Abbiamo assaggiato la carne stampata in 3D. Ecco com'è

31 Mag 2023, 13:09 | a cura di
Abbiamo assaggiato la prima carne stampata in 3D, la tagliata plant based ora somiglia alla carne vera, ma solo al primo impatto. E non è un piatto propriamente economico

La prima volta della carne stampata in 3D

Ma che sapore ha una tagliata veg? Anzi, una tagliata plant based stampata con la 3D? Di carne-non-carne ne abbiamo provata a iosa… ormai è un classico prendere, accanto all’hamburger di scottona, anche un paio di burger di finto pollo per alternare ciccia con verdure e legumi. La 3D, però, promette di più. E, in attesa di assaggiare la ciccia coltivata derivata da cellule staminali animali, già la 3D accarezza la nostra golosità. La “tagliata” in versione semplice, con rucola e pomodoro, arriva al tavolo insieme a un chicken burger nel classico bun con la maionese veg e accompagnata da foglia di lattuga e pomodoro d’ordinanza. A vederla, quella “tagliata” si stringe un po’ il cuore. È a fettine piccole e abbastanza sottili: l’aspetto, però, un po’ inganna e sembra davvero ciccia passata ai ferri, con una leggera crosticina esterna da reazione di Maillard e con l’interno che mostra le fibre della carne e simula una leggera sanguinolenza – ci siamo informati prima – data da succo di barbabietola. Certo, è un’altra cosa rispetto alle bisteccone che giravano anni fa a base di soia o di muscolo di grano… E anche se la golosità del carnivoro è un po’ tradita dalle fettine minute, il resto lascia spazio alla speranza del primo morso.

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Carne-non-carne: la consistenza inganna il palato

Al primo ingresso in bocca, la consistenza inganna il cervello. Si resta un po’ basiti, quasi spiazzati da una sensazione nuova. Che sapore ha? Non si riesce a fare subito mente locale. La prima cosa che la razionalità ci porta a pensare è che non serve coltello: sono così piccole quelle fettine, che non ha davvero senso tagliarle. Poi l’immaginazione cerca forme note: sarà il tipo di fettina squadrata e precisa e la tipologia di resa in cottura, ma sembra quasi di star davanti a un muscolo bollito, tagliato regolare da freddo e ripassato in padella per fargli fare la crosticina. Così la leggera croccantezza esterna si scontra poi con la gommosità dell’interno. E lì dalla similitudine col bollito ripassato si passa ad altri agganci mentali: la texture sfilacciata, la gommosità tenace e troppo pressante, uno strano sapore dolciastro, son tutte cose che fanno pensare un po’ anche alla Simmenthal (non la razza bovina, ma la scatoletta!).

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Continuiamo a provare la carne veg, fettina dopo fettina. La consistenza continua un pochino a giocare come in un bel trompe-l’oeil gastronomico e non riesce mai a definire bene a cosa siamo davanti… Di sicuro, non ci stanno male le foglie di rucola e le fette di pomodoro che la accompagnano. Alla fine, però, ci si alza da tavola poco soddisfatti e con una strana sensazione che non si riesce a decifrare se di fame o di sazietà. Non si riesce a dec idere se andare a mangiare una cosa altrove o se ficcarsi a letto confidando in un nuovo giorno. Ma torniamo all’inizio… cominciamo a raccontare il locale dove abbiamo provato la ciccia stampata in 3D.

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Ambiente fighetto e quartiere in linea

Arredi multicolor, tessuti da bottiglie di plastica riciclata, pareti verniciate con Airlite, la pittura che – da foglietto di istruzioni – purifica l’aria eliminando le sostanze inquinanti: siamo dentro Impact Food, un nuovo format di fast food, una steakhouse veg e a – si dice – basso impatto ambientale, nel quartiere romano dei Parioli. Qui l’offerta, studiata con la consulenza di FunnyVeg Academy, prima scuola di cucina 100% vegetale in Italia, è quella di un classico fast food (panini, wraps, nuggets, insalatone, bowl e dolci) realizzata, però, con ingredienti 100% vegetali.

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Oltre la carne…

La vera novità di questa neonata steakhouse romana sono le alternative meat realizzate con la stampante in 3D: con sovrapposizioni stratificate della materia prima di origine vegetale, l’apparecchio riproduce la texture della carne con le sue venature e fibrosità che dovrebbero rendere in bocca la consistenza di una vera tagliata di manzo. Al posto del burger di manzo, qui si trova il Beyond Meat proposto dall’omonimo marchio di riferimento, fondato a Los Angeles nel 2009, che ha lanciato il primo burger vegetale che richiama il sapore della carne. Per le alternative al pollo è stata scelta invece la spagnola Heura che dal 2017 offre “carni” 100% vegetali e che sta per lanciare sul mercato anche i bastoncini di pesce plant based: prodotti che si caratterizzano per l’etichetta breve (solo olio extravergine di oliva, proteine di soia e dei piselli, vitamine e ferro).

Il boom dei novel food

Ma è la Redefine Meat in versione “filetto” ad attirare la nostra curiosità: a produrla una società israeliana, una start up datata 2018, che in meno di un quinquennio ha assunto 240 dipendenti e raggiunto un fatturato di alcune decine di milioni dollari ottenuto vendendo i suoi prodotti “extra-lusso” in tremila ristoranti europei. La novità sta nel fatto che il mix composto da proteine dei piselli, grasso di cocco, olio di colza e addensanti – privo di glutine, colesterolo e ogm – viene plasmato da una stampante 3D che regala a questa “carne non carne” la forma desiderata (filetto dunque, ma anche wurstel, kebab o bistecca) e un risultato che visivamente replica abbastanza correttamente la struttura muscolare del bovino. Anche la marezzatura sarà la stessa del taglio scelto, mentre un tocco di ciliegia e barbabietola donerà le venature caratterizzanti (ma anche i sapori, tra ferrosità della barbabietola e dolcezza della ciliegia, uniti a un filo di acidità che non ci sta mai male)…

Lo stato dell’arte della transizione proteica

Quando arriva in tavola il “filetto” è esteticamente abbastanza credibile: la tecnologia che permette la replica dei tessuti animali utilizzando i vegetali ha funzionato! Meno bene quando si passa alla consistenza – anche se è proprio la texture il pallino dell’azienda produttrice. Se infatti la struttura delle fibre e del collagene, soprattutto al primo morso, rimandano a quelle di un pezzo di carne in cui le fibre si separano e si sfilacciano in bocca, la versione a base di proteine vegetali tende, sul finale, ad ammorbidirsi in maniera decisamente eccessiva. Il sapore? Poco netto e definito, con una nota finale che vira tra l’amaro e il dolciastro, lasciando in bocca sentori inediti e difficili da riconoscere.

Etica, natura e sapore

Non è facile “trarre conclusioni” che probabilmente non esistono. La base di partenza di una riflessione dal sapore attuale, potrebbe partire dal considerare le concrete scelte che ognuno di noi può, vuole e sa fare e che, complessivamente, si traducono poi nel pensiero e nell’agire collettivo rilevato dalle statistiche. Va anche bene, dunque, la sperimentazione sulle nuove carni, che siano di origine animale e “coltivate”, o di origine vegetale e plant based, ma probabilmente ci sarebbe anche da fare un’azione che porti a superare gli allevamenti intensivi (molto più crudeli del cruelty da mattatoio) e a diminuire i consumi di carne portando a differenziare i prezzi in base alla “qualità” vera che si basi sulla storia e sulla natura della carne che si offre in vendita e che si decide di acquistare: le differenze di prezzo, infatti, non si capisce mai bene su cosa siano basate, ma certamente non sulle informazioni dettagliate dell’origine e della qualità intrinseca di un certo ingrediente. Certo, il nostro essere abbastanza carnivori non verrà messo in crisi dalla carne di Redefined Meat!

Ps. Una “tagliata” costa 22 euro e un chicken burger 13. Non proprio il massimo della economicità.

 

Impact Food - Roma - viale Maresciallo Pilsudski, 86 - 351 74 33 547 - https://www.impactcorp.it/impact-food/

a cura di Stefano Polacchi e Valeria Maffei

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