Qual è il futuro dei cocktail bar? Rispondono 4 grandi barman italiani

26 Ott 2022, 14:26 | a cura di
Dove sta andando il mondo della miscelazione? Ha ancora senso parlare di Speakeasy? E come dovrebbe essere un cocktail bar oggi? Ecco cosa ne pensano Patrick Pistolesi di Drink Kong a Roma, Alexander Frezza de L’Antiquario a Napoli, Flavio Angiolillo di 1930 Cocktail Bar a Milano e Matteo Di Ienno di Locale Firenze.

Dove sta andando il mondo della miscelazione? E come dovrebbe essere un cocktail bar oggi? Abbiamo parlato con i volti italiani della World’s 50th Best Bars 2022: Patrick Pistolesi di Drink Kong a Roma, Alexander Frezza de L’Antiquario a Napoli, Flavio Angiolillo di 1930 Cocktail Bar a Milano e Matteo Di Ienno di Locale Firenze.

Speakeasy? Sì, purché autentico

Concedersi un buon cocktail è un’abitudine ormai consolidata. Negli anni abbiamo visto affiorare numerose tendenze e stili diversi, non è un caso che nell’ultima edizione della World’s 50th Best Bars 2022 a trionfare sia stato proprio uno speakeasy, il Paradiso di Giacomo Giannotti a Barcellona, che si rifà ai locali clandestini diffusi in America negli anni Venti del proibizionismo nonché una delle maggiori ispirazioni di questi anni: “C’è stato un momento in cui se non eri uno speakeasy non potevi essere cocktail bar - racconta Patrick Pistolesi di Drink Kong a Roma - nel tempo si è creata molta confusione e si è persa la reale concezione”. A confermare la tesi è Alexander Frezza bartender e founder de L’Antiquario a Napoli: “In Italia il concetto di speakeasy è stato travisato. Non avendo alcun riferimento con l’era del proibizionismo (se non attraverso film americani o Sergio Leone) culturalmente non abbiamo alcun gancio con quel periodo. Al contrario, negli Stati Uniti lo speakeasy ha sempre avuto un gancio culturale forte con cosa si beveva e come si beveva; ad esempio, in uno speakeasy non si dovrebbero avere i cocktail con la vodka. Se vai in uno speakeasy e ti fanno uno spritz è come andare al sushi e mangiare un hamburger. A noi è rimasta solo l’atmosfera”, conclude Alexander.

C'è stato però un tempo in cui, di speakeasy autentici (chiaro, sempre considerando il fatto che l'Italia non ha vissuto il proibizionismo) ce n'erano, pensiamo al Jerry Thomas Project a Roma o al 1930 a Milano, due realtà tutt’oggi affermate nel mondo della miscelazione. È proprio a Flavio Angiolillo, owner e bartender di 1930 Cocktail Bar, a cui chiediamo cosa voglia dire essere uno speakeasy oggi: “Un reale speakeasy è molto difficile trovarlo nel 2022. Vuol dire seguire delle regole ben precise che vanno dal non annunciare l’indirizzo, al creare un’atmosfera specifica”. Per Patrick Pistolesi è tutta una questione di autenticità: “In generale si ha la tendenza a esaurire un concetto fino a che non diventa grottesco. Come ogni cosa è bene che rimanga la parte legittima. Abbiamo la fortuna di avere uno speakeasy stupendo che si chiama Jerry Thomas Project a Roma e uno a Milano, il 1930, che sono due posti autentici e che fanno il loro lavoro; il resto è tutta un’imitazione”.

Le tendenze nel mondo della miscelazione oggi

Che piega ha preso il mondo della miscelazione oggi? A risponderci è Matteo Di Ienno, bar manager di Locale Firenze (ora impegnato anche in un nuovo progetto, Fermenthinks): “La sostenibilità è senza dubbio al centro dell’attenzione. Noi stiamo lavorando su un menu stagionale dove riutilizziamo tutte le parti dell’ingrediente, in questo modo siamo riusciti a sviluppare tre drink diversi per ogni ingrediente a seconda di quello che offre il mercato. Ora abbiamo avuto il peperone, un vegetale di fine estate, da cui abbiamo estratto il succo e portato al pH del lime aggiungendo degli acidi. Abbiamo creato un Margarita senza usare il lime, un drink bello fresco con sentore di peperone, senza però esagerare. Stiamo attenti a tutto quello che è la materia prima organica ma quello che impatta di più sull’ambiente è la produzione del distillato, un impatto più elevato dei suoi stessi costi, ad esempio, quelli di trasporto”.

Il ruolo fondamentale dell'ospitalità

Fa una panoramica più ampia Patrick Pistolesi “Quando ero ragazzo fare il barman significava tutto e niente. Cosa dovevi studiare? Cosa significava davvero? Negli anni passati il cocktail bar era Il Bar, il posto dove mio papà prendeva il prosecchino, quel posto goliardico dove succedevano cose ambigue, un po’ film anni ’70. Oggi, per fortuna, è un mestiere legittimo e riconosciuto”. Continua “anche l’ospitalità è molto importante, dall’inizio alla fine, proprio perché il cocktail fa parte della categoria luxury, inutile ma indispensabile: nessuno va al bar perché ha sete, ci va perché desidera un Martini”. Gli fa eco Flavio Angiolillo: “Bisogna fare molta attenzione all’accoglienza, che non vuol dire solamente eseguire un buon cocktail, anche musica e ambiente, nel senso generale del termine, sono importanti. Tutto fa l’esperienza”. Forse perché bisogna interfacciarsi con una clientela sempre più esigente e consapevole? “La (s)fortuna di avere internet ha reso tutti più stupidi e più intelligenti allo stesso tempo”, scherza ma non troppo Patrick Pistolesi. “Ci sono alcuni clienti che sono dei veri amatori e hanno ancora un rapporto di rispetto e mutua complicità con il barman, altri arrivano già molto preparati, altri ancora (soprattutto in seguito all'esito della World’s 50th Best Bars) si presentano con la lente di ingrandimento per scrutare ogni dettaglio. Insomma, c’è una clientela preparata, entusiasta, che ha voglia di conoscere e ama assaggiare dei cocktail che abbiano un pensiero, una struttura, un lavoro importante dietro e un'altra clientela più difficile, chiamiamola così”, chiosa Pistolesi.

Curiosità e genesi di un drink

Entrando nel merito dei cocktail, chiediamo di raccontarci un drink ai quali sono particolarmente affezionati. “Uno dei primi drink che ha sempre funzionato, direi all’avanguardia pur essendo abbastanza semplice, si chiama Elisir di Caterina: Vermouth, bitter e liquore di carciofi che viene diluito con un’acqua distillata di carciofo, il quale conferisce al drink la parte vegetale. La distillazione è anche un metodo di conservazione, questo ci permette di servire il drink in diverse fasi dell’anno (è ovvio che, d’estate, non lo serviamo il carciofo!).”, racconta Matteo Di Ienno. “Il carciofo rappresenta la dea della prosperità (Cynara) e riprende anche Caterina de’ Medici la quale amava molto questo vegetale. Si racconta che lo dava da mangiare all’esercito dei burberi, l’esercito di Firenze, che grazie al carciofo (ricco in ferro) erano sempre più forti dei romani e riuscivano così a combatterli durante il Rinascimento, periodo in cui non era considerato edibile dal resto dell’Italia e del mondo”.

Da Firenze a Roma, direzione Drink Kong, non con un drink ma con un menu unico: “L'ultimo menu che abbiamo creato si chiama New Humans, un nuovo modo di comunicare delle persone e di come le immagini, grazie alle grafiche pazzesche di Alessandro Gianvenuti, interagiscano direttamente con il drink. Cerchiamo di creare delle evocazioni vere per far seguire l’istinto a chi ci viene a trovare: colore forma e parole diventano ispirazione per scegliere un drink. È una stimolazione dell’esperienza e allo stesso tempo tentiamo di smuovere qualcosa che non è nel cervello ma nascosto nelle viscere della nostra pancia. Vorremmo che i nuovi umani riuscissero a lasciarsi la testa dietro le spalle e a ragionare un po’ meno, a favore dell’istinto, per essere loro stessi al 100% e farli stare bene quelle due o tre ore dentro al bar”.

Ci spostiamo qualche chilometro più a Sud: “Per anni abbiamo fatto solo cocktail classici. Poi abbiamo iniziato a sperimentare. Ci piace molto partire dalle basi che sappiamo possano funzionare e ci lavoriamo su. Abbiamo trovato un tema dedicato alla nostra città con storie e personaggi che fanno vedere una Napoli molto più cosmopolita di quello che si aspetta la gente, la quale si diverte a scoprire questi aneddoti e connettersi con il drink”, racconta Alexander Frezza.

La formula vincente

Domandarsi se possa esistere un segreto per un cocktail bar di successo è lecito. Secondo Flavio Angiolillo la chiave di volta sta nel “non lasciare niente al caso e la cura dei dettagli”. A darci un ottimo spunto è anche Matteo Di Ienno: “Migliorarsi sempre e trovare una propria identità per essere ricordati e anche copiati: è bello che si prenda ispirazione da un altro posto. Rinnovarsi, sì, ma senza dimenticare chi siamo”, aggiunge. Chiudiamo con una bella riflessione di Patrick Pistolesi: “Bisogna perseguire un obiettivo che sia tuo e che abbia un accento sulla tua umanità e sulla tua autenticità: questa è la chiave del successo e non ce n’è altra. Noi ce la mettiamo tutta e rimaniamo sempre e comunque un bar di quartiere e io un umile ragazzo di San Giovanni”. Chapeau.

a cura di Cecilia Blengino

Drink Kong – Roma – piazza di S. Martino Ai Monti, 8 - 0623488666 - www.drinkkong.com

Locale Firenze – Firenze – via Delle Seggiole, 12 – 0559067188 - www.localefirenze.it

L’Antiquario – Napoli – via Vannella Gaetani, 2 - 081764 5390 - www.AntiquarioNapoli.com

1930 Cocktail Bar – Milano - www.1930milano.com

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