L'occasione mancata del docufilm sullo chef Virgilio Martinez: un'agiografia stucchevole che non racconta una storia eroica

5 Nov 2023, 12:05 | a cura di
Ci sembra un'occasione mancata il docufilm sullo chef che guida il miglior ristorante al mondo, che verrà presentato in Italia l'8 novembre: una fiction fiabesca, quando la storia di Virgilio Martinez è invece del tutto reale

"La mia decisione di cucinare è stata un atto di ribellione nei confronti del mondo intorno a me… quando ero ragazzo, in Perù, il mestiere dello chef era poco considerato… a me ha dato la possibilità di girare il mondo: per pelare patate non era necessaria la conoscenza delle lingue", dice in più riprese lo chef Virgilio Martinez all'interno del documentario "Virgilio" che, dopo l'anteprima mondiale avvenuta il 23 settembre 2022 presso il San Sebastian Film Festival, ora che il suo Central è diventato il primo ristorante al mondo secondo la The World's 50 Best Restaurant 2023 verrà proiettato l'8 novembre, in anteprima italiana, all'interno del Festival del Cinema Spagnolo e Latinoamericano, presso il cinema Barberini di Roma.

la locandina del docufilm su chef Virgilio Martines

 

Cucini, ergo sei

Il film comincia come "Cuoco contadino", documentario del 2004 su Paolo Masieri firmato da Luca Guadagnino: dopo aver ritratto lo chef ligure nell'atto di raccogliere delle erbe spontanee, il regista alternava il naturalismo espressivo a sequenze barocche dei suoi piatti che la dicono lunga sul fatto che già venti anni fa fosse in atto un processo di deificazione di quelli che, ai tempi di Gualtiero Marchesi, venivano semplicemente chiamati cuochi.

Per carità, il problema sta solo nel tipo di sguardo "poco ribelle" del film, perché la storia di Virgilio Martinez è del tutto ribelle, al limite dell'eroico (come del resto racconta l'intervista allo chef di Antonella De Santis): dopo 10 anni passati in giro per il mondo (dall'Europa agli States all'Asia) per imparare tecniche e soprattutto conoscere culture, l'allora ragazzo, tornato in patria per salutare la famiglia, decide di restare, fino a mettere su un ristorante (il Central) che prima si limita a non eseguire la solita cucina tradizionale peruviana, poi spazia nella cultura e nella scienza: da un lato creando dei piatti diretti a raccontare i vari ecosistemi del suo Paese (le Ande, la giungla amazzonica, la costa) attraverso l'utilizzo di materie prime del tutto nuove ("In ogni piatto deve esserci innanzitutto il paesaggio, solo dopo arrivano i sapori”), dall'altro creando un vero e proprio centro di ricerca e catalogazione delle biodiversità insite in ciascuno (Mater, ospitato da una struttura anche ristorativa chiamata Mil) sulla falsa riga del laboratorio che Renè Redzepi inaugurò nel 2011, MAD.

Virgilio Martinez - scena dal docufilm Virgilio sullo chef peruviano

Uno sguardo parziale

Il problema è che il regista argentino Alfred Oliveri – che pure alle spalle ha la regia di altri tre documentari – costruisce un ritratto in stile re maya, senza se e senza ma, che nel suo essere privo di una qualsivoglia crepa finisce per trasformare il film in una specie di fiction fiabesca, quando la storia di Virgilio Martinez è invece del tutto reale.

Come? Intervistando solo i suoi dipendenti, e la moglie, e la sorella, e un amico, l'unico a evidenziare – a inizio film, prima che il racconto si trasformi in una specie di agiografia – l'aspetto più profondo del carattere di Martinez: la sua forte competitività, e la sua quasi ossessione per la vittoria, che aveva toccato con mano quando da ragazzi partecipavano a delle competizioni di skateborad. Anche il racconto (troppo lungo) delle chiusure dettate dalla pandemia appare stucchevole, come se si trattasse di un'esperienza privata, e non di una tragedia che tutta la filiera ristorativa di tutto il mondo ha dovuto drammaticamente affrontare allo stesso modo, comprese le pizzerie al taglio sotto casa.

Virgilio Martinez nel central - scena dal docufilm Virgilio

Stucchevole ritratto di vita privata

Pure il rapporto pressoché idilliaco con la moglie Pia Leon ("non siamo mai andati a dormire arrabbiati"), e il suo averla incoraggiata ad aprire un ristorante tutto suo, Kjolle, che le consentisse di esprimersi in piena libertà, cioè lontana dai condizionamenti del marito, finisce per apparire una favola quando favola non è, per come è raccontato in modo troppo politicamente corretto, cioè senza far emergere un solo momento non dico di conflitto, ma almeno di gelosia. Per non parlare degli sguardi che Pia rivolge al marito quando racconta tutto questo, sguardi che paradossalmente sanno più di sottomissione che di definizione di uno spazio di autonomia, che è invece proprio quello che nel 2021 l'ha portata a diventare la migliore chef donna al mondo, sempre secondo la classifica dei 50 Best.

Le Ande, fotogramma dal docufilm su chef Virgilio Martinez

La classifica, non una classifica

Le didascalie del film recitano "Virgilio Martinez, 2 best world restaurant" (eh già, quando il documentario è uscito, nel 2022, il Central non aveva ancora raggiunto il primo posto), dando l'impressione che quella sia l'unica classifica possibile (per chi non sia un addetto ai lavori), un po' come l'atp per i tennisti, quando invece ne esistono altre (tra cui: la francese La liste; la World Culinary Awards; persino Tripadvisor ne ha creata una), quindi facendo credere che il The world's 50 Best Restaurant sia una specie di Bibbia, e non (solo) uno fra i tanti esercizi del libero diritto di critica, oltretutto finanziato da un grande gruppo multinazionale che opera nel settore del food.

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