Zuppa di naso di cinghiale, l'ultima ricetta di René Redzepi è da film horror

11 Ott 2023, 17:12 | a cura di
Il quarantacinquenne cuoco danese con ascendenze albanesi è solito stupire i suoi ospiti con ricette molto particolari e provocatorie. Adesso lancia l’ennesima sfida al suo milione di follower su Instagram.

Lo chef del Noma di Copenaghen, ristorante premiato con 3 stelle Michelin ed eletto per ben quattro volte miglior ristorante del mondo secondo la classifica annuale The World's 50 Best Restaurants, dopo aver messo in carta muffe e licheni, formiche e lische di pesce, questa volta ha stupito tutti i suoi seguaci con la zuppa di grugno.

La minestra di muso di cinghiale

Una piccola cocotte di terracotta contenente un liquido bruno dal quale affiora il grugno di un cinghiale. Consapevole della polemica che si sarebbe sollevata, Redzepi ha accompagnato il Reel pubblicato sul suo profilo Instagram con il quesito: “Dalla cucina non siamo sicuri: zuppa di muso (di cinghiale). Riuscireste a mangiare il grugno?” I commenti sono stati una valanga di no con tante o e qualche yes con tante s. Un utente ha commentato, “Se fosse fatto di cioccolato,” e una compagine animalisti ha chiesto di smettere di umiliare gli animali e mettere in scena la morte in cucina. Mentre una notevole quantità di follower ha commentato che amano il muso. Molti in risposta al video di Redzepi hanno fatto notare che il muso del cinghiale e del maiale non sono una novità. In Austria, come scrive una follower in risposta al video, si mangia a capodanno come buonafortuna, l’equivalente del nostro cotechino e lenticchie. Un altro seguace dello chef fa presente che Bine Volcic aveva il grugno di cinghiale in carta cinque anni fa. Un altro commentatore asiatico ha risposto che nella sua cultura lo si sbollenta con erbe aromatiche per ammansire l’odore e poi si taglia a stricscioline sottili e lo si frigge con aglio, zenzero, peperoncino e cipollotto. Anche in Italia abbiamo questa tradizione. Nelle campagne marchigiane di Pergola, per esempio, il muso si cucina alla griglia, tanto che gli abitanti del paese sono chiamati “mangiamusetti”.

Il piede e il muso napoletani

‘O pere e ‘o musso, specialità napoletana che si prepara con il piede di maiale ('o pere) e con il muso del vitello, erroneamente considerato musso 'e puorco, deriva dalla tradizione popolare povera di epoca borbonica. Il termine le zandraglie, in napoletano sta per frattaglie di animale: gli scarti dai nobili e cibo dei poveri. Al suono di “Voilà, les entrailles!” (eccovi le viscere), venivano gettate dalle finestre delle cucine aristocratiche le frattaglie e gli scarti di cucina. Questo faceva accorrere le popolane meno abbienti che, tra urla e schiamazzi, si accaparravano il più possibile. La deformazione del termine “les entrailles” (con la liaison) in “zandraglia” finì così col tempo per connotare con accezione negativa una donna chiassosa, sguaiata e volgare. In realtà con il termine ‘o pere e ‘o musso oggi si intende un piatto tradizionale molto più ampio, che include diverse tipologie di “scarti” di lavorazione animale, fra cui la trippa. A Napoli la trippa è chiamata cientopelli, e si riferisce all’omaso, la parte più magra dei quattro stomaci bovini, che si presenta con una caratteristica struttura lamellare come “fogli” che ricordano un libro aperto.

Gli ingredienti del pere e ‘o musso vengono depilati, bolliti, raffreddati, tagliati in piccoli pezzi e serviti freddi. La tradizione vuole conditi con solo succo di limone e sale aspersi da un corno di bue. C’è chi aggiunge al piatto olive, lupini, finocchi e peperoncino ma gli integralisti preferiscono consumarlo in purezza. A Napoli e oltre è ancora possibile trovare venditori di ‘o pere e ‘o musso, specialmente in occasione delle festività cittadine. Sono chiamati ventraiuoli e offrono i loro prodotti nelle botteghe tradizionali e nelle macellerie. Quelli ambulanti, anziché vendere come una volta agli angoli del vicolo col banchetto o il carretto, ora girano in Apecar.

 

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