In questo ristorante appena aperto la cacio e pepe è senza cacio, anche se non sembra

10 Apr 2024, 13:58 | a cura di
Aperto da appena un mese, il ristorante Uma a Roma sta lavorando in sordina per fissare le sue coordinate gastronomiche utilizzando un solo ingrediente

A un mese esatto dall'apertura, Uma a Roma sta lavorando in sordina per fissare le sue coordinate gastronomiche. Lo hanno aperto due giovani di belle speranze e grandi esperienze, alla corte di alcuni dei nomi più importanti del panorama gastronomico. E infatti, alle loro prime uscite, Matteo Taccini e Luigi Senese hanno fatto tesoro di quelle esperienze maturate in Italia e all'estero, non per replicarle tout court, ma per farne strumenti di una cucina che sa essere, allo stesso tempo, molto facile e molto complessa. Di quella complessità che si rivela a chi è interessato percepirla. Non tutti i sapori sono immediati: certe acidità possono risultare poco familiari a chi si orienta con la stella polare della tradizione, ma dei punti di dialogo ci sono, merito anche della scelta di uscire co un degustazione più che accessibile (8 passaggi, 50 euro).  Così, per dare un senso all'inflazionato binomio tradizione-innovazione, partono da un classico romanesco e lo trasformano dall'interno, il risultato è una cacio e pepe senza cacio che pare un calembour e invece è una piccola prova di tecnica applicata.

Il piatto di partenza è apparentemente semplice – pasta e due soli ingredienti lavorati a freddo – ma, come spesso accade, complesso da realizzare alla perfezione, al punto che qualche tempo fa abbiamo chiesto al chimico Dario Bressanini, la sua ricetta scientifica. Anche per lui tutto parte da due ingredienti indispensabili, quelli che danno il nome al piatto. Taccini e Senese si sono chiesti invece che succede se manca uno dei due elementi, e se è possibile una cacio e pepe senza formaggio. La risposta, affermativa, l'hanno trovata nell'Aspergillus oryzae, ovvero il koji, quel fungo filamentoso responsabile delle fermentazioni di soia, di cereali e di patate. I due chef usano un koji cresciuto sull'orzo e lo aggiungono alla ricotta di pecora per farne quello che chiamano (impropriamente, per comodità) miso di ricotta. Dopo alcuni mesi la ricotta prende spunti che ricordano parmigiano e pecorino.

Un panorama gustativo interessante che fa pensare a un formaggio che però non c'è (la ricotta è un latticino ottenuto dal siero residuo dalla lavorazione del formaggio) su cui Taccini lavora già da quando era al ConTanima di Bolzano. Ora lo elabora in un piatto compiuto: il miso di ricotta nella cacio e pepe dona una nota aromatica più dolce, data dal koji. La pasta viene mantecata in padella con un'acqua di pepe tostato unita all'acqua di miso di ricotta. Il risultato confonde abbastanza le idee. Da Uma non entrano nel dettaglio al momento della presentazione del piatto, ma lo spiegano solo alla fine, sollecitando le persone a capire quale è la differenza, se percepiscono qualcosa di anomalo. Così come non c'è – se non a richiesta – il dettaglio della marinatura enzimatica con lo shiokoji nel pollo e patate, un passaggio che aiuta la caramelizzazione degli zuccheri nella cottura della carne alla brace, che infatti appare alla vista molto scura, quasi bruciata. Il meccanismo è più evidente, però, nella spuma di kefir di fine pasto, dove la punta acida si evidenzia con miele di riso, ottenuto dalla riduzione dell'amasake, lo zucchero semplice del cereale dato dalla scomposizione dei carboidrati fatta dal koji.

Tutto in Uma. Ricette da un solo ingrediente

Il koji è uno dei pilastri di questa cucina che punta molto su fermentazioni, maturazioni, passaggi sulla robata, riduzioni spinte in piatti che spesso lavorano un solo ingrediente. È lo spirito Uma, in cui la tecnica fa emergere la varietà dei sapori racchiusi all'interno dei prodotti e porta verso risultati completamente diversi da quelli di partenza dell’ingrediente. Nel carciofo (evoluzione di un carciofo che Taccini faceva a Bolzano) la cottura alla brace che lascia la verdura sorprendentemente tenera, aperta a fiore sul piatto, si completa con un'emulsione cremosa di carciofo e un'essenza ridottissima, sempre di carciofo, che fa emergere una serie di aromi secondari, intensi e profondi. Gioco simile si ritrova nei bottoni di cipolla dove il ripieno è realizzato con cipolla cotta per 2 giorni e poi caramellata in padella, mentre la cipolla ossidata nell'Ocoo (il macchinario coreano che consente una veloce maturazione dei cibi, usato anche al Disfrutar) è usata per un battuto e per glassare la pasta, nel piatto anche consommé di cipolla fermentata, petali di cipolla marinata e olio verde all'erba cipollina.

Un solo ingrediente anche nella parte dolce del menu, dal pre-dessert di pera (granita senza zuccheri aggiunti, miele di pera ottenuto concentrando gli zuccheri naturali del frutto, kombucha di pera) al dessert di solo cacao (spugna ghiacciata con all'interno una spuma di mucillagine di cacao, gelato di mucillagine in purezza finito da grué) fino alla piccola pasticceria, con la tartelletta di panna bruciata composta di sola panna (dentro e fuori) e la caramella di carota (marinata per un mese, disidratata e completata con miele di carota, ottenuto anch'esso riducendo gli zuccheri della carota).

Dolci e piccola pasticceria sono spesso acidi, completamente senza zucchero, eredità dell'esperienza da Taccini al Noma, dove anche dopo moltissimi assaggi e 3 o 4 ore di menu, le persone non si sentivano appesantite. Per lo stesso motivo i pani – di due tipi diversi – vengono portati in due precisi momenti nel menu per accompagnare alcuni piatti.

Uma - Roma - via Girolamo Benzoni, 34 - +39 334 3855 945 – https://umaroma.com


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