La dura vita dei senzatetto di Tokyo che vivono con la "dieta dei konbini", tra ramen in scatola e onigiri

23 Mar 2024, 10:23 | a cura di
La quotidianità nascosta dei senzatetto tra i quartieri più noti di Tokyo, tra cibi low cost ultraprocessati e beneficienza: si nascondono per vergogna e non possono chiedere elemosina

A Tokyo nelle mattine di gennaio – quando il vento freddo dall’oceano è un vampiro che morde il collo – il profumo dei dolci appena sfornati passeggia per le strade come un vecchietto gentile. Bussa alle porte, si siede sulle panchine del parco a svegliare i piccioni, raddrizza la schiena dei salaryman.

Viaggio tra i senzatetto di Tokyo

Se vi venisse voglia di seguirlo vi porterebbe a casa sua, in una delle piccole bakery della città, dove vi mostrerebbe orgoglioso i katsu sando di Nakanoya, gli anpan dalla farcitura stagionale di Atelier Cocco, le fette biscottate allo zucchero d’acero di Sun Bakery, le trecce fritte di Esprit Deux… Sono tutti piccoli capolavori, chiusi in scatole dal doppio incarto allacciate con nastri e fiocchi colorati.

Le foto che illustrano il reportage di Lorenzo Prattico sono di Andrea David

Ore di fila per un dolcetto

Ci sono file di ore e battibecchi tra turisti per accappararsene una, nonostante il prezzo, e sono le stesse scatole che adesso, a un passo dalla stazione di Tamachi e oltre i fumi degli autobus in fila, vengono posate su un banchetto di plastica alzato al lato del marciapiede.
Sono tante scatole, di tante bakery diverse: le maneggiano mani pulite ma spaccate dal freddo, vendute a una lunga coda di gente del quartiere per qualcosa in meno del prezzo originale.

Tokyo homeless foto di Andrea David

Il banchetto degli homeless

A lavorare dietro al banchetto ci sono i senzatetto della zona, che quasi ogni giorno si spostano da bakery a bakery tra quelle che hanno deciso di aiutarli: ritirano pane, panini, dolci invenduti per venirli a vendere qui, davanti alla stazione. Hanno anche un profilo Twitter: lo usano per avvisare cosa trovi oggi sul banchetto e quanto costa. Questa intimità tra mondi antitetici, questo sfiorarsi paradossale tra universi lontanissimi, è Tokyo. La folla che passa e i senzatetto della zona sono come due sconosciuti dai percorsi opposti che inciampano l’uno sull’altro nella stessa metro, ignorandosi. Nel 2021 il governo giapponese ha dichiarato circa 4mila senzatetto sul territorio nazionale a fronte di una popolazione di 125 milioni di abitanti.

Senzatetto: lo 0% della popolazione

Ciò renderebbe il Giappone l’unico paese al mondo con una percentuale di senzatetto arrotondabile allo 0%. E in effetti camminando per le strade della capitale, tra Shybuya, Akihabara, Ikebukuro, non si incontra un solo mendicante a chiedere l’elemosina. Del resto è anche vietato chiedere l’elemosina. Non che l’etica giapponese si azzarderebbe comunque a chiedere qualsiasi cosa. La mancanza però è di chi guarda: cerchiamo borse rotte, cappotti lacerati, pantaloni tenuti con lo scotch, ma nessun senzatetto a Tokyo si vestirebbe così. Sarebbe inopportuno. Soprattutto se devi far finta di essere lo 0%.

L’abbigliamento dei più sfortunati

I vestiti dei senzatetto del sottopassaggio di Shinjuku sono semplici e curati, le scarpe le più rovinate: è difficile trovarle comode e un paio va fatto durare. Saito ha delle Crocs, se le tiene strette, anche se con questo vento è costretto a mettersi quattro paia di calzini uno sopra l’altro.
Sta preparando una versione da battaglia del kayaky miso, su un fornelletto a gas da campeggio, a fuoco bassissimo, quasi spento. Mischia con un mestolo il brodo caldo dove versa una bustina di cozze sgusciate già pronte, un sacchetto di cipolotto fresco, un uovo. La plastica l’appoggia in una busta all’angolo del grosso cartone in cui vive, con un piccolo tatami steso sul fondo. Mentre il fumo sale in volute sopra al fornelletto, Saito racconta che oggi si sta trattando bene ma è malinconico: a Aomori, da dove viene, il kayaky miso si fa con la cape sante, lasciandolo cuocere dentro una conchiglia. È la ricetta che si prepara ai bambini quando hanno la febbre. Saito solleva un cucchiaio pulito da un portaposate che tiene sotto un asciugamano: dentro al cartone tutto è in ordine, tutto ha una sua funzione e un suo posto.

Le riserve di cibo

Elenca le riserve: per le sere più fredde ha messo da parte una zuppa istantanea di shijimii, le vongole d’acqua dolce, presa al 7eleven.
Le piccole vongole di fiume sono sigillate in un pacchetto sotto vuoto, mentre il miso solubile è in una bustina pronto a essere mescolato con l’acqua calda: lo usa come rimedio quando beve troppo. Per molti sotto al passaggio il konbini (convenience store di quartiere) più comodo è il Lawson 100 Yen: anche se non è più tutto solo a 100 yen come anni fa, resta il più economico. E poi fuori dal negozio ci sono cartelli che vietano di sedersi sul rilievo di cemento intorno al locale, ma se ci metti poco non vengono a cacciarti subito.

I ramen in scatola in un konbini di Tokyo (foto Tostzilla per Tokyo Excess)

Il mondo dei konbini

In tutti i konbini c’è un dispenser di acqua calda e un microonde a disposizione dei clienti: con due monete puoi prendere ramen in scatola, con un’altra un onigiri. Il riso freddo riempie, è alleato. Un signore - non dice il nome perché ha paura di essere giudicato dagli altri senzatetto se parla troppo con gli stranieri con la macchina fotografica - ci elenca i suoi preferiti: quelli con l’alga sono scomodi, si rovinano subito se non sono confezionati bene e non hanno la plastica che separa riso e alga. Meglio quelli solo riso e sale o al massimo quelli al kelp e salsa di soia.

La dieta dei convenience store

La dieta da konbini, però, è quasi sempre ultra-processata: il cibo più sano si trova grazie alle associazioni di beneficenza. Associazioni che organizzano distribuzioni di pasti per cinquecento/seicento persone a volta: allineano tutti in una lunga fila a S che scorre veloce come un grosso serpente che fugge dal freddo. Associazioni che non rilasciano interviste, che chiedono di andare via. Ma è la duplicità dell’anima giapponese che vive nella smorfia rivolta al gaijin quanto nelle notti passate in piedi a preparare bento con riso bianco e curry di patate per chi è quasi dimenticato. C’è cura dell’altro, premura. Solo alcune delle persone in fila possono cucinare: dopo aver aspettato il loro turno e ritirato una busta con bento e alimenti sfusi, comincia il baratto. Due patate a chi ha un fornello in cambio di tè in bottiglia per chi non ha da bere: sono baratti gentili, nessuno alza la voce.

foto di Andrea David

La storia di Yoshinori

Non che siano tutti amici, ma è fortissimo il senso di comunità: quasi tutti i senzatetto vivono in piazzette private, luoghi nascosti alla vista dove cartoni e tende sono sistemate una accanto all’altra lungo caseggiati in miniatura. Yoshinori vive in una di queste piazzette, al Tamahime Park, nella parte nord della città. Faceva il pescatore di squali, a Miyazaki, lontano da qui: una volta ne ha pescato uno di tre metri. Dello squalo non si butta via niente: racconta di come vendesse i pezzi più pregiati e facesse una zuppa con tutto quello che avanzava, durava per giorni. Poi però, il Covid. Tre volte a settimana riesce a guadagnare qualcosa come giardiniere, il resto dei giorni se la cava come capita. Vive in una piccola tenda da campeggio sistemata sul cemento del parchetto, accanto a due grossi sacchi di lattine. Le raccoglie e le porta nei centri di smaltimento: gli danno uno/due yen a lattina. Passeggia vicino ai distributori di bibite agli angoli della strada, dove c’è il suo caffè preferito, il BOSS Black. Esce caldo dal distributore, con un piccolo tonfo metallico quanto la lattina batte sul fondo della macchina, facendo sorridere Yoshinori.

Una ricetta calda a settimana

Qui al parco il centro per il lavoro del quartiere distribuisce pasti una volta al giorno, una ricetta a settimana. Questa settimana si mangia riso con pollo alla soia, ma va finito in fretta, perché è cominciata un’altra manifestazione, la seconda in questi giorni. La polizia circonda il piccolo parco con scudi in plexiglass e camionette, si dispiega intorno ai senzatetto e ai manifestanti premendoli in un unico grosso blocco che scorta per tutto il percorso della manifestazione. Ci sono liti, pugni sugli scudi, ma dipende anche da chi di volta in volta organizza la marcia: quella di oggi l’ha organizzata un’associazione politica particolarmente battagliera.

Una delle manifestazioni nel centro di Tokyo (foto Andrea David)

Le manifestazioni e “la procedura”

I cori però sono gli stessi a ogni manifestazione: basta togliere dignità a chi non ha lavoro, basta cercare di cacciarci, fermiamo il nuovo piano di urbanizzazione. Hanno anche un’altra cosa in comune tutte queste manifestazioni: la procedura. Si cammina intorno al blocco di palazzi che circonda il parco, si rispettano i semafori, ogni marcia dura meno di un’ora. Non siamo così lontani dalla Tokyo turistica: tre fermate di metro da qui c’è Ueno. Tre fermate di metro e c’è vita.

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