Ciumbia che delusione! Sono stato a mangiare nella trattoria aperta qualche mese fa nel cuore di Brera, in via Fiori Chiari 21, da Leonardo Maria Del Vecchio,ย figlio del titolare di Luxottica, e dai soci Davide Ciancio, Marco Talarico e Carlo Ziller, fondatori della Triple Sea Food che vantano giร nei dintorni Vesta e Casa Fior Chiari. Il locale si chiama Trattoria del Ciumbia, ma si tratta di un nome a caso, non state lรฌ a sindacare. La parola trattoria ormai รจ usata come lapsus, come ossimoro, per evocare qualcosa che chiaramente non si รจ, ma lo fanno tutti e quindi forse si fa prima a cambiare la definizione sul vocabolario che il vizietto di certi ristoratori. Quando al Ciumbia, รจ una esclamazione parola milanese ormai pochissimo usata, una sorta di โme cojoniโ meneghino, da sciorinare in caso di sorpresa e ammirazione. Qui resta il contenitore lessicalmente vuoto, ma anche questa non รจ una novitร , ahimรฉ.
L’insegna
La Trattoria del Ciumbia รจ il posto meno autentico in cui mi sia capitato di mangiare negli ultimi tempi. Nulla รจ quello che vuole sembrare. Partiamo dallโestetica, che in fondo รจ la specialitร della casa. Il locale รจ grande e il suo design, accuratamente studiato da Dimorestudio, vuole evocare gli anni Sessanta e Settanta, quelli in cui Brera era il cuore culturale della cittร e non un mangificio finto-popolare. Il Bar Jamaica รจ a poche decine di passi da qui, ma del resto neanche lรฌ vanno piรน Ugo Mulas e Luciano Bianciardi. Colori sul rosso scuro, materiali di pregio, pezzi di design, quadri optical alle pareti, un pavimento mondrianiano, lโarmamentario cโรจ tutto; inoltre, un bel bancone allโingresso che fa tanto Wes Anderson. Il risultato alla fine รจ piuttosto freddo, emozioni poche e in fondo sarebbero quelle il core business di una trattoria. O no?
Il bellissimo bancone
Ma, come scritto, non ci vuole molto per capire presto che questa parola รจ usata come specchietto per le allodole. E le allodole, dunque, chi sono? A giudicare dalla serata in cui sono andato io, una domenica, alcuni milanesi di quelli con il golfino di cachemire e un nostalgismo stilizzato, qualche giovane di buona famiglia senza problemi di paghetta che va nel posto ร la page e tra sei mesi si recherร altrove, e tanti stranieri, talmente rimbambiti dallโoleografia italiana della trattoria da non saper riconoscere il vero dal fake. E nemmeno importa loro, del resto.
La sala
Che poi, anche i dettagli. Le sedie sono super anni Settanta, ma gli schienali sono talmente bassi che se ci appoggi la giacca struscia per terra. Sui tavoli lucidi, ricoperti da doppia tovaglia, cโรจ un vasetto cringe, soprattutto se pensi che sei in via dei Fiori Chiari e non dei Fiori Finti. Ad aspettarti, appena di siedi, un sacchetto con i grissini (non ne vedevo a Milano da anni) che ti dice, supplice: non mi aprire! E poi cโรจ il riflesso pavloviano di ogni trattoria che si rispetti, la bottiglia vuota con la candela in cima, colata ad arte sul collo di vetro. Se ne vede una simile nella scena disneyana in cui Lilli e il Vagabondo mangiano gli spaghetti (con le polpette) e poi si baciano, o quello che fanno due cani innamorati. In fondo lโoggetto, pur brutto, potrebbe essere utile per leggere il menu, i tavoli sono bui e senza illuminazione dedicata, ma a me che sono solo lo tolgono subito. Se รจ una romanticheria, evidentemente non ho il diritto di corteggiare me stesso. Pazienza, tanto non รจ serata. E per leggere il menu userรฒ la torcia del telefonino, come fanno tutti.
I fiori finti sulla tavola
La cucina, leggo, รจ a cura di Paolo Rollini, di cui ignoro il curriculum, ma probabilmente รจ un problema mio. Il menu riporta tutti-i-classici-tutti della cucina meneghina, dai Nervit ai Mondeghili (un giorno dovremo ragionare sullโinsensata popolaritร di questo piatto che fino a cinque anni fa era un passante della scena gastronomica cittadina), dal Riso โalla milaneseโ (virgolette non mie, un poโ inquietanti) al Riso al salto, dalla Cotoletta di vitello โdel Ciumbiaโ ai Bruscitti. Perรฒ che prezzi! I Mondeghili (quattro di numero) vengono 9 euro, il Pane con acciughe e burro dโalpeggio 17, la Costoletta di vitello vestita (ovvero servita con rucola e pomodoro) costa addirittura 37 euro, la piรน cara in cui mi sia imbattuto a Milano. Una fetta di panettone (servito tutto lโanno) 13 euro. Lโacqua viene 5 euro, le birre addirittura 10 euro la piccola e 18 la grande. E la carta dei vini รจ disarmante: chi vuole spendere meno di 40 euro per una bottiglia ha a disposizione solo tre etichette di rossi dellโOltrepรฒ Pavese (due del bravo Andrea Picchioni che non si sa cosa ci faccia in questa carta e una Bonarda di Tenute Mazzolino) a 35 euro. La carta, va riconosciuto, รจ ricca e profonda, con molte verticali di grandi rossi italiani e francesi, non certo da trattoria. Eโ qui che si scoprono le carte: questo รจ un posto da ricchi. Anche perchรฉ la proposta al calice, che puรฒ essere la soluzione per chi come me รจ da solo, รจ davvero miserella. Io me la caverรฒ con un calice di Lugana Ca Maiol Molin a 10 euro. Su Tannico la bottiglia intera costa 18,50. Alla fine calcolo che se uno dovesse ordinare una cena completa antipasto-primo-secondo-contorno, calcolando la voce media di ogni sezione, spenderebbe 69 euro. Con lโacqua e il coperto (5 euro!) si arriva a 79. Con una bottiglia da 40 euro in due, si arriva a 99 euro a persona. Alla faccia della trattoria.
L’insalata di nervetti
Ma almeno, si mangia bene? Insomma. Sei meno meno. Lโinsalata di nervetti รจ piรน insalata che nervetti ed รจ ricoperta dalla maionese. Le Tagliatelle con ragรน di coniglio e fave hanno una consistenza callosa che conquista, ma il ragรน รจ troppo acquoso e il fondo resta fangoso (il sapore, perรฒ, รจ buono). La cotoletta, che puoi scegliere alta o bassa, รจ piuttosto rosa, la panatura resta attaccata alla carne (buon segno) ma non รจ certo tra le top 5 di Milano come dovrebbe essere a quel prezzo. Le patate novelle arrosto sono cotte in modo irregolare, alcune semicrude altre bruciacchiate. La Zuppa inglese del Ciumbia alla fine รจ una delle cose piรน autentiche della serata. Il pane (cinque fette di uno sfilatino) รจ appena riscaldato e non troppo attraente. Quanto al servizio, รจ affidato a un gruppo di giovani perfino troppo ansiosi di darsi da fare, cosa che ho apprezzato fin quando non mi sono sentito un poโ osservato. Malgrado tanta solerzia, il mio bicchiere di vino perรฒ รจ arrivato solo dopo un sollecito, e lโantipasto ho dovuto mangiarlo con il solo accompagnamento dellโacqua gassata.
Le tagliatelle al ragรน di coniglio e fave
Perรฒ la Trattoria del Ciumbia una cosa me la insegna: questi locali ormai piuttosto frequenti nella Milano di oggi sono un puro atto di marketing. Si vuole a tutti costi citare la Milano da bere, ma รจ una fotocopia sbiadita, un ciclostile come usava allora. Non esiste narrazione, non esiste storia, non esiste gioia, solo slogan raccogliticci. Un pubblico lo troveranno spesso, ma sempre di avventizi, mai di fedelissimi. E in fondo, ora che ci penso, anche il mio attacco, Ciumbia che delusione! Perchรฉ per essere delusi bisogna pur sempre averci creduto.
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