mai, fino a quando la realtà non ci richiama all’ordine con una pentola che borbotta sul fuoco, o lo smartphone da ricaricare.

Chiamateli trend o mode culinarie, ma ecco qui un elenco di cose che siamo stanchi di vedere sui social.

Le ricette con due o tre  ingredienti

Sappiamo di dare una delusione ai fan delle ricette con pochi ingredienti, ma non sono ricette, sono assemblaggi di un paio di cose destrutturate e messe insieme: roba passata al mixer o trasformata in un altro stato, da solido a liquido, e poi amalgamata per farci un altro composto.

 

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I video “lo sapevi che?”

No, non lo sapevamo che. Veniamo bombardati ossessivamente e la nostra autostima ogni giorno subisce un tracollo perché tutti sanno tutto e noi nulla. Come? Non sapevi che nelle fogne storiche dell’Impero romano scoperte all’uscita Casalotti-Boccea c’è un ristorante sotterraneo scavato in una grotta con soli sette coperti ed era il posto preferito dei nani di Biancaneve?

Fettamisù

Per capire se qualcuno se ne intende di dolci, provate a chiedere qual è il suo preferito, se risponde tiramisù, statene alla lontana. Soprattutto se a casa fa il Fettamisù! Il rammarico per il dolce più noto del pianeta - ma che è solo un assemblaggio di roba - è tanto, a maggior ragione se la sua facilità di composizione viene bistrattata e condita in qualsiasi maniera, purché la base siano le fette biscottate bagnate nel caffè o latte e caffè o altro liquido. La parte cremosa è poi fatta con yogurt, ricotta e qualsiasi altro ingrediente similare.

I video in romano calcato

Ora pare che il napoletano, elevato a dialetto universalmente riconosciuto in Italia sia stato scavalcato dal romanesco. La scuola di Ruben e Max Mariola docet. Le tipologie sono tre e la lingua è sempre una: quelli che riproducono ricette, quelli che prendono un ragazzo/a di turno, magari affamato, che chiede al titolare del posto: “Ao, che me fai ‘n panino?”; e quelli che ti recensiscono tutto in romano.

Pare che il virus della lingua madre si stia diffondendo un po’ in tutte le regioni. Non mancano i video in toscano o in altre cadenze regionali.

 

Collagene da bere

Avranno speso tutto il patrimonio in pubblicità, eppure l’ossessione per il collagene ce l’hanno fatta venire. Parliamo di una nota marca che produce questa proteina animale che con i suoi reel, anche con tesimonial noti, ci ossessiona le bacheche di Instagram. Partendo dal presupposto che “non serve bere collagene per produrre collagene”, come sostiene lo scienziato Dario Bressanini, il problema non è nel collagene da bere in sé (per questo è bene rivolgersi ai nutrizionisti per capire se, come e quando assumerlo), ma i testimonial che la marca ha assoldato: tutti miracolati dal collagene. Compresa Sabrina Ferilli. Per non parlare dell’assurdità delle ricette con il collagene: con la storia che non sa di niente e si può sciogliere ovunque, c’è chi si è messo anche a fare pure le torte.

 

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Le videorecensioni al tavolo

L’ansia che mettono le videorecensioni in un minuto non è paragonabile nemmeno a quella che provoca la deadline del capo per il prossimo lavoro da consegnare. Sono accozzaglia di frasi, lette in voiceover molto velocemente e in genere con una persona seduta al tavolo che mangia di tutto.

 

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Cucinare all’aria aperta

Ormai va di moda la cucina wild: cucinare nei boschi, mangiare e preparare in situazioni estreme. Eppure, spesso c’è chi ha assunto male questo concetto di cucina di sopravvivenza e invece che usare come spiedini dei legnetti levigati con un coltello di fortuna e un barbecue ricavato con frasche e pietre, si mette semplicemente a cucinare al freddo e al gelo, perché? Perché fa visualizzazioni.

 

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Ed è così che, quando il concetto di cucina wild, superato dal concetto sotto i ghiacciai prende piede si finisce a cucinare pure per strada.

 

Le ricette rivisitate e cotte male

I piatti rivisitati sono come le cover di canzoni note: quelle dei Back Street Boys puoi rifarle, quelle di Michael Jackson, no! Perché vengono sicuramente fatte male, il risultato è pessimo al 100%. Come la storia dei panzerotti fatti con un impasto senza lievito e ripassati in padella. Qui hai ucciso un prodotto tipico storico e anche qualche nonna del barese.

Le versioni vegane

Va da sé che il discorso precedente vale anche per le ricette vegane. Non possiamo parlare di polpette al sugo vegane o olive all’ascolana vegane. Sfatiamo il mito che la cucina vegana è solo un ripiego della cucina classica che utilizza tutti gli ingredienti, per i vegani esistono prodotti come tofu, seitan, tempeh, mopur e molti altri che possono essere usati per ricette che si meritano di avere un’identità unica e non di essere il ripiego di ricette di altre tipologie di cucine.

Fake ricette

Ampliando il discorso arriviamo a chiudere in bellezza: le fake ricette. Fake pizza, fake Magnum, fake Nutella e tutto quello che si può immaginare può essere declinato in un fake. Anche se il nome è odioso, fanno bene a chiamarle fake perché altrimenti sarebbe un attentato a quelle reali, ma la domanda è: non sarebbe meglio trovare dei nomi alternativi anziché vivere di luce riflessa di altre ricette? La risposta è presto detta ed è deludente: è una questione di trend, è una questione di marketing.

 

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Un post condiviso da Francesca Gambacorta (@frafoodlove)

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