Anticiclico. Il biologico resiste alla crisi?

17 Set 2013, 14:12 | a cura di Loredana Sottile
Italia, Francia, Regno Unito. Come risponde il mercato al biologico nel vino? Facciamo una riflessione a pochi giorni dalla chiusura della kermesse Sana di Bologna insieme a Roberto Lovato, responsabile di Agroalimentari e Vini dell'Ice.

Sette anni di fortuna ininterrotta. È quella che, secondo la Cia (Confederazione Italiana Agricoltori), sta toccando all'agricoltura biologica, un settore anticiclico e impermeabile alla crisi che nel primo semestre del 2013 ha registrato un incremento delle vendite dell'8,8%, a fronte di un crollo dei consumi alimentari convenzionali del 4%. I dati incoraggianti vengono da Bologna, dove si è appena conclusa la 25esima edizione di Sana, il Salone Internazionale del Biologico e del Naturale, che ha messo insieme i maggiori attori del settore, tutti concordi nel parlare di vero boom: nel 2011 le superfici mondiali coltivate ad agricoltura biologica sono ammontate a 37,2 milioni di ettari e sono cresciute del 10% sull'anno precedente, mentre gli operatori sono arrivati a quota 1,8 milioni (+14,3%). Il mercato globale oggi è valutato circa 48 miliardi di euro e in particolare quello europeo è cresciuto del 9% con in testa Germania (6,6 miliardi di euro), seguita da Francia (3,8 miliardi di euro) e dal Regno Unito (1,9 miliardi di euro). L'Italia è al quarto posto della classifica con 1,7 miliardi di euro di valore del mercato interno (3,1 se si considera anche l'export), mentre crescono anche le superfici a biologico: 1,1 milioni di ettari con in testa cereali per un totale di 210mila ettari.

E il vino? Secondo i dati Sinab (Sistema d'informazione nazionale sull'agricoltura biologica del Ministero per le Politiche Agricole) la viticoltura al momento è all'undicesimo posto della lista con 57,3 mila ettari (di cui 36,9 mila effettivi e 20,4 mila in conversione). Ed è il Sud ad occupare le prime posizioni. Con ampio scarto la Sicilia si conferma la regione con la maggior superficie vitata biologica: 16,1 mila ettari, ma con una crescita modesta sull'anno precedente (+2,8%). Segue la Puglia con 10,1 mila ettari e un incremento decisamente alto: 25,5%. Terzo posto per la Toscana con 5,9 mila ettari, ma con un incremento nel 2012 pari a zero. Invece la regione che ha registrato la crescita maggiore è l'Umbria con il 33,7% e 3,5 mila ettari. La meno “enologicamente” biologica? La Valle d'Aosta con appena 15 ettari, anche se bisogna considerare che è anche la regione più piccola d'Italia. In generale, comunque, negli ultimi anni sono aumentate le richieste di certificazione, complice, probabilmente l'approvazione lo scorso anno del regolamento comunitario che riconosce come tale il vino biologico. “L'adozione della dicitura e del logo hanno sicuramente stimolato il produttore biologico ad aprirsi alla certificazione, in modo da poter comunicare in modo ufficiale il proprio lavoro” dichiara al Gambero Rosso Roberto Lovato responsabile di Agroalimentari e Vini dell'Ice “dall'altra parte il riconoscimento ha reso il consumatore più fiducioso e meno diffidente nei confronti di un prodotto troppo a lungo percepito come controverso e poco chiaro. Ma, a un anno dall'entrata in vigore della normativa è ancora troppo presto per aspettarsi una completa consapevolezza e conoscenza in materia”. E magari il prezzo spesso non aiuta. “Diciamo” continua Lovato “che non tutti sono disposti a pagare il differenziale che contraddistingue il vino biologico da quello tradizionale, ma è chiaro che il produttore debba tener conto di una produzione ridotta che giocoforza finisce per incidere sul prezzo”.

Ci spostiamo dall'Italia per guardare a Francia e Regno Unito (rispettivamente al secondo e terzo posto della classifica bio stilata dal Sinab). Nel primo caso si tratta di un Paese diretto concorrente che produce ed esporta come e più dell'Italia. O, per dirla con Lovato, “si tratta di un paese autosufficiente nella produzione alimentare, bio e non”. Uno studio realizzato dai trade analists dell'Ice sul settore bio transalpino indica il 2012 come l'anno di maggiore crescita proprio per la certificazione, vino in testa con concentrazioni maggiori nelle Regioni Languedoc-Roussilon, nella Regione PACA (Provence-Alpes Côte d'Azur) e in Aquitania. La vendita in valore si è assicurata il secondo posto con 413 milioni di euro e un incremento del 15% sul 2011 (+ 65,9% in cinque anni). E anche le esportazioni sono in forte aumento: se l'agricoltura bio francese vale 309 milioni di vendite all'estero, il vino ne costituisce la parte più ingente con una percentuale del 58%.

Parlando di Regno Unito, invece, non si può dimenticare che ci riferiamo a uno dei maggiori mercati di sbocco per le produzioni alimentari italiane” chiarisce subito il dirigente Ice, ricordando che il nostro Paese nel 2012 ha fatturato in Gran Bretagna 2 miliardi di sterline solo per il settore agroalimentare, di cui 478 milioni per il vino (fa meglio solo la Francia con 1,1 miliardi di sterline). Cosa succede sul versante bio? Lo studio Ice mostra una produzione biologica alta, ma in diminuzione rispetto al 2011, con 656mila ettari (-8,7% rispetto al 2011). Tuttavia cibo e bevande biologiche continuano a riscontrare forte interesse: quattro famiglie su cinque li acquistano con frequenza. E allora, come inserirsi in questo mercato? “Prima di tutto” spiega Lovato “tenendo presente che l'elemento chiave del Regno Unito, di differenziazione rispetto ad altri mercati europei, è l'enorme potere d'acquisto di pochi operatori della Gdo, come Morrisons, Tesco e Waitrose. Anche se le maggiori percentuali di vendita per il biologico si registrano on line, tanto che Tesco ha introdotto una nuova area biologica sul suo sito web con consegna a domicilio”. A tal proposito si tenga presente anche la case history di successo rappresentata da Ocado, il supermercato inglese on line, che nel 2012 ha aumentato la vendita di prodotti biologici del 6,4% superando i maggiori concorrenti (d'altronde anche in Italia l'accoppiata biologico-web sta dando buoni risultati). A livello geografico le aree inglesi più attente e sensibili alle vendite bio sono quelle del Sud e del Sud-Est: Londra da sola rappresenta quasi un terzo delle vendite di tutto il Paese. Tra i punti deboli del sistema l'Ice individua la logistica, in particolare i costi del trasporto, considerato che gli importatori britannici spesso preferiscono fare dei piccoli ordini per non riempire il magazzino. E, purtroppo, molti produttori italiani per non affrontare i costi, finiscono per rinunciare ai clienti, nonostante l' opportunità che un piccolo ordine oggi potrebbe significare nel medio e lungo termine.

a cura di Loredana Sottile

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 12 settembre. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui.

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