Eppure, la lana รจ sempre stata utile allโuomo. Per coprirsi, ma anche per costruire capanne fra i monti dove trovare ristoro: termoisolante, resistente e idrorepellente, il tessuto ricavato dalle pecore era in origine uno dei pochi disponibili per chi viveva in campagna. Soprattutto per chi praticava la transumanza, tradizione divenuta patrimonio immateriale dellโUnesco e basata sul profondo rapporto tra uomo, natura e animale, un legame intimo, di quelli che si stringono in condizioni di isolamento e silenzio. Momenti di passaggio, di rituali, gesti ripetuti, ritmi ben scanditi: ogni giorno, da capo. Ripartire e ricominciare. Con le pecore al passo e i loro prodotti addosso o nelle bisacce.
Poi cโรจ stato il secondo dopoguerra, il boom economico che ha dato vita alle prime regole della moda cosรฌ come oggi la conosciamo, lana compresa, che diventa gradualmente un materiale di pregio. Ma di lana, dagli anni โ70 in poi, ce nโรจ una sola: la merino, che ha lentamente sostituito quella degli altri Paesi. LโItalia non fa eccezione e basta parlare con gli allevatori per capire quanto massiccia e complessa sia la crisi del settore: perchรฉ, se nessuno compra piรน lana made in Italy, che ne รจ di tutti gli โscartiโ della tosatura? Finiscono fra i rifiuti speciali, quelli di categoria 3: la lana viene imballata e portata in impianti di smaltimento specifici, con conseguenti costi ed emissioni di CO2.
Una crisi che รจ economica ma anche ambientale: oltre allโavvento della merino, a partire dagli anni โ90 arrivano i tessuti in microfibra, gli stessi che negli ultimi tempi hanno destato scalpore per via delle microplastiche rilasciate a ogni lavaggio. Economici, alla portata di tutti, pratici: cosรฌ gli abiti sintetici hanno surclassato la lana, quella lana che 80 anni fa aveva un valore perfino maggiore a quello del formaggio, perso fino a diventare un peso per lo smaltimento: trascurata, in favore del latte che doveva fare reddito. Del resto, non รจ stato semplice per i pastori fare i conti con i costi di trasformazione, โcosรฌ alti da costringere i commercianti a puntare esclusivamente su un prodotto pregiato come la merino per riuscire guadagnare qualcosa e a fare margini. Oppure piรน a basso costo, come le microfibreโ, spiega Nigel Thompson, titolare della Biella Wool Company, azienda creata nel 2008 โper assistere gli allevatori e dare un futuro al settoreโ.
Un futuro in cui Thompson crede ancora: รจ stata proprio la Wool Company ad accogliere per prima il progetto trentino Bollait โ gente della lana, nato nel 2016 per volontร di un gruppo di professionisti con il desiderio di recuperare unโantica tradizione. โCi troviamo nella valle dei Mocheniโ, spiega una delle fondatrici, Barbara Pisetta, โdove ci sono circa 5mila pecore che producono sui 7/8mila chili di lana lโannoโ. Lana che veniva buttata via perchรฉ considerata piรน grezza rispetto alla merino. Cosรฌ Barbara, Vea, Daniela, Giovanna e Stefano chiamano a raccolta i pastori della zona, che riescono a mettere insieme 700 chili di lana, trasformati poi dallโazienda di Biella. Un anno dopo nasce il comitato Bollait (in dialetto mocheno significa, appunto, gente della lana), che nel 2019 arriva a produrre ben 3mila chili: โAbbiamo migliorato il processo di selezione: usiamo la lana migliore, quella delle spalle e dei fianchi, per il filato, mentre il resto viene impiegato nella lavorazione delle faldeโ. Ora cโรจ anche la lana di pecora nera, โda sempre scartataโ, e soprattutto i pastori vengono remunerati, โchi porta 100 chili di lana riceverร lโequivalente di 100 euro di prodotti finitiโ.
Le iniziative non mancano, ma le difficoltร per tantissimi pastori di tutta Italia restano. Marco Carbonara dellโagriturismo Pulicaro nella Tuscia viterbese al confine con Umbria e Toscana, per esempio, ricorda bene che in passato anche la lana delle pecore โda carneโ, quindi con un manto meno soffice e delicato rispetto alle altre, veniva comunque lavorata. โNon si buttava nienteโ: รจ sempre stato questo il motto di chi lavora la terra. Anche la lana meno morbida trovava allora una funzione, โspesso per infeltrire i cappottiโ. Quella โintermediaโ andava bene per le coperte, mentre alla maglieria veniva destinata solo la piรน pregiata, โche era un bene di lusso!โ. Il tempo a cui Marco fa riferimento non รจ poi cosรฌ lontano: parliamo di una sessantina di anni fa, unโepoca vicina eppure culturalmente remota. โMa ora siamo diventati esigenti, vogliamo solo tessuti fini. Una tipologia che le nostre pecore non possono darciโ.
Carbonara fatica a ricordare quando esattamente sia avvenuta questa evoluzione, ma sa per certo che รจ stata rapida: โIn men che meno tutti si sono specializzati, merino e cashmere erano considerati al di sopra di tutto il resto, e le lane intermedie non sono piรน state utilizzateโ. Qualche soluzione per non sprecare la lana, comunque, cโรจ: la si puรฒ usare per la pacciamatura dellโorto, la copertura del terreno con materiali naturali fatta per proteggere la terra dagli sbalzi termici, mantenerla umida e compatta. โLโho utilizzata anche per realizzare i materassi dellโagriturismo, per limitare quanto meno lo smaltimento. Certo, restano i costi della tosaturaโฆโ. Perchรฉ la lana, nonostante le sue tante qualitร , non si vende. E di alcuni costi, al momento, sembra impossibile rientrare.
Giancarlo Gentili dellโazienda agricola Valleluterana, a pochi chilometri da Roma, lo sa bene, tantโรจ che รจ costretto a regalarla, e pensare che i miei nonni ci guadagnavano con quella lana!โ. Le sue sono pecore di razza sopravissana, tra l’altro fra le migliori per la lana, che in passato garantivano prodotti di buona qualitร : โLasciamo da parte i vestiti: chi ricorda i materassai? Quandโero bambino venivano a casa, cardavano la lana e preparavano il materassoโ. Poi le cose sono cambiate, e oggi bisogna trovare nuovi impieghi per questo tessuto: una parte viene usata per esempio nella bioedilizia, โร perfetta anche per il sonoro, si possono creare dei pannelli bio isolantiโ. Ma dovrร pur esserci un modo per ricominciare a venderlaโฆ o no? โDifficile. Bisognerebbe creare un circuito di pastori, ma chi รจ disposto a farlo? Il mercato ci ha proiettati tutti verso le pecore da latte, infatti siamo in pochi ad avere la sopravvissanaโ.
Oltretutto mancano anche i lanifici, โalmeno qui nel Centro Italiaโ, aggiunge Maria Pia dellโazienda agricola San Maurizio, di nuovo nel Lazio, fra i comuni di Picinisco e Settefrati in Valle di Comino. A lei piacerebbe recuperare la filiera, โma il primo lanificio utile รจ quello di Biellaโ. Per il momento, usa la lana per confezionare i prodotti ma a breve la situazione cambierร : Silvia Bonomi de La Sopravissana dei Sibillini di Macerata ha infatti avviato un progetto che partirร a inizio 2021, con tanto di lanificio a Montefortino. โSiamo un gruppo composto quasi esclusivamente da donneโ, racconta, โabbiamo selezionato i capi di bestiame migliori di sola razza sopravissana, per creare una filiera 100% italiana, dalla nascita della pecora alla filaturaโ. A far parte del progetto Sibillana sono donne delle zone colpite dal terremoto del 2016, โdonne che hanno perso il lavoro, chi per il sisma, chi piรน recentemente per il Covidโ. Un progetto solidale al centro del quale cโรจ il benessere animale: โIl mio obiettivo รจ quello di creare una scuola della pastorizia, dove insegnare come trattare le pecore, ma anche come crescere i cani pastoriโ. A breve comincerร la produzione, tutta italiana, โรจ un dettaglio a cui teniamo molto: la sopravissana รจ una pecora da riscoprireโ.
QUESTO ร NULLA…
Nel mensile di febbraio del Gambero Rosso trovate il reportage completo, insieme a tante altre curiositร . Qualche anticipazione? Siamo andati a conoscere da vicino la sopravvissana de La Porta dei Parchi ad Anversa degli Abruzzi e abbiamo cercato di fare chiarezza tra lana vergine e riciclata. Nellโarticolo trovate anche gli approfondimenti sui progetti italiani dedicati al riutilizzo di questo prodotto, le razze principali da cui si ricava e le riflessioni sullโetica della lana. Cosa aspettate?
Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store. Abbonamento qui
parole di Michela Becchi – disegni di Daniela Bracco
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