L’orsa Gemma ruba la torta all’hotel di Scanno. Ma la morte di Amarena ci riguarda tutti

5 Set 2023, 13:05 | a cura di
Ha rubato una torta, qualche nocciola e pure un po’ di insalata nell’orto. Dopo la morte di Amarena, Gemma è tornata a Scanno, paese famoso per la convivenza pacifica con l’orso. Ma la responsabilità della morte di Amarena è di tutti.

Chi in zona ci è cresciuto, anni prima che l’orso diventasse la star dei social network, Gemma la sa riconoscere. È stata la prima orsa a essere “famosa”, avvistata a Villalago, borgo vicino Scanno oggi conosciuto proprio per le foto che ritraggono cervi e plantigradi in piazza, e finita al Tg in un video sfocato. Erano gli anni 2000, erano i primi cellulari con fotocamere, era il Nokia 6600 e 6630, era estate, era una mamma orsa che doveva sfamare i cuccioli e che già faceva allarmare la forestale sulla scarsità di cibo in montagna. Oggi, a pochi giorni di distanza dall’omicidio di Amarena, Gemma torna in paese, stavolta a Scanno, e finisce di nuovo su tutti i giornali: come un personaggio dei cartoni animati, arriva in albergo, ruba una torta e se ne va.

L’orsa Gemma a Scanno

Ma Gemma non è Yoghi, non vive in un mondo di fantasia né sa parlare. È un esemplare di orso marsicano, considerato “confidente” perché con gli uomini ha imparato a conviverci, o forse perché è stata abbastanza fortunata da ritrovarsi in un territorio dove il rapporto con gli animali è pacifico. Così, due giorni dopo la morte di Amarena per mano di Andrea Leombruni a San Benedetto dei Marsi, Gemma è tornata a Scanno, all’Hotel Garnì Mille Pini: “Alle tre del mattino sono stato svegliato dalle collaboratrici che avevano visto un orso entrare in cucina”, racconta il titolare dell’albergo Enrico Silla, “io vivo qui, così sono sceso di corsa, per fortuna stavano tutti bene”. E poi ha visto l’animale, “ho capito subito che si trattava di Gemma, noi scannesi la conosciamo bene. Stava mangiando una torta e delle nocciole, era a circa tre metri da me. Ho riflettuto, poi ho fatto un verso simile a quello che emettono gli orsi, per scacciarla senza spaventarla, farle capire che era stata vista. E così si è allontanata”.

Dopo la torta, l’orsa Gemma ruba anche l’insalata

Si è rifugiata nel bosco, Gemma, per poi tornare di buon’ora. “Mia moglie era scesa a preparare le colazioni e ha visto l’orsa nel magazzino che stava mangiando un’altra torta”. Stessa scena, e di nuovo la fuga. Non paga, però, prima di risalire in montagna Gemma si è fermata nell’orto dall’altro lato della strada e ha sgraffignato anche un po’ di insalata. “Con il direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, Luciano Sammarone, abbiamo deciso che fosse meglio tenere la notizia riservata, per non dare in questo momento delicato troppa visibilità all’orso”. Ma si sa come vanno le cose nei paesi, è impossibile mantenere un segreto. Ecco allora che arrivano le troupe televisive, i giornalisti, chiamate a raffica, “non è andata come speravamo ma alla fine va bene anche così, magari una sana comunicazione su una convivenza pacifica con l’orso può far bene”.

Amarena, foto del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise

L’Abruzzo e la convivenza con l’orso

Ma uomo e animale possono davvero coesistere? L’Abruzzo è stato preso spesso a esempio in questo senso, in un continuo confronto impari con il Trentino, eppure anche qui, ora, si piange la morte dell’orso. Di Juan Carrito prima, investito da un’automobile nei pressi di Castel di Sangro a inizio anno, e di sua mamma Amarena poi, fucilata da un uomo di 56 anni che ha dichiarato di essersi spaventato dopo averla vista nella sua proprietà. “Ci sono diverse problematiche” spiega Silla “i greggi sono diminuiti, ricordiamoci anche che Gemma ne ha combinati di danni ai pastori… nessuno però ha mai reagito in maniera istintiva. L’orso qui c’è da sempre: il custode che abitava davanti l’albergo spesso raccontava a mio padre di averlo visto di notte, le coltivazioni di mele e ciliegie erano un porto sicuro per gli animali affamati”. A uccidere Amarena è stato un uomo, un singolo individuo, ma la verità è che la sua morte ci riguarda tutti. Perché gli allarmi lanciati in passato sono stati ignorati, perché un foraggiamento supplementare dei boschi si fa sempre più necessario, perché i pericoli della notorietà mediatica degli animali erano chiari fin dal principio. Sono animali tendenzialmente innocui, ma comunque selvatici. Non attaccano per primi, ma hanno paura. Non disturbano di proposito, ma devono trovare da mangiare per i cuccioli. Scendono in paese per sfamarsi ma non è quello il loro habitat, non sanno come muoversi. Una corretta comunicazione è necessaria, una formazione fin dall’età infantile obbligatoria, ma l’educazione animalista non ha nulla a che vedere con video virali e like sui social.

Se Amarena è morta, la responsabilità è anche nostra

Amarena e Juan Carrito erano orsi come Gemma, ma più famosi, tanto da spingere i turisti a cercarli in ogni dove pur di guadagnare uno scatto a prova di Instagram, orsi divenuti dei fenomeni da baraccone. Gemma ha vissuto tra Villalago e Scanno per molti anni, con discrezione e fuori dai riflettori, pur causando qualche grattacapo di tanto in tanto. Juan Carrito girava di più, aveva l’atteggiamento da divo e lo spirito da ribelle, il muso dalle espressioni buffe che rendeva impossibile non antropomorfizzarlo almeno un po’. La mamma era “buona”, così si diceva a San Benedetto dei Marsi, borgo caro ad Amarena dove infine ha perso la vita. Ma gli animali selvatici – scienziati ed etologi lo ripetono da decenni – non vanno avvicinati, non vanno nutriti, non vanno “postati” con tanto di localizzazione, tenendo traccia di ogni spostamento e condividendo la posizione in tempo reale. Bisogna allontanarsi con attenzione e avvisare le guardie del Parco, nient’altro. Occorre informarsi ed evitare qualsiasi situazione potenzialmente rischiosa, per l'uomo e per l'animale. In questi giorni l’Abruzzo piange un’orsa e ogni paese ne rivendica la convivenza pacifica con murales dedicati e foto che la ritraggono in armonia con i passanti, mentre le foreste continuano a impoverirsi, spingendo gli animali ad addentrarsi nei centri abitati. Dove diventano delle simpatiche mascotte, pagando alle volte con la vita questa fama indesiderata, attribuitagli con la forza.

L’assassino di Amarena ha un nome e un cognome e da giorni subisce una gogna (non solo mediatica) senza tregua. Ed è vero, la colpa della morte dell’orsa è solo sua. Ma la responsabilità è di tutti.

Foto di copertina di Enrico Silla

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