"Aspiranti chef? Uno su cento ce la fa. Ci vuole talento". Intervista allo stellato Mauro Uliassi, ospite di Masterchef

22 Feb 2024, 21:33 | a cura di
Lo chef è senza ombra di dubbio uno dei grandi nomi del panorama ristorativo italiano. Questa sera sarà ospite di Masterchef: ecco i suoi consigli agli aspiranti cuochi

Mauro Uliassi ospite a Masterchef – nella puntata in onda questa sera – è una delle novità più importanti della stagione 2024: per la prima volta gli aspiranti chef entreranno in una cucina di un tristellato Michelin (e tre forchette Gambero Rosso). Lo chef è senza ombra di dubbio uno dei grandi nomi del panorama ristorativo italiano. Ecco i suoi consigli per chi vuole diventare chef.

Aspiranti chef? Uno su cento ce la fa

«Si parla sempre della passione e del talento, sono due cose molto diverse tra loro: la passione riguarda quello che ti piacerebbe fare, il talento quello che ti viene facile fare. Dunque, se ti innamori di qualcosa e ti ci appassioni, però ti manca il talento, stai perdendo un sacco di tempo», spiega Uliassi. Di contro «se hai talento per una determinata cosa, ti viene bene quel mestiere o quello sport, è più facile che poi ti ci appassioni».

Secondo Uliassi, quindi, è molto importante comprendere quello per cui si è naturalmente portati «perché è quello l'ambito che potrà dare in qualche modo soddisfazioni». Ad esempio, «se sei appassionato di pallacanestro ma non sei molto alto, non potrai mai diventare un Michael Jordan, idem se vuoi diventare un fantino e hai una corporatura simile a quella di Jordan, sarà difficile arrivare ad alti livelli. Poi ci sono sempre delle eccezioni, rimanendo nel parallelismo con lo sport, Mennea ha vinto le Olimpiadi eppure non aveva il fisico da velocista. Dimostrazione che a volte con la passione e la forza della volontà si arriva comunque, ma è un'eccezione. È chiaro che anche grazie a trasmissioni come Masterchef si crea attorno alla ristorazione un grande interesse per cui tutti ci provano, ma su cento, uno o due vanno avanti».

Che talento dovrebbe avere un ragazzo che vuole diventare cuoco?

I ragazzi, dunque, devono capire qual è la strada più adatta a loro. E quando si è portati per la cucina? «Sei portato quando hai un grande palato. Il talento del cuoco è soltanto uno: è la capacità di mettere assieme i sapori in modo che il piatto funzioni. Si può essere tecnici, creativi, ma se non si ha il palato non si può fare il cuoco, così come un musicista deve avere “orecchio”». Il palato, aggiungiamo noi, che deve essere anche “mentale”: un concetto alla base del Lab di Uliassi, da intendersi come attività di ricerca distaccata dalla quotidianità del ristorante che avviene durante la chiusura stagionale e che poi dà come risultato un menu degustazione, il Lab per l'appunto.

 

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Come nasce il menu di Uliassi

«Abbiamo una sorta di protocollo. Ogni anno verso metà febbraio ci incontriamo con il gruppo di lavoro del Lab e iniziamo a studiare e ricercare per circa quaranta giorni», racconta Uliassi. «È un periodo emotivamente intenso perché è proprio in questi giorni che abbiamo la possibilità di vivere la creatività. Muniti di libri e computer cominciamo dai file che ho raccolto durante l'anno: ogni ragazzo mi invia di volta in volta le sue intuizioni e io raccolgo tutto in una cartella che rappresenta l'inizio del nostro processo creativo».

Un processo che però ha due paletti ben definiti: la semplicità e l'autenticità. «Semplicità per noi significa individuare ingredienti facilmente reperibili e il più possibile locali, con un costo economico sostenibile, pensando a un piatto facilmente replicabile dal resto del gruppo. L'autenticità risiede invece nella verità dei piatti che andremo a fare: quando pensiamo a un piatto, dobbiamo raccontare qualcosa che ci appartiene profondamente, che rappresenti il nostro territorio, altrimenti i commensali non saranno coinvolti emotivamente. Ragionerei così anche se fossi un musicista, uno scrittore o un artista. Dopo aver individuato le idee, queste vengono raccontate e poi messe nero su bianco».

Tutto quello che viene detto, viene scritto e poi fatto. «È chiaro che dall'idea iniziale al piatto finito, ce ne passa, allora se troviamo qualche ostacolo, ci rimettiamo seduti e cerchiamo di comprendere come uscire dall'impasse. Ormai, dopo anni, abbiamo capito che se anche c'è un momento di frustrazione noi dobbiamo insistere perché ad un certo punto la nebbia si alza e davanti a noi ci sono i dieci piatti del nuovo menu Lab. Certo, il periodo del Lab è fatto anche di grande sofferenza ma poi quando vedi che l'idea si trasforma in parole, le parole si trasformano in piatto e il piatto si trasforma negli occhi grati del commensale, quando vedi tutto questo c'è un grande senso di soddisfazione».

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